Il protocollo di Brindisi o protocollo dei padri separati

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A qui profite la résidence alternée?

L’enfant, prisonnier de l’intérêt des adultes.

Bernard Golse[1]

 

 

Il Tribunale di Brindisi ha diffuso, il 4 marzo scorso, un ‘Protocollo d’intesa in materia di separazione e divorzio per l’affidamento dei figli e l’esercizio della responsabilità genitoriale nel rispetto del superiore interesse del minore‘[2].

In poche righe, il protocollo propone una soluzione prettamente adulto-centrica a tutti i problemi degli adulti in via di separazione, con la pretesa di risolverli magicamente, fino ad eliminarli: custodia alternata ferrea, nessun assegno di mantenimento, casa coniugale al proprietario, in quanto i bambini non ne avrebbero più bisogno.

Non stupisce che al tavolo della firma, per ragioni comunque sconosciute, accanto ad altissimi funzionari dello Stato, che dovrebbero essere super-partes, sedessero esponenti delle associazioni dei padri separati. Nessuna associazione di mamme separate, che peraltro non esiste, o se esiste, non ha la stessa risonanza politica nè il medesimo potere.  Né stupisce che le stesse associazioni lo stiano pubblicizzando in tutta Italia ad ulteriore prova di quanto esso sia il “Protocollo dei padri separati” come, con meno ipocrisia, esso dovrebbe chiamarsi.

Il protocollo parte da premesse difficilmente condivisibili. Innanzitutto sull’applicazione della legge 54 del 2006[3] che, invece, è stata fortemente recepita dai Magistrati tanto che, ad oggi, l’affido esclusivo non esiste quasi più, addirittura nei casi in cui sarebbe fortemente consigliato, come nella violenza domestica. Per l’applicazione indiscriminata dell’affido condiviso, anche con bambini molto piccoli e pur di fronte a situazioni di maltrattamento e violenza o malattia mentale, l’Italia continua a prendersi condanne dall’organizzazione Nazioni Unite[4].

 

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I dati ISTAT[5] sulle separazioni e divorzi in Italia riportano come, nel 2005, prima della legge 54/2006, i figli fossero affidati alla madre nell’80,7% delle separazioni e nell’82,7% dei divorzi, mentre dopo l’entrata in vigore della legge risulta che:

  • nel 2009 solo il 12.2% di figli è stato affidato alla madre contro un 86.2% in affido condiviso;
  • nel 2015 solo l’8,9% dei figli è stato affidato alla madre contro un 89% in affido condiviso.

 

Altrettanto superficiale è la rassegna della letteratura scientifica in merito alla prognosi a lungo termine per la salute psico-fisica dei bambini, sulla quale ci soffermeremo.

Interpretando i dati scientifici, in modo alquanto creativo, il protocollo sistema i bambini in custodia alternata, 2 giorni di qua, 2 giorni di là, e di conseguenza tutto va a posto: l’assegno di mantenimento non esiste più, perché non ha più ragione di essere, il problema casa coniugale non esiste più, perché essa va essenzialmente a chi l’ha in proprietà, non avendo i bambini un domicilio prevalente, con buona pace dei diritti dei figli di conservare una continuità abitativa e così via.

Una cosa è certa: il protocollo è la dimostrazione di come tanti discorsi sull’affido dei figli nelle separazioni non sia altro che, per molti, troppi, puramente un affare economico che cela, dietro il falso scopo del benessere dei bambini e della tutela del loro armonico sviluppo, interessi di adulti, come esperti internazionali denunciano.[6]

Io credo che i Giudici dovrebbero tenersi alla larga da associazioni con posizioni tanto intransigenti e socialmente compromesse o per l’una o per l’altra parte, facendo invece riferimento, quando ne abbiano bisogno, ad esperti esterni ove si intenda, con questo termine, laureati nelle materie di riferimento, docenti, studiosi riconosciuti in ambito nazionale ed internazionale, che lavorano quotidianamente coi bambini, armati di scienza e non di chiacchiere. Ed infatti, se quei Magistrati si fossero consultati con scienziati che conoscono e sanno leggere i dati (cosa non poi così semplice) sarebbero venuti a conoscenza del fatto che la scienza, che il protocollo in modo superficiale ed incompleto cita con gli studi di Linda Nielsen (2014), Hildegund Suenderhauf (2013) ed Emma Fransson (2017), non è affatto così rassicurante e serena nei confronti della custodia alternata come si è voluto far credere.

Molti sono i dubbi sui fattori che influenzano lo stato mentale dei bambini dei divorzi e gli stessi studiosi citati li argomentano nei loro articoli. Riportare i dati senza riportare i motivi di dubbio e le criticità e senza le argomentazioni cui pervengono gli stessi autori degli studi rasenta la frode scientifica.

