Politiche antielusive e strumenti giustiziali. L’esperienza della Tax Shelter legislation americana

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Ho anticipato nella prima parte di questo mio contributo lo svolgimento del tema. Dopo aver programmaticamente anticipato alcune considerazioni generali, sempre in chiave di esperienza personale, passerò ora all’esame della Tax Shelter legislation americana, per indicare una strada possibile di collaborazione costruttiva fra l’Amministrazione Finanziaria e i Tax Planners.
In primo luogo occorre chiarire che il significato della locuzione Tax Shelter è profondamente diverso da quello a cui ci si è richiamati nel nostro Paese con l’introduzione di incentivi per l’industria cinematografica, anzi tale residuo significato sconta la dimenticanza di una intensa produzione legislativa americana nel corso degli ultimi cinque anni. Sostanzialmente, come la dottrina afferma, Tax Shelter è “any method of reducing taxable income resulting in a reduction of the payments to tax collecting entities”. Le disposizioni sono state introdotte nel corso del 2002 e sono andate a regime all’inizio del 2003. Le principali modifiche sono contenute nell’American Jobs Creation Act of 2004 (P.L. 108-357) introdotto con la firma del Presidente degli Stati Uniti d’America il 22 Ottobre 2004. Come riportato nel commento ufficiale alle disposizioni introdotte dell’ Internal Revenue Service of the United States Department of Treasury “Taxpayers are required to disclose reportable transactions, as defined in Regulation §1.6011- 4, effective for transactions entered into on or after February 28, 2003……….Reportable transactions may be: 1.Listed transactions. These are tax avoidance transactions; 2.Confidential transactions. These are transactions offered under conditions ofconfidentiality, such as where the disclosure of a transaction is limited in any manner by express or implied understanding or agreement whether or not such understanding or agreement is legally binding; 3.Transactions with contractual protection. These are transactions when the taxpayer has the right to a full or partial refund of fees paid to any person who makes or provides an oral or written statement about the potential tax consequences of a transaction if it is not sustained, or if fees are contingent on the taxpayer’s realization of tax benefits from the transaction……..”. Sostanzialmente ogni soggetto passivo, ma anche ogni professionista o promoter che pone in essere operazioni che comportino un risparmio di imposta rispetto al livello di tassazione che si sarebbe sopportato in assenza del Tax Shelter deve segnalare l’operazione stessa all’autorità finanziaria ricevendo un numero identificativo che viene denominato Tax shelter registration number. Tale codice identificativo deve essere indicato sia nella dichiarazione fiscale dei soggetti partecipanti al Tax Shelter segnalato, sia in qualunque documento che diffonda verso terzi il progetto medesimo, sollecitandone l’adesione. Con tale comunicazione, per la cui omissione sono previste pesanti sanzioni civili, amministrative e penali, chiunque è in grado di venire a conoscenza che il proposto Tax Shelter è sotto esame della Amministrazione Finanziaria e che una eventuale inclusione fra gli Abusive Tax shelter, per i quali viene pubblicata una apposita list comporterà il recupero dell’imposta per differenza. Nel caso in cui, come abbiamo visto, il Tax shelter project venga inserito nella list of Abusive Tax shelter, l’Amministrazione Finanziaria provvederà al recupero della sola imposta, senza l’applicazione di alcun tipo di sanzioni. In sostanza la obbligatoria comunicazione del Tax shelter project viene remunerata con la non applicazione di alcun tipo di sanzioni. La logica che muove la legislazione americana si espone ad una serie di considerazioni che mi accingo ad esporre suddividendo la tematica in quattro punti:
– ciò che è stato esposto, anche se in maniera necessariamente sintetica e puntuale, nell’esame della Tax shelter legislation non è patrimonio esclusivo del sistema giuridico americano, ma già da diversi anni si va affermando in altri sistemi giuridici nazionali, tipicamente in paesi di common law tradition. La possibilità di una leale collaborazione fra il Tax Planner e l’Amministrazione Finanziaria è quasi “naturale” in un sistema giuridico ispirato ai principi della common law. La motivazione risiede nella consapevolezza che l’interpretazione è essa stessa fonte di legge, non per una confusione di poteri e di ruoli, ma perché è impossibile sostenere che “la norma giuridica vigente sia un dato monolitico, integralmente espresso dalla proposizione prescrittiva”. Sergio Cotta nell’introduzione al suo “Giustificazione e obbligatorietà delle norme” imposta con la consueta chiarezza ed autorevolezza i termini del problema. “Al giurista competerebbe unicamente di verificare la validità formale della norma, sia riguardo alla sua corretta derivazione dalla fonte autorizzata, sia riguardo alla sua coerenza sistematica con l’ordinamento giuridico nel suo complesso……. E’ chiaro che il positivismo ed il formalismo giuridico hanno efficacemente contribuito alla diffusione di codesto modo di vedere la questione………” Al contrario “le attuali teorie della interpretazione hanno messo in luce una valenza che può dirsi di innovazione e persino di invenzione (nel significato letterale di in-venire, trovare-in) non solo semantica bensì anche normativa nel senso che stabilisce il dover-essere innovato o in-ventato della norma interpretata………… il risultato più importante ricavabile dalla teoria e dall’uso pratico della interpretazione, è che la norma giuridica è un plesso duale, per così dire, costituito da due elementi inseparabili: l’enunciato linguistico, opera del legislatore, e l’interpretazione di tale enunciato, opera della dottrina e della giurisprudenza.” Nel testo citato è possibile proprio rinvenire il principio filosofico alla base della Tax shelter legislation: non c’è norma giuridica che non sia da interpretare, vuoi per ragioni evolutive, vuoi per ragioni adattative, anzi l’interpretazione stessa fa parte della norma, è uno dei due poli di quell’unico plesso che è la norma giuridica nella sua vincolatività ed efficacia. Inoltre in tal modo il sistema guadagna di efficienza, in-ventandosi nuove norme dall’attività interpretativa. L’interpretazione, come lo stesso Cotta ammette anche citando Paul Ricoeur, è opera della dottrina e della giurisprudenza, e “consiste in quel lavoro di pensiero che tende a decifrare il senso nascosto nel senso apparente, ed a manifestare i livelli di senso implicati nel significato letterale”. Solo una leale collaborazione fra la dottrina e la giurisprudenza e fra queste ed il potere legislativo permetterà una giustificazione delle norme, fenomeno sociologicamente propedeutico all’assenso, all’obbligatorietà delle norme stesse, che, integrandosi esse stesse ed in-ventandosi nella interpretazione, sia costantemente secundum legem e mai praeter legem o contra legem. Che si possa interpretare contra legem o praeter legem è un dato evidente, pena l’inutilità delle legislazioni antielusive (contra legem agere di pauliana memoria) o il ricorso alla nozione di abuso del diritto (praