Privacy symposium di Venezia: non parlare dei giovani, ma ai giovani

Interventi dal Privacy Symposium di Venezia, uno degli eventi più autorevoli a livello europeo, e internazionale, sulla protezione dei dati personali.

In questi giorni ho avuto l’onore di partecipare in qualità di panelist al Privacy Symposium di Venezia, uno degli eventi più autorevoli a livello europeo — e ormai internazionale — dedicato alla protezione dei dati personali.
La cornice di Venezia, con i suoi canali, i palazzi secolari e l’eleganza senza tempo, ha reso ancora più potente il contrasto con il tema protagonista assoluto della conferenza: l’intelligenza artificiale. Un’IA sempre meno fantascienza e sempre più realtà quotidiana, che entra nei tribunali, negli ospedali, nelle scuole, nei nostri dispositivi, nei nostri pensieri. E, soprattutto, nella vita dei nostri figli.
Per approfondire il tema, ti consigliamo il volume “Educazione ai Social Media – Dai Boomer alla generazione Alfa”.

Indice

1. I grandi nomi e la centralità dell’IA al Privacy Symposium


Il livello dei relatori è stato straordinario: autorità garanti della protezione dei dati da tutto il mondo, esperti accademici, rappresentanti istituzionali, professionisti del settore, attivisti.
L’Autorità Garante italiana era ovviamente presente, e ha dimostrato ancora una volta quanto il nostro Paese sia al centro del dibattito europeo sulla regolazione dell’IA.
In particolare, mi ha colpita l’intervento della Vicepresidente Ginevra Cerrina Feroni, che ha affrontato con intelligenza e coraggio uno dei nodi più complessi del nostro tempo: il ruolo della privacy come strumento, non come fine.
Le sue parole, precise e provocatorie, hanno toccato un nodo che da tempo sento come mio, ma che non avrei saputo esprimere con altrettanta chiarezza di pensiero: “Se mettiamo la privacy sullo stesso piano del diritto alla salute, alla libertà di parola o all’istruzione, è ovvio che la privacy perde. Perché, diciamocelo, della privacy fine a sé stessa non importa a nessuno.” Ok, forse la Vicepresidente si è espressa meglio, ma il concetto rimane.
Ed è proprio qui il punto. La privacy è un mezzo, non un totem. È lo strumento che ci consente di vivere i nostri diritti fondamentali in una società democratica. Non possiamo più permetterci di considerarla un bene di lusso per i giuristi o un’ossessione da addetti ai lavori. Per approfondire il tema, ti consigliamo il volume “Educazione ai Social Media – Dai Boomer alla generazione Alfa”.

FORMATO CARTACEO

Educazione ai Social Media – Dai Boomer alla generazione Alfa

Ricordate quando i nostri genitori ci dicevano di non parlare con gli sconosciuti? Il concetto non è cambiato, si è “trasferito” anche in rete. Gli “sconosciuti” possono avere le facce più amichevoli del mondo, nascondendosi dietro uno schermo. Ecco perché dobbiamo imparare a navigare queste acque digitali con la stessa attenzione che usiamo per attraversare la strada. Ho avuto l’idea di scrivere questo libro molto tempo fa, per offrire una guida pratica a genitori che si trovano, come me, tutti i giorni ad affrontare il problema di dare ai figli alternative valide al magico potere esercitato su di loro – e su tutti noi – dallo smartphone. Essere genitori, oggi, e per gli anni a venire sempre di più, vuol dire anche questo: scontrarsi con le tematiche proprie dei nativi digitali, diventare un po’ esperti di informatica e di sicurezza, di internet e di tecnologia e provare a trasformarci da quei boomer che saremmo per diritto di nascita, a hacker in erba. Si tratta di una nuova competenza educativa da acquisire: quanto è sicuro il web, quali sono i rischi legati alla navigazione, le tematiche della privacy, che cosa si può postare e che cosa no, e poi ancora il cyberbullismo, il revenge porn, e così via in un universo parallelo in cui la nostra prole galleggia tra like, condivisioni e hashtag. Luisa Di GiacomoAvvocato, Data Protection Officer e consulente Data Protection e AI in numerose società nel nord Italia. Portavoce nazionale del Centro Nazionale Anti Cyberbullismo. È nel pool di consulenti esperti di Cyber Law istituito presso l’European Data Protection Board e ha conseguito il Master “Artificial Intelligence, implications for business strategy” presso il MIT. Autrice e docente di corsi di formazione, è presidente e co-founder di CyberAcademy.

 

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2. I miei panel: proteggere i minori nell’era dell’intelligenza artificiale


Ho avuto il privilegio di partecipare a due panel, uno in italiano e uno in inglese, entrambi dedicati al tema che più mi sta a cuore in questo momento: la protezione dei dati dei minori online, con particolare attenzione all’interazione con l’IA generativa, la manipolazione algoritmica e le nuove forme di circonvenzione digitale.
Con i Garanti di Islanda, Irlanda e Italia e con Colleghi di altissimo profilo, abbiamo discusso dei rischi insidiosi che si nascondono dietro sistemi apparentemente neutri: chatbot che instaurano relazioni pseudo-affettive con adolescenti, feed social personalizzati che rafforzano stereotipi o fragilità emotive, algoritmi che decidono cosa mostrare a un tredicenne in base al suo “profilo psicologico stimato”.
Ma la riflessione più forte, quella che continuo a portarmi dentro anche dopo la fine degli incontri, è che non basta più parlare dei giovani. Serve il coraggio, la visione e la competenza per parlare ai giovani, con i giovani. Sui loro canali, con i loro linguaggi, nei luoghi dove vivono davvero: TikTok, Twitch, Spotify.
Perché è lì che la partita si gioca. Non nei comunicati stampa, non nelle circolari ministeriali e nemmeno più sulla televisione, che dagli adolescenti del 2025 è guardata come un residuato bellico di altra generazione.