I figli dei divorziati stanno globalmente peggio, rispetto ai bambini delle famiglie intatte, ma il loro stare peggio è in relazione a quello che hanno vissuto prima del divorzio o dopo? È veramente in rapporto alla schedula di custodia ed al tempo che il bambino trascorre con ogni genitore, il futuro benessere? E, nel caso, vale questo per tutte le fasce di età? Ed ancora, le famiglie di livello culturale più elevato si orientano più per la custodia alternata perché vi credono di più o semplicemente perché queste madri hanno professioni più impegnative che non permettono loro la gestione completa, o quasi, del figlio? Quali e quanti fattori della famiglia post-divorzio influenzano il destino emozionale e neuro-comportamentale dei bambini? Nell’interpretazione dei dati, questi dubbi e molti altri ancora devono essere tenuti a mente, come gli stessi autori raccomandano.

Gli studi citati provengono da paesi nordici, lontani anni luce dal nostro modo mediterraneo di vivere, dalla nostra società, dalla nostra cultura, dal nostro modo di essere genitori e di essere genitori in due. E proprio gli stessi autori mettono in guardia dall’estrapolare i dati per ribaltarli in altre culture ‘la custodia alternata è un metodo più frequentemente effettuato in Svezia rispetto a molti altri paesi, ed i risultati possono non essere applicabili ad altri paesi, poiché il benessere dei bambini e la loro salute mentale sono influenzati anche dalla società nella quale vivono oltre che da fattori propri della famiglia.’[7]

Questo il primo gravissimo appunto a chi estrapola dati in modo incongruo, applicandoli a luoghi, culture, situazioni diverse. La scienza è scienza e non si può addomesticare a seconda delle necessità, come un fazzoletto che si tira dove si vuole.

Quando si ha a che fare con situazioni a forte impatto sociale, non si può prescindere dal tipo di cultura e società con cui ci si confronta e traslare, in realtà profondamente diverse, come i paesi mediterranei rispetto agli Scandinavi, i dati ricavati senza le necessarie specificazioni. Chi li cita, in Italia, dovrebbe anche riportare, con atteggiamento più scientifico e meno ipocrita, che nei paesi nord europei la madre ha una posizione prioritaria. La tutela potentissima del legame madre/bambino tende alla esclusione del padre perlomeno nel periodo intorno alla nascita e nella prima infanzia. Ed i padri accettano ciò di buon grado perché sanno che la protezione del rapporto madre/figlio è finalizzata al migliore e più armonico sviluppo del loro bambino[8]. Differenza abissale rispetto alla situazione italiana dove le madri sono trattate da badanti non stipendiate, dove interrompere i rapporti madre/bambino con l’accetta è prassi fin troppo frequente e viene addirittura suggerita da laureati in psicologia e medicina che non si sa dove si siano formati, ed ordinata da solerti magistrati.

Chi fa riferimento a lavori scientifici ha il dovere di farlo riportandoli con asettica puntualità, con serena onestà, pena l’esser censurati.

In un articolo della Sarkadi[9] ad esempio, spesso riportato a supporto della custodia alternata, le conclusioni della studiosa (peraltro ipotizzabili anche col solo buon senso) dell’influenza positiva della presenza dei padri nella vita dei figli, non riguardano il padre biologico o solo lui ma, per l’appunto, qualunque figura ‘paterna’: i secondi compagni della madre, gli step-fathers, gli zii, i nonni. In sostanza, uomini conviventi con la mamma. Entrano ben poco, quindi, i risultati dello studio con la tutela del contatto figlio/padre biologico e quindi con la custodia alternata. Bisogna essere onesti quando si leggono gli articoli, e molto critici, leggendo bene e fino in fondo, senza fermarsi all’abstract, altrimenti si fanno brutte figure e si rischia di passare per disonesti o per ignoranti come a qualcuno accade fin troppo spesso[10].

Più onestamente, invece, si può evidenziare ed anche auspicare, un trend verso un miglior coinvolgimento dei padri nella cura dei figli, anche piccolissimi e per questo l’American Academy of Pediatrics recentemente ha emesso un clinical report che incoraggia gli sforzi a sostegno del coinvolgimento dei padri nella cura dei figli, considerandolo un aspetto fondamentale del lavoro del pediatra[11].

Peraltro, anche se negli ultimi anni si è assistito ad un fenomeno spontaneo di migliore e più equa organizzazione di gestione dei figli senza alcun intervento legale, soprattutto tra i genitori più collaborativi, in rapporto anche a cambiamenti sociali, lavorativi e organizzativi familiari, non si può neanche prescindere da una situazione sociale che vede ancora le donne occuparsi dei figli in prima linea e per il maggior carico, soprattutto nelle culture mediterranee.[12] Né si può negare come il ritmo di cambiamento sociale sia molto meno rapido di quello che ci piace pensare: ci sono ancora molti pochi genitori che dividono equamente cure e incarichi per il figlio, anche nelle famiglie intatte, figuriamoci nei divorzi.

Va detto, con buona pace di quanti urlano a piena voce sugli effetti nefasti del divorzio e sulla scarsa genitorialità di quanti incapaci, secondo loro, di gestirlo che, nella maggior parte dei casi, quasi il 90%, i genitori, dopo una prima fase di conflitto, giunge da sola ad una organizzazione globale dei figli, alla quale tutti sembrano adattarsi abbastanza bene, tanto è vero che negli studi volti a valutare lo stato di benessere dei figli dei divorziati, non si rilevano, in sostanza, grossi problemi di adattamento e, più tardi, di successo nella vita[13]. In sostanza, i figli dei divorziati hanno una buona prognosi.

