Francesco Maltoni
La Camera dei deputati ha approvato in via definitiva il ddl Delrio: la riforma delle province, dunque, diventa ufficialmente legge dello Stato, così come inserita nella proposta che prende il nome dall’attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Il voto è arrivato al termine di un’accesa discussione, iniziata l’altro ieri con la bocciatura delle pregiudiziali di costituzionalità e proseguita ieri, con il no a tutti gli emendamenti proposti. Montecitorio ha approvato con 260 voti favorevoli, 158 voti contrari, 7 astenuti e 204 assenti, il testo uscito dal Senato lo scorso 26 marzo.
Dunque elezioni provinciali scongiurate, come era negli auspici dell’esecutivo, che si è trovato a imprimere un’accelerazione convinta al provvedimento proprio nelle ultimissime settimane, visto l’avvicinarsi della data del 25 maggio. A parere di alcuni, però, si sarebbe trattato solo di un pretesto per velocizzare la scomparsa delle province per come le abbiamo conosciute e avviare, così, il processo di revisione del governo locale.
Secondo quanto previsto dal disegno di legge approvato ieri, infatti, le province non spariranno, ma vedranno ridefiniti molti dei loro compiti e, soprattutto, cesseranno di essere organi elettivi. A fare parte delle nuove giunte provinciali e dei nuovi consigli, infatti, i sindaci, gli assessori o i consiglieri eletti dei comuni che appartengono al territorio sotto cui la giurisdizione della provincia rimane.
Altra novità contenuta nella riforma è che nessuna delle nuove cariche amministrative svolte in seno a giunta e consiglio provinciale, percepirà un’indennità: insomma, aumentano i ruoli per i politici e diminuiscono le fonti di reddito.
Sul fronte delle competenze, l’unica, vera funzione di peso rimasta in capo delle province sarà quella all’edilizia scolastica, oltre ad altri servizi non certo secondari, come quello sulle pari opportunità. Il vero nodo da sciogliere resterà però, quello dei dipendenti. Visto l’inserimento dell’abolizione delle province nel recente d.d.l. costituzionale, infatti, è possibile che quello di ieri sia solo il primo passo verso la soppressione degli enti. E quale sarà il destino delle migliaia di occupati?
Quel che è certo è che saranno 16 i consiglieri nei nuovi consigli provinciali oltre i 700mila abitanti, 12 tra 300mila e 700mila, 10 per quelle con densità inferiore: resteranno, tutti, in carica per un biennio.
Cambiamenti rilevanti riguardano, poi, anche i comuni, soprattutto nelle loro diramazioni territoriali, come le unioni dei comuni o, nei casi di maggiore estensione, le città metropolitane. Anche in questi casi, saranno i sindaci a costituire i rappresentanti negli organi direttivi, sia come sindaci metropolitani che nelle funzioni di presidenti delle unioni dei comuni.
Modifiche rilevanti riguardano anche la composizione dei consigli comunali, tra i quali circa 5mila saranno rinnovati il prossimo 25 maggio. Ebbene, per quelli di dimensioni più ridotte viene stabilito che gli eletti saranno 12 consiglieri e il massimo degli assessori sarà di 4, mentre, al di sotto dei 3mila, entreranno in carica 2 assessori e 10 consiglieri, oltre al primo cittadino.
Le dichiarazioni dei politici
Il ddl Delrio è stato approvato definitivamente ma è scontro con le opposizioni, Forza Italia in testa. “È un golpe”, grida in Aula il capogruppo degli azzurri a Montecitorio Renato Brunetta, che poi in una conferenza stampa convocata ad hoc si appella al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano affinché non promulghi il provvedimento.
“Non è vero”, replica il vicesegretario del Pd Deborah Serracchiani, rivendicando l’impegno del governo sul fronte delle riforme. E in serata arriva il commento del premier Matteo Renzi che, difendendo la creatura di Graziano Delrio, avverte:”Le riforme bisogna farle per accrescere la nostra credibilià o la classe politica perde la faccia”. Ma le opposizioni si ritrovano unite nel criticare il pacchetto di misure che nelle intenzioni dell’Esecutivo serve a costruire un ponte in attesa delle riforme costituzionali e che porteranno all’abolizione tout court delle province.
“È un successo dopo anni di attesa”, dice invece Lorenzo Guerini, l’altro vicesegretario del Pd, che porta “risparmi concreti”. Ed è “un passo decisivo – aggiunge – che troverà compimento con la riforma costituzionale e la revisione del titolo V”. Opinione contestata appunto innanzitutto da Fi, che definisce il provvedimento “Un pasticcio, un obbrobrio, un imbroglio, una truffa”, soprattutto “considerato – assicura Brunetta – il combinato disposto del progetto di riforma del Senato, che è stato scritto con i piedi”. Ma gli azzurri non sono gli unici ad attaccare il ddl Delrio, messo a punto dall’attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio quando era ministro: proteste arrivano anche dai grillini, da Sel, dalla Lega e da Fratelli d’Italia.
Altro che risparmi: secondo il conteggio di M5S, tra consiglieri e assessori alla fine ci saranno 31mila poltrone in più. Numero più numero meno, si tratta di una tesi sostenuta anche da Fdi: “Primo vero prodigio di Renzi – twitta Giorgia Meloni – finge di abolire le province e crea 25 mila poltrone in più #supereroe”. Pura propaganda, attacca il partito di Nichi Vendola: il disegno di legge approvato dal Parlamento “non abolisce le province. Sel – interviene in Aula Nazzareno Pilozzi – non è contro il cambiamento ma contro i finiti innovatori che nascondono dietro la demagogia le peggiori pratiche spartitorie”. Una “farsa”, secondo la Lega che ricorda come anche “secondo la Corte dei Conti i costi non diminuiranno ma aumenteranno”.
tratto da www.lagazzettadeglientilocali.it
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