Presidenzialismo ed aria di riforme istituzionali

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Presidenzialismo ed aria di riforme istituzionali: evoluzione della forma di governo italiana
Negli ultimi anni, com’è ormai noto, il nostro Paese sta soffrendo un serio problema di governabilità, il quale ha portato all’affermazione di un potere sempre più significativo nelle mani del Presidente della Repubblica.
Si assiste ad una generale e sempre più densa instabilità politica nonché ad una crisi di parlamentarismo senza precedenti. Al nostro sistema parlamentare, infatti, oltre alla funzione legislativa, viene attribuita la funzione del controllo politico e delle investiture del governo.
La forma di governo italiana vede tra le sue caratteristiche principali proprio il rapporto di fiducia che lega il governo al parlamento. Il governo, pertanto, per poter operare deve ottenere e soprattutto mantenere il rapporto fiduciario. Tuttavia, la forma di governo italiana, perlomeno in via di fatto, sembra acquisire le sembianze di una repubblica semipresidenziale.
Il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nella conferenza stampa di fine anno, ha confermato e ribadito l’intenzione di attuare una riforma di stampo puramente presidenzialista, lasciando aperta la strada sul modello: “Il semipresidenzialismo non è il mio preferito, ma può esserci convergenza”.
I tratti fisionomici dell’iniziativa restano, perciò, ancora vaghi.

Indice

1. Cos’è il presidenzialismo?

La forma governo presidenziale appartiene alle forme di democrazia rappresentativa, in cui il potere esecutivo si concentra nella figura del Presidente che è sia Capo dello Stato sia Capo del governo. Tendenzialmente questo è eletto direttamente dal corpo elettorale e costituisce e nomina il proprio governo. Anche in questo caso, non occorre alcuna legittimazione o fiducia parlamentare poiché, avendo ottenuto il consenso da parte di una determinata maggioranza di cittadini, non necessita della fiducia dei loro rappresentanti. Questa forma di governo si caratterizza, pertanto, da una rigida separazione dei poteri e da un potere effettivo monocratico.

2. Cos’è il semipresidenzialismo?

Il sistema semipresidenziale, analogamente al presidenzialismo puro, fa parte delle forme di governo a democrazia rappresentativa e si caratterizza per i seguenti elementi costitutivi: l’elezione diretta del Capo dello Stato (il Presidente) da parte del corpo elettorale dell’intera nazione e la contestuale presenza di un governo (da lui nominato) e dunque di un Primo ministro (il Premier) con il quale egli condivide la funzione esecutiva.
Il Presidente è indipendente dal Parlamento, in quanto eletto a suffragio universale e diretto: è libero, dunque, da qualsiasi legame fiduciario. Il Premier analogamente a ciò che avviene nel sistema italiano, deve ottenere la fiducia da parte del Parlamento. In tale sistema, perciò, c’è una struttura diarchica del potere esecutivo.

3. Il semipresidenzialismo (di fatto) in Italia

Negli ultimi anni, per venire incontro alle difficoltà decisionali dei governi rappresentativi, il sistema politico italiano è dovuto ricorrere, diverse volte, alla soluzione dei c.d. governi tecnici vale a dire governi non politici, distaccati dai partiti e composti da esperti, chiamati ad adottare decisioni tecniche per far fronte a situazioni di emergenza. A titolo esemplificativo non può non ricordarsi il governo Monti del 2011 o quello di Draghi del 2021.
Per usare una significativa metafora, dunque, l’attuale sistema parlamentare italiano, ha richiesto, e tutt’ora richiede, periodiche iniezioni di presidenzialismo, di volta in volta sempre più corpose ed in grado di reggere le varie situazioni di crisi (economica, politica e sociale) che si prospettano.
Una parte della dottrina sostiene che la forma di governo del nostro ordinamento abbia assunto le forme tipiche di un semipresidenzialismo ricordando come, ad esempio, già la presidenza (ed il doppio mandato) di Giorgio Napolitano abbia, di fatto, rafforzato quelle ricostruzioni, un tempo minoritarie ed in sostanza trascurate e messe da parte, in base alle quali il sistema parlamentare disegnato nella Costituzione sia da considerarsi, in realtà, segnatamente dualista.
Non vi sono dubbi sul fatto che la presidenza di Giorgio Napolitano (prima) e di Sergio Mattarella (poi) abbiano rappresentato una svolta significativa: un cambiamento caratterizzato dalla perdurante e persistente ricerca di un confronto, di un dialogo, di una collaborazione con le forze politiche e con la maggioranza di governo; due presidenze capaci di mettere in atto tanto la propria auctoritas, attraverso una continua attività di moral suasion (basti pensare alla volontà di Mario Draghi di dimettersi dalla carica di Presidente del Consiglio, a seguito del mancato sostegno pentastellato del Dl Aiuti, ed al successivo rifiuto da parte di Sergio Mattarella di accettare tali dimissioni, nel mese di luglio scorso) quanto la propria potestas, nel momento in cui ciò viene imposto da determinate circostanze (si ricordi il caso Savona-Mattarella in occasione della formazione del primo governo Conte: Sergio Mattarella si era rifiutato di nominare Paolo Savona come ministro dell’Economia poiché ritenuto anti-europeista).
La “storia politica” ci fa perseverare, dunque, nel sostenere che la figura del Capo dello Stato abbia ormai superato quei, seppur labili, confini entro i quali la Costituzione lo avrebbe confinato.  Molti costituzionalisti, ricercatori e cultori della materia, infatti, non sono ormai in grado di ricostruire, senza incertezze, la posizione del Presidente della Repubblica nell’ordinamento italiano.
Ci si chiede, a questo punto, se una riforma istituzionale in tal senso sia necessaria o quantomeno auspicabile.