Questo concetto è molto importante: il fatto che un bambino viva il divorzio dei suoi genitori non significa che, necessariamente, sviluppi problemi e sofferenza, né che abbia un peggior destino una volta grande, rispetto ai figli di famiglie intatte. L’etichetta ‘figlio di separati = bambino o giovane con problemi’ è retaggio di antichi e desueti pregiudizi. È il conflitto che fa male ai bambini. Conflitto che può esserci nel divorzio come nelle famiglie intatte. Ed in entrambi i casi, i bambini hanno maggiori probabilità di avere un’adeguata ed armonica crescita se i genitori non litigano davanti a loro, esprimendo giudizi o dissapori, o peggio mettendo in atto atteggiamenti violenti. I bambini esposti a interazioni parentali fortemente conflittuali, nella separazione come nella convivenza, hanno maggiori probabilità di problemi comportamentali, squilibri emozionali, minori performance accademiche.  Non parliamo di quelli sottoposti a violenza assistita.

Quando un bambino è esposto alla violenza, al conflitto, ai litigi, alle ripicche, entra in uno stress profondo che, se cronico, determina alterazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene con tutte le conseguenze dello stress tossico fino ad alterazioni anatomiche e funzionali dei vari organi, sistema nervoso centrale compreso. Se questo stato di stress non si risolve, provocherà conseguenze per tutta la vita, con morbilità precoce e maggiore e prematura mortalità.

Non sono quindi i bambini del divorzio a stare male ma i bambini del conflitto. E su questo aspetto andrebbero focalizzati gli sforzi, se li vogliamo aiutare.

Ed invece l’attenzione del mondo e, soprattutto la pressione politica dei gruppi di ‘padri separati’, è diretta verso l’ottenimento di leggi che garantiscano l’accesso paritario al figlio, come se fosse questo a condizionare la prognosi del bambino.

Nel nostro paese ne è venuta fuori la legge n. 54/2006 relativa all’Affido condiviso sulla cui scorta si è inserita la ricerca affannosa della tutela della cosiddetta “bigenitorialità”, sempre e comunque, anche di fronte a padri violenti, maltrattanti, incapaci o malati di mente. Tanto che oggi, con buona pace del protocollo dei padri separati, la stragrande maggioranza degli affidamenti è condiviso, con imposizione al bambino di schedule pressanti di visita al genitore non residente, a volte non accettate e rifiutate dal bambino stesso. Proprio in risposta alle pressioni di queste associazioni di padri separati, in Gran Bretagna, il Department of Social Policy and Intervention dell’Università di Oxford, su incarico ministeriale, ha rivisto gli studi sullo stato di benessere dei bambini in rapporto alla modalità di affidamento[14]. Pur partendo dal presupposto che sia proficuo per i bambini mantenere una buona e significativa relazione con entrambi i genitori, gli autori si domandano se vi sia veramente bisogno di legiferare in merito alle modalità di affidamento visto che, la stragrande maggioranza dei genitori arriva ad un accordo che permette ai bambini buone relazioni con entrambi, una buona divisione del carico organizzativo ed educativo e una buona qualità di vita successiva, senza alcun bisogno di interventi di Giudici e Tribunali. La letteratura scientifica parla in tal senso, l’esperienza anche.

Lo Shared-parenting, definito come la permanenza con ciascun genitore pari al 35-50% del tempo, prevede che un bambino abbia due residenze, una presso ogni genitore e continuamente traslochi tra le due case scindendo la settimana in base agli impegni scolastici oppure in modo alterno tra madre e padre. Una tale situazione richiede una considerevole capacità e possibilità di cooperazione tra i genitori, richiede una grande capacità di continui “riarrangiamenti” e “rinegoziazioni” via via che il bambino cresce e che cambiano le sue esigenze, i suoi impegni, così come le esigenze e gli impegni dei genitori, richiede anche che tutto ciò sia organizzativamente possibile ad esempio in base alla professione dei genitori, alla distanza tra le residenze, agli impegni del figlio ma soprattutto richiede che, tra padre e madre, il conflitto sia superato. E se il conflitto è superato, non vi è alcun bisogno di Giudici ed avvocati.

I gruppi di padri, invece, prescindendo da questi prerequisiti, ritengono questa “scissione” del figlio più equa oltre che indolore per il bambino.

Le considerazioni critiche su tali posizioni sono:

1) se tale soluzione è vista come rimedio per il vissuto di dolore e solitudine di tanti padri dopo la separazione, si può considerare questo prioritario rispetto all’interesse del bambino?

2) i genitori che arrivano da soli a soluzioni eque e condivise del tempo sono quelli meno conflittuali e che quindi non hanno bisogno di leggi e di magistrati, mentre quelli che beneficerebbero delle leggi sono quelli che necessitano di Ordini del Tribunale e pertanto sono quelli ancora in alto conflitto. Questo fa bene ai bambini?