3. Una società civile (davvero) coinvolta


Ho maturato la convinzione che eventi di altissimo livello tecnico come il Privacy Symposium siano fondamentali. Offrono strumenti, stimolano idee, accendono confronti.
Ma ora serve qualcosa in più. Serve coinvolgere la società civile: i genitori, gli insegnanti, gli educatori, ma soprattutto i ragazzi, visto che di loro parliamo sempre, continuamente.
Non possiamo continuare a parlare di loro senza di loro.
Serve un nuovo patto generazionale, che non sia fondato sulla paura, ma sulla fiducia, sulla consapevolezza, sull’empowerment digitale.

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4. Costruire un futuro con l’IA (non contro)


L’incontro con una Senior Manager di Tiktok, che mi ha raccontato come i social, quando era giovane, le abbiano aperto una finestra sul mondo, a lei che il mondo lo vedeva solo dal paesino dell’Italia centrale in cui è nata e cresciuta, mi ha aperto una nuova visione su questi strumenti. Indubbia la loro potenza, possiamo (forse) smettere di considerarli il nemico pubblico numero uno, il male assoluto, e iniziare a valutarli come alleati per l’educazione e la formazione dei nostri ragazzi,
Troppo spesso il discorso pubblico su social e intelligenza artificiale è dominato da narrazioni catastrofiste. E io stessa, da giurista (e da mamma di adolescente) so bene quanto sia importante segnalare i rischi, tracciare i confini, stabilire le regole del gioco.
Ma c’è un’altra faccia della medaglia che non possiamo ignorare: l’IA può essere anche alleata dei diritti. Può aiutare a personalizzare l’istruzione, a individuare situazioni di disagio prima che degenerino, a creare strumenti accessibili per le disabilità, a supportare i genitori e gli educatori.
La vera sfida, oggi, non è fermare la tecnologia. È governarla con intelligenza, responsabilità e umanità. E per farlo serve un dialogo trasversale, aperto, intergenerazionale.

5. Conclusione: Venezia, i riflessi e la visione


Torno da Venezia con la mente piena. Piena di idee, di domande, di stimoli, di proposte che hanno preso forma nei corridoi tra un panel e l’altro, nei confronti informali, negli sguardi di chi — come me — ha scelto di esserci per contribuire a costruire una narrazione diversa sul presente che viviamo e sul futuro che ci aspetta.
Ma torno anche con qualcosa che non avevo messo in valigia all’andata, e che forse avevo un po’ smarrito nel rumore di fondo della cronaca quotidiana: speranza.
Perché in mezzo a tante complessità — normative, tecnologiche, culturali — ho visto emergere una volontà autentica di capire, di agire, di prendersi la responsabilità del cambiamento. Una comunità viva, fatta di giuristi, tecnologi, rappresentanti istituzionali e società civile, capace di confrontarsi senza cinismo, senza semplificazioni, senza apocalissi annunciate, ma con concretezza, passione e intelligenza collettiva.
La privacy, in questo contesto, smette di essere una parola opaca o un adempimento da barrare. Diventa quello che è sempre stata nella sua essenza più profonda: una condizione abilitante della libertà, lo spazio in cui l’individuo può scegliere chi essere, con chi parlare, cosa diventare. Se ben raccontata, se ben vissuta — senza tecnicismi esclusivi né retoriche sterili — può davvero diventare la chiave per garantire autonomia, dignità, giustizia sociale.
E l’intelligenza artificiale, spesso presentata come antagonista della privacy, può invece esserne lo strumento evolutivo. Se ben regolata, ben governata, ben compresa. Se pensata non per sostituire l’umano, ma per potenziarne le possibilità. Per correggere squilibri, facilitare l’accesso, intercettare bisogni, restituire tempo e senso.
A patto che ricordiamo sempre — in ogni riga di codice, in ogni policy, in ogni algoritmo — che al centro ci siamo noi. Con le nostre fragilità, le nostre vulnerabilità, ma anche con il nostro coraggio, la nostra creatività, la nostra capacità di cura.
Venezia, con i suoi riflessi mobili e le sue architetture stabili, ci ha ricordato che il futuro non è qualcosa da subire o da temere, ma da costruire insieme. Con competenza, con rigore, con ascolto.
E con quella scintilla rara che ho ritrovato nei panel, nei dialoghi e perfino nei silenzi di chi sa che proteggere i dati significa, in fondo, proteggere le persone. Non in astratto. Ma nella loro vita concreta. Nella loro libertà quotidiana.
Ed è lì, in quello spazio preciso tra consapevolezza e possibilità, che si gioca davvero la partita che conta. E che vale la pena continuare a giocare. Insieme.

Avv. Luisa Di Giacomo

Laureata in giurisprudenza a pieni voti nel 2001, avvocato dal 2005, ho studiato e lavorato nel Principato di Monaco e a New York.
Dal 2012 mi occupo di compliance e protezione dati, nel 2016 ho conseguito il Master come Consulente Privacy e nel 2020 ho conseguito il titolo…Continua a leggere

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