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4. Legge elettorale: l’eterno dilemma

In tema di evoluzione della forma di governo italiana, un quesito che ci si pone è se l’attuale legge elettorale e le precedenti leggi elettorali vigenti negli ultimi anni, siano state causa dell’instabilità politica e quindi conseguenza dell’affermazione di un maggior potere nelle mani del Presidente della Repubblica. In Italia abbiamo avuto, infatti, sistemi elettorali pressocché misti, sicuramente apprezzabili dal punto di vista della garanzia della rappresentanza democratica, meno valide dal punto di vista della solidità politico-governativa. La legge elettorale attualmente vigente, ad esempio, vale a dire la Legge Rosato, comunemente nota come Rosatellum bis, rientra tra i sistemi elettorali misti a separazione completa, prevedendo il 37% dei seggi assegnati mediante un sistema maggioritario nei collegi uninominali (c.d. sistema uninominale secco); il 61% dei seggi distribuiti secondo un meccanismo proporzionale; il 2% destinato al voto degli italiani all’estero.
Ebbene, si ritiene che i sistemi misti potrebbero anche portare ad una buona governabilità se accompagnati da correttivi come premi di maggioranza o soglie di sbarramento più elevate. Tuttavia, occorre rilevare che in contesti politici, molto frammentati, come quello italiano, non è sicuramente auspicabile un uninominale secco, estremo, come quello inglese, ad esempio, perché in tal modo si finirebbe per sopprimere il pluralismo delle idee.
Alla luce degli accadimenti della vita politica più recenti, e prendendo in considerazione il fatto che la “vita media” degli esecutivi è stata di appena 13 mesi, sarebbe auspicabile anche una riforma in senso elettorale che dovrebbe tener conto quantomeno di 3 profili:

  • Il fallimento, ormai constatato, dello strumento delle coalizioni di partito.
  • Il secondo profilo, consequenziale al primo, attiene alla frammentazione delle forze politiche in campo, il quale ha portato ad acuire i rischi di trasformismo parlamentare e che quindi hanno portato alla disgregazione della maggioranza in corso di legislatura.
  • Il problema dell’astensionismo elettorale causato proprio dal distacco tra corpo elettorale ed impianto istituzionale.

Pertanto, ove fosse possibile, una eventuale riforma di stampo semipresidenzialista dovrebbe essere accompagnata anche da una contestuale riforma elettorale che favorisca la formazione di una maggioranza chiara in Parlamento che sappia garantire, con i giusti correttivi, le condizioni essenziali di governabilità. Uno dei problemi attualmente riscontrabili nella prassi risiede nel fatto che, alla questione elettorale, si è sempre affidato il tema della stabilità degli esecutivi. Il sistema elettorale dovrebbe coinvolgere, invero, unicamente il tema della rappresentanza non anche quello della governabilità.