Studi dimostrano come il benessere del bambino dopo la separazione sia fortemente connesso con la qualità della relazione genitore/figlio, la qualità della relazione tra i due genitori, le risorse pratiche ed organizzative come il domicilio adeguato e la situazione economica, non tanto con specifici pattern di cure o ammontare di tempo, come si vuole far credere. La qualità del contatto con ogni genitore è molto più importante della frequenza e della durata[15]. D’altra parte, l’esperienza di migliaia di anni di storia ci dimostra che la lontananza materiale dalla figura paterna, anche per lungo tempo, ad esempio per motivi di lavoro (emigranti) o di guerra (soldati, prigionieri etc.) non diminuisce affatto la qualità della relazione padre/figlio né la sua forza o intensità per tutta la vita.

Uno dei primi lavori, tanto spesso citato a supporto della custodia alternata, è quello di Bauserman[16], che risulta pieno di gravissimi pregiudizi, tra cui la mancata distinzione tra casi di residenza alternata ordinati dal giudice e quelli spontaneamente scelti dai genitori – fatto che, come ben si comprende, fa un’enorme differenza – o il fatto che i dati in esame siano estrapolati, per la maggior parte, da tesi di laurea di studenti, mai pubblicate. Le sue conclusioni quindi sono argomentate su dati non validi, che inficiano tutto il lavoro. Molti dati importanti ci vengono, invece, dall’esperienza australiana, paese che ha legiferato sulla custodia alternata nel 2006. Sulla scorta della loro esperienza, sappiamo che la custodia alternata funziona bene quando è focalizzata sui bisogni del bambino, flessibile e collaborativa, che ad essa si arriva quasi sempre in modo spontaneo. Genitori così ben disposti sono in grado di modificarsi e modificare l’organizzazione in ragione dei bisogni, desideri, necessità del bambino sempre in cambiamento, in evoluzione con la sua età e la situazione dei componenti della famiglia, esattamente come nelle famiglie unite. Genitori di questo tipo non hanno alcun bisogno di leggi e Tribunali, come dicevamo prima.

Purtroppo questo tipo di famiglia non è tipico e rappresentativo delle famiglie di divorziati. In particolare le famiglie dove la custodia alternata funziona sono caratterizzate da un alto livello culturale, da disponibilità economica, da flessibilità negli orari di lavoro, da residenze adiacenti, da padri che sono stati attivamente coinvolti nelle cure quotidiane dei loro bambini prima della separazione e da bambini già grandi, almeno di scuola elementare[17].

Interessante è anche il PUNTO DI VISTA DEI BAMBINI, che dimostrano di accettare volentieri questo tipo di soluzione quando l’organizzazione è flessibile e focalizzata sui loro bisogni, quando i genitori vanno d’accordo, quando vengono ascoltati e presi in considerazione nelle loro esigenze[18] . Ma sappiamo anche che il trasloco continuo comporta una maggiore difficoltà di tipo pratico ed emozionale al bambino, influenzato dalla frequenza dei traslochi, dalla distanza tra le case, dal livello di conflitto tra i genitori, dalla personalità dei bambini e dalle loro preferenze[19].

Infine, gli studi australiani dimostrano come la custodia alternata possa essere francamente controproducente per i bambini nei seguenti casi:

  1. a) se perdura un alto livello di conflitto tra i genitori, b) se vi sono storie di violenza ed abuso domestico, c) se vi è rigidità organizzativa.

Anzi, in tre specifiche situazioni la custodia alternata può rappresentare un vero e proprio rischio evolutivo per i bambini:

  1. Quando le madri esprimono preoccupazioni per la sicurezza dei figli;
  2. Quando il conflitto parentale è alto e presente;
  3. Quando i bambini sono molto piccoli.

C’è evidenza indubbia che l’alto livello di conflitto post-separazione crei gravi danni ai bambini. E c’è anche crescente evidenza che la custodia alternata, in tale livello di conflitto, procuri maggior danno di altri tipi di affidamento: i bambini dopo 3-4 anni di custodia alternata, secondo gli australiani, presentano maggiori difficoltà nell’attenzione, concentrazione e capacità di portare a termine compiti e attività. I maschi in custodia alternata molto rigida sono quelli a maggior rischio per iperattività/disattenzione[20] . Questi bambini sono i meno contenti e i più disposti a cambiare le modalità di affidamento. Il 43% dei bambini in custodia alternata chiede di stare più tempo con la mamma (comparati al 7-21% dei bambini in altri regimi di affidamento). Sempre dati australiani indicano che gli adolescenti preferiscono abitare in una sola casa.[21]

Tornando al protocollo di Brindisi, o dei padri separati, questo non pone distinzione in base all’età dei bambini, come se fosse la medesima cosa passare da un genitore all’altro, da una casa all’altra ad ogni età, addirittura portando la situazione ‘allattamento’ come una delle ipotesi di divisione non equa di tempo tra genitori e quindi chiarificando come il protocollo riguardi anche lattanti.

Ebbene non è così, la custodia alternata è particolarmente pericolosa per i bambini piccolissimi, come anche gli studiosi citati nel protocollo chiariscono.[22]

Per l’armonico sviluppo di un bambino, di primaria importanza è che gli sia permesso di sviluppare un buon “attaccamento”, termine col quale si intende ‘una forte disposizione a cercare vicinanza e contatto con una figura specifica e a farlo soprattutto quando spaventato, stanco o malato’. Con relazione di attaccamento si intende la connessione emozionale tra un bambino piccolo e l’adulto di riferimento, generalmente la madre, cui il bambino tende a rivolgersi per aumentare la vicinanza e contatto quando ha bisogno di nutrizione, conforto, supporto, protezione o cura. Il sistema comportamentale dell’attaccamento opera in tandem con il sistema comportamentale dell’esplorazione, in modo che, quando uno è fortemente attivato, l’altro è disattivato. In sostanza, quando il bambino si sente sicuro per la presenza della figura di attaccamento, la motivazione ad avventurarsi ed esplorare si intensifica, se invece il bambino è stressato, stanco od impaurito la sua motivazione all’esplorazione diminuisce e si intensifica la motivazione a cercare supporto nell’adulto di riferimento.

Per la salute mentale è essenziale che si sviluppi e concretizzi una relazione di attaccamento, forte, ben strutturata nei primi mesi e anni di vita. Questa relazione, che si sviluppa quasi sempre con la madre, condizionerà tutte le successive, da quella col padre a tutte le altre, per tutta la vita. Quando i genitori si separano è importante che il bambino mantenga o crei una buona relazione salda e confortevole anche col genitore con cui non risiede ma questo punto non può essere attuato a spese della relazione primaria di attaccamento.

In questa fase così precoce della vita è prioritaria la costruzione della relazione di attaccamento rispetto alla costruzione delle relazioni con entrambi i genitori[23]. Quindi la residenza alternata nei bambini sotto i tre anni è fortemente sconsigliata per l’enorme rischio psichico[24], perché se il bambino viene allontanato dalla figura con cui sta costruendo quella relazione, generalmente la madre, per periodi lunghi o che non può comprendere, i danni saranno irreparabili e duraturi. Ma esistono motivi di grande preoccupazione anche in fasce di età maggiori[25].

Di conseguenza, la schedula di “passaggi di mano” frequenti, sanciti da notti alternate, in maniera fissa, rigida, come propone il protocollo dei padri separati o di Brindisi, può essere drammaticamente controproducente per lo sviluppo del bambino e delle sue relazioni sociali.

L’Australian Association for Infant Mental Health si esprime chiaramente sostenendo come, sotto l’età di due anni, la separazione per la notte dal genitore primario, generalmente la madre, crei un profondo stress al bambino. Per questo motivo, prima dei due anni, senza alcun dubbio, le notti senza la madre devono essere evitate. Per lo stesso motivo, il tempo diurno lontano dalla madre deve essere limitato a brevi periodi di tempo che saranno gradualmente aumentati via via che il bambino cresce.

Dopo i due anni, si realizzano importanti tappe dello sviluppo che, in alcuni bambini, permetteranno periodi di allontanamento dalla madre più prolungati, in altri no. In questi casi si dovranno attendere i tre anni o anche più.

Generalmente, nel terzo e quarto anno, quando le condizioni di sviluppo del bambino, di capacità di interazione genitoriale e i problemi pratici lo permettono si possono gradualmente proporre pernottamenti a casa del secondo genitore, inizialmente rari e sempre sotto costante monitoraggio. In tutte le situazioni, comunque, deve essere data priorità alla sicurezza emozionale del bambino che deve essere attentamente monitorata ed a cui deve essere data risposta con sensibilità e razionalità proprio perché, nel caso dei bambini piccolissimi, la custodia alternata risulta particolarmente pericolosa[26], e, anche nelle migliori situazioni parentali, pone i bambini sotto i quattro anni a gravi rischi.

Interessante è notare che, negli stessi studi australiani, i genitori tendono ad essere più soddisfatti dei bambini, i padri più soddisfatti delle madri, dimostrando come la custodia alternata sposti la priorità sui diritti dei genitori, dei padri in particolare, rispetto ai diritti dei bambini. La soddisfazione delle madri declina anche in rapporto all’alto livello di conflitto, alla presenza di preoccupazioni per la sicurezza o all’obbligo di custodia alternata imposto con decreto del Tribunale. Gli insegnanti sostengono che i bambini sembrano andare meglio in residenza materna primaria che non in custodia alternata. Questo dato è particolarmente importante e degno della massima attenzione.

Gli outcome positivi visti nelle custodie alternate, in realtà, sono maggiormente in rapporto al fatto che le famiglie che la scelgono liberamente sono in sostanza “divorzi migliori”, con genitori in grado di cooperare positivamente, con flessibilità e senza interferenza di avvocati o Tribunali.

Gli esperti della università di Oxford, concludono che la custodia alternata è solo uno dei diversi metodi di custodia dei figli, che può funzionare bene in alcuni casi ma soprattutto quando è liberamente scelta da genitori in grado di cooperare tra loro, capaci anche di coinvolgere ed ascoltare il proprio figlio e di modificare i loro programmi, ma può essere molto pericolosa in altri, in particolare quando ci siano preoccupazioni per la sicurezza, quando esiste e perdura un alto livello di conflitto tra genitori, quando i bambini sono molto piccoli.

Quando si parla in nome della scienza, occorre agire con onestà intellettuale e riportare con attenzione dati, situazioni e perplessità cui spesso, proprio gli autori dello studio pervengono, pena l’accusa di frode scientifica o, quantomeno, di superficialità ed ignoranza.

I consulenti che hanno contribuito al protocollo di cui si parla hanno dimenticato di fare presente ai magistrati alcuni aspetti drammaticamente importanti: ad esempio, il fatto saliente che, dato che la custodia alternata in Svezia riguarda in massima parte ragazzi di età maggiore ai 12 anni[27], gli studi presentati focalizzano sullo stato di salute di adolescenti e preadolescenti, non certo di bambini piccoli o piccolissimi. Ed anche all’interno di questa fascia di età, sembrano andare meglio i ragazzi maggiori di 15 anni, rispetto ai 12enni.[28]

Ed ancora, a fianco di studi che dimostrano una migliore prognosi per i bambini con un maggior coinvolgimento dei padri (padri non necessariamente biologici, ma conviventi della madre)[29], ce ne sono altrettanti che dimostrano un ruolo di maggiore importanza del conflitto tra genitori rispetto alla frequenza dei contatti col padre sulla prognosi globale dei figli.[30]

In questo importantissimo studio, che ha valutato il destino dei giovani adulti, 9 anni dopo il divorzio, in base al coinvolgimento dei padri nella loro vita nei 6-8 anni successivi alla separazione ed alla presenza di conflitto tra i due genitori, si dimostra una migliore prognosi in termini di successi accademici e problemi comportamentali nei casi caratterizzati da moderata partecipazione del padre nella vita del figlio/basso conflitto genitoriale rispetto sia alla situazione bassa partecipazione/confitto moderato e alta partecipazione/conflitto alto. Tutto ciò corretto per altri fattori quali: situazione economica materna, qualità della relazione madre/figlio, successivo matrimonio della madre, sesso, età e situazione mentale del figlio durante l’adolescenza, dimostrando come sia proprio il conflitto il primo fattore causale di danno ai figli, non tanto la quantità di tempo trascorsa col padre.

Altro aspetto: la situazione economica. Molti studi che dimostrano come vadano meglio adolescenti in custodia alternata anziché in singola custodia hanno il limite di non valutare le differenze socio-economiche tra le famiglie[31], che altri studi hanno dimostrato avere un impatto maggiore sulla prognosi dei bambini in custodia alternata rispetto ai tipi di custodia[32]. Se le famiglie che arrivano alla custodia alternata sono quelle di più alto livello culturale e quindi sociale, può essere il maggior livello economico di beneficio per lo stato di salute degli adolescenti e non la custodia alternata in sé? D’altra parte il maggior livello economico può, ad esempio, già di per sé abbattere molti problemi  tecnico-organizzativi del vivere in due residenze.

Altre differenze sembrano esistere in base al sesso ma gli studi sono totalmente in contrasto tra loro: ad esempio, in alcuni studi[33] le femmine vanno peggio se perdono la figura paterna, in altri se sono in custodia al padre[34]. Anche l’età del bambino ha il suo impatto ma di questo abbiamo già discusso.

Lo stato di soddisfazione dei genitori per la propria situazione sociale ed economica e per la propria salute è un altro fattore di enorme importanza, che influenza direttamente lo stato di benessere dei figli indipendentemente dal regime di custodia. Ebbene, lo stato di soddisfazione dei genitori segue lo stesso pattern dello stato di benessere o malessere dei figli: stanno peggio i bambini in custodia singola, poi quelli in custodia alternata, mentre quelli che stanno meglio sono quelli delle famiglie intatte, così come i genitori con custodia esclusiva sono i meno soddisfatti e quelli delle famiglie unite i più soddisfatti. Anzi, la soddisfazione o meno dei genitori sembra il fattore più importante, mentre tutti gli altri (sesso, genere, risorse economiche) sembrano avere un peso marginale. Del resto la dipendenza dello stato di salute dei bambini dallo stato di soddisfazione materno era già stata dimostrata e questo in maniera del tutto indipendente dal fatto che le madri fossero donne single, separate o sposate.[35]

Occorre però anche riflettere sul fatto che genitori con scarsi rapporti coi propri figli (soprattutto padri) sono più insoddisfatti delle loro vite e mostrano un livello di salute peggiore quando paragonati agli altri genitori.[36]

Un altro interessante studio[37]  che ha valutato la sensazione soggettiva di benessere di ragazzi tra i 14 ed i 21 anni in custodia alternata, mostra la necessità che siano considerate le caratteristiche individuali del figlio quando si organizzano i modelli di custodia successivi al divorzio, perché fattori genetici ed individuali, come ad esempio la coscienziosità, (che comporta capacità maggiori di self-regolazione, di adattamento all’ambiente, di applicarsi ai problemi per risolverli etc),  possono rendere le persone più o meno vulnerabili a specifiche influenze ambientali. Questo comporta una precisa raccomandazione ai magistrati che decideranno per la custodia dei bambini: prestare grande attenzione alle caratteristiche individuali del bambino e rispondere a queste con flessibilità e comprensione senza applicare schedule rigide che si pensa vadano bene per tutti. Ciò, al contrario di quanto previsto nel protocollo.