5. Proposte e programmi di riforma

In occasione delle elezioni politiche del 25 settembre 2022, la coalizione di centrodestra, presentava un proprio programma con i simboli dei partiti di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. Nel terzo punto denominato “Riforme istituzionali, della giustizia e della Pubblica Amministrazione secondo Costituzione”, il programma si limitava a prevedere, in maniera del tutto generica, l’elezione diretta del Presidente della Repubblica.
Da segnalare, a tal proposito, è una proposta di legge costituzionale del tutto analoga e pendente da tempo, presentata alla Camera l’11 giugno 2018, dall’allora onorevole Giorgia Meloni recante “Modifiche alla parte II della Costituzione concernenti l’elezione diretta del Presidente della Repubblica”.
Il testo proponeva d’introdurre un’elezione popolare a doppio turno del Presidente della Repubblica, il cui mandato avrebbe avuto durata di cinque anni e rieleggibile una sola volta. Le competenze spettanti al Presidente del Consiglio avrebbero dovuto essere attribuite al Capo dello Stato, il quale, pertanto avrebbe assunto il compito di dirigere la politica generale del governo, risultandone responsabile, nonché quello di mantenere l’unità di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri, con il “concorso” del Primo ministro.
E ancora, nel 2013 un dibattito in senso presidenzialista fu avviato in occasione di alcune riforme istituzionali, dividendo studiosi e politici. Sul fronte politico, tutti i partiti del centrodestra ne sostenevano il modello mentre una parte del Partito Democratico ne contestava l’inadeguatezza, l’incostituzionalità e la rigidità.
Oggi, sul versante politico, le posizioni non sono cambiate.

6. Costituzione italiana e riforma (semi)presidenzialista

La Costituzione italiana, che quest’anno compie settantacinque anni, oltre ad essere lunga, votata, scritta, laica, compromissoria e tendenzialmente programmatica, è anche (e soprattutto) rigida, vale a dire difficilmente modificabile.
La forma di governo parlamentare prevista dalla nostra Carta fondamentale rientrerebbe, pertanto, tra i punti immodificabili del dettato costituzionale. In linea di principio generale, si tratterebbe di limiti impliciti di non modificabilità, pur in assenza di una espressa previsione in tal senso.
Molteplici autori ritengono, quindi, che la Costituzione italiana non sia emendabile nelle disposizioni relative alla struttura dell’ordinamento includendo la stessa forma di governo, precludendo la strada all’eventuale riforma istituzionale.
Ciononostante, è condivisa l’opinione secondo la quale, in Italia si sia realizzata una “presidenzializzazione” del Capo dello Stato garante[1]. Ciò sarebbe avvenuto poiché, come precedentemente accennato, i poteri del Presidente della Repubblica sfuggono ad una determinata e chiara definizione costituzionale e sono destinati ad espandersi in relazione a quanto maggiore è la sfiducia che investe il sistema politico.
Tuttavia, stante le premesse appena mosse, una considerevole dottrina, tra cui emerge il pensiero del professor Roberto Bin, ordinario nell’Università di Ferrara, sostiene che, alla luce degli accadimenti politico-costituzionali degli ultimi anni, in virtù dell’evidente centralità del ruolo della figura del Presidente, benché la Costituzione formale sia rimasta invariata, la prassi politico-istituzionale abbia avviato un cambiamento di rotta in senso materiale della Carta fondamentale, la quale avrebbe spinto il nostro Paese ad acquisire, a tutti gli effetti, la fisionomia di una repubblica semipresidenziale. 

7. Conclusioni

In conclusione, viene naturale chiedersi: se un semipresidenzialismo di fatto abbia già preso piede nel nostro Paese a seguito di un sistema politicamente fragile, una riforma in senso presidenziale (o semipresidenziale) darebbe effettiva, o quantomeno maggiore, stabilità all’interno del nostro ordinamento politico-istituzionale?
La risposta al quesito non è immediata. Tuttavia una riforma in tal senso, qualora fosse costituzionalmente possibile, potrebbe favorire (il condizionale è d’obbligo) una stabilità politica maggiore, preso atto della attuale realtà socio-politica.
Secondo taluni, una riforma in tal senso intaccherebbe la figura garantista del Presidente della Repubblica: verrebbe meno, perciò, la sua posizione super partes tra le parti politiche e di rappresentante dell’unità nazionale. Un ruolo del genere non potrebbe essere rappresentato da un Presidente eletto a suffragio universale, poiché espressione di una maggioranza.
Secondo altri, nel rapporto diretto tra Presidente ed elettori, verrebbe garantita l’identificabilità e la responsabilità dell’eletto: ciò consentirebbe al corpo elettorale di esercitare il diritto di voto in modo consapevole.
 
L’attuale ministro per le Riforme, Maria Elisabetta Alberti Casellati, intanto fa sapere che “il progetto verrà affrontato nelle prossime settimane attraverso un confronto parlamentare, in effetti già avviato”.

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  1. [1]

    “Riforma Presidenzialista dello Stato Italiano. Favorevole o Contrario?” in www.proversi.it

Francesca Carrozzo

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