Ai magistrati interessati a conoscere i dati scientifici occorre anche far presente come gli studi sulla prognosi dei bambini dei divorzi siano estremamente complessi e viziati dall’influenza di molti altri fattori, non semplicemente dalla modalità di custodia.

Se i bambini dei divorzi hanno un rischio maggiore di problemi emotivi, di inserimento sociale, di scarso benessere rispetto ai bambini di famiglie intatte non necessariamente questo dipende dalla quantità di tempo trascorso con ogni genitore come i padri separati vogliono far credere. Tutto questo può essere semplicemente in relazione alla perdita di risorse economiche e materiali, allo stato di salute o benessere dei genitori, alla presenza o meno di nuovi partner dei genitori, alla presenza di figli di questi etc.. [38]

In particolare risultano complessi i rapporti del nuovo matrimonio del padre con la relazione padre/figlio: alcuni studi dimostrano una influenza negativa del primo sulla seconda, altri studi dimostrano che i padri con frequenti contatti coi figli si risposano più frequentemente. Stesso discorso per il cambio di casa del padre che mostra dati contrastanti.

Altri aspetti che influenzano grandemente la qualità della relazione padre/figlio sono in rapporto a caratteristiche della madre, come le sue capacità genitoriali, il suo stato socioeconomico post-divorzio ed il suo eventuale successivo matrimonio.

Un aspetto molto importante continua ad essere il conflitto tra genitori che, sebbene più alto nella fase acuta della separazione, rimane inalterato per un prolungato periodo di tempo in approssimativamente l’8-20% dei divorzi.

Il conflitto alto influenza la quantità e la qualità del contatto padre/figlio e la prognosi dei bambini. Ma a loro volta i genitori con problemi mentali o socio-economici vanno più facilmente incontro a conflitto.

E, per finire, è possibile che la salute mentale del figlio influenzi le decisioni dei genitori circa l’assetto della custodia del bambino dopo la separazione, così come è possibile che questa influenzi, e direttamente, lo stato di benessere dei genitori.[39]

E se invece, come da taluni ipotizzato[40] il peggior stato mentale dei bambini dei divorzi fosse direttamente collegato alla disfunzione familiare che ha portato alla rottura della famiglia, anziché una conseguenza del divorzio?

Da tutti questi contrastanti risultati di una enorme quantità di studi, si evince che la relazione genitori/figli nel divorzio, come nel matrimonio, dipende da moltissimi fattori individuali e  di quella famiglia,  pratici, organizzativi, emozionali, culturali ed anche cognitivi, preesistenti al divorzio e successivi a questo, esattamente come per tutte le relazioni umane e pertanto è conveniente parlare di ‘sistema’ familiare post-divorzio più che di singoli fattori, focalizzando un approccio centrato sulla persona.

In sostanza, come nelle famiglie coese, il destino dei figli del divorzio è la risultante di una costellazione di fattori che variano e si modificano anche nel tempo, e ridurre tutto ad una ‘quantità di tempo’ è ridicolo, oltre che fuorviante e soprattutto è nozione senza alcun sostegno scientifico.

Mille fattori contestuali di quel bambino e di quella famiglia possono contribuire in maniera determinante al destino del bambino e della sua armonica crescita. Tra questi, assolutamente non presi in considerazione dal protocollo di cui si parla, il nuovo matrimonio dei genitori, il matrimonio con persone già presenti prima del divorzio e che il bambino può ritenere responsabili, la situazione economica del padre e della madre, le loro professioni, la presenza di fratelli, la distanza tra i luoghi di vita dei genitori, con la conseguente necessità di inserimento in comunità ed ambienti diversi, etc. Molto vi è ancora da sapere su come questi fattori interagiscono tra loro e contribuiscano, insieme, al funzionamento psico-sociale a lungo termine dei figli. Ridurre tutto ad un ammontare di tempo è ridicolo.

C’è, invece, una evidenza sostanziale che la qualità della relazione padre/figlio sia più importante della quantità del contatto[41]. Infatti, anche con scarsi contatti col padre, molti giovani possono sentirsi vicini ai loro padri e questi giovani sono psicologicamente più stabili di quelli che dicono di non sentirsi vicini al padre[42] dimostrando che aspetti del contatto e del supporto psicosociale che un padre può offrire, sono più importanti per i figli che non altri fattori.

Tornando al protocollo, impossibile non notare, infine, come esso prenda a mala pena in considerazione l’ipotesi dell’ascolto del bambino. Eppure è invece oramai certo, in base a studi australiani, che anche se vengono prese decisioni che ai bambini non piacciono, solo il fatto di essere stati ascoltati e di aver visto preso in seria considerazione il loro punto di vista sarà di beneficio per il bambino e per il suo successivo adattamento[43].  Questo aspetto, il mancato ascolto dei figli che pure saranno quelli che più di ogni altro porteranno il peso della decisione dei genitori o della sentenza del giudice, appare il più grave nella disamina del protocollo dei padri separati, prodotto di quella cultura patriarcale che pone in capo al padre il diritto di decisione sul destino della famiglia e che riemerge ancora e fin troppo spesso, brace ardente sotto una scarsa cenere.

Concludendo, il destino dei bambini dopo il divorzio dei genitori, dipende da numerosissimi fattori, come del resto è nelle famiglie intatte, che rendono ogni singolo caso unico ed irripetibile. Questa continua ed incessante attenzione focalizzata solo sulla ‘quantità di tempo’ spesa con ogni genitore è il risultato di interessi di adulti, molto tesi a sé stessi e poco al vero interesse dei bambini.

Ci sono serie preoccupazioni in letteratura internazionale su quanto questo tipo di scelta di custodia post separazione sia frutto dell’egocentrismo di adulti che lottano per i propri diritti e non per i diritti dei bambini[44]. In effetti questo pattern di custodia ha importanti implicazioni economiche, come il mantenimento diretto del figlio, l’assegnazione della casa coniugale o, addirittura, in Francia, detrazioni sulle imposte comunali o sulla collaborazione domestica.

Alla luce di quanto riportato, il protocollo di Brindisi, o dei padri separati, appare il manifesto di una cultura adultocentrica che ha un unico interesse: tutelare la proprietà e gli interessi del padre economicamente più avvantaggiato. Nessun vero dato scientifico alla base di un tale suggerimento, anzi dati scientifici molto seri contrari a tale posizione o molto critici, posizione che peraltro poteva venire sconfessata anche solo dal comune buon senso.

Sarebbe forse utile che i proponenti – o chiunque suggerirà per i bambini un tale percorso – facessero essi stessi un periodo di sei mesi, trascorrendo ogni due giorni in una casa diversa, con ritmi, situazioni, organizzazioni diverse, persone diverse, addirittura tenori di vita diversi e, all’esito, ne verifichino concretamente l’adeguatezza.

 

Sotto la premessa del miglior interesse del bambino, è importante trattare il bambino come un agente attivo nel processo di divorzio per garantire il suo benessere. Troppo spesso i bambini non sono bene informati e le loro domande specifiche non vengono prese in considerazione riguardo agli argomenti del divorzio. In realtà sono proprio loro le persone che dovranno adattarsi alla decisione che i genitori prenderanno e che dovranno da vivere in due case se questa sarà la decisione.[45]

 

 

Maria Serenella Pignotti

Neonatologo, pediatra, medico-legale

Vicepresidente Associazione Federiconelcuore

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[1] http://www.lemonde.fr/idees/article/2011/12/14/a-qui-profite-la-residence-alternee_1618424_3232.html#d66YsppmOPRkS26y.99

[2] Linee Guida per la sezione famiglia Tribunale di Brindisi https://www.psicologiagiuridica.eu/download/2893/

[3] http://www.camera.it/parlam/leggi/06054l.htm

[4]United Nations CEDAW/C/ITA/CO/6. Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women. 26 July 2011. Accesso il 26 giugno 2012 a http://www2.ohchr.org/english/bodies/cedaw/docs/co/CEDAW-C-ITA-CO-6.pdf

[5] https://www.istat.it/it/archivio/192509

[6] http://www.lenfantdabord.org/wp-content/uploads/2012/01/RA-GOLSE-AJ-FAMILLE.pdf

[7] Bergstrom M, Fransson E et al. Mental health in Swedish children living in joint physical custody and their parents’ life satisfaction: A cross-sectional study. Scandinavian Journal of Psychology. 2014;55:433-439; Sodermans 2013.

[8] Sarkadi A. The invisible father: how can child health care services help fathers to feel less alienated? Acta pediatrica 2014;103:234-235

[9] Sarkadi A et al. Fathers’ involvement and children’s developmental outcomes: a systematic review of longitudinal studies. Acta pediatrica 2007;97:153-158

[10] https://ilricciocornoschiattoso.wordpress.com/2012/11/17/lezioni-di-inglese-agli-psicologi-qualcuno-provveda/

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[19]Cashmore J et al. Shared care parenting arrangements since the 2006 Family law reforms: report to the Australian government attorney-General’s Department. Social policy research centre university of  New South Wales. Sidney. 2010.

[20]McIntosh J. Legislating for shared parenting: Exploring some underlying assumption. Family Court Review. 2009; 47(3):389-400

[21] Cashmore J et al. Shared care parenting arrangements since the 2006 Family Law Reforms: report to the Australian Government Attorney-general Department. Social policy research centre. University of New south wales. 2010.

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[25] Berger M., et al. (2004). La résidence alternée chez les enfants de moins de six ans : une situation à haut risque psychique. Devenir, 16, 3, 213-228.

[26]McIntosh J. Legislating for shared parenting: Exploring some underlying assumption. Family Court Review. 2009; 47(3):389-400

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Maria Serenella Pignotti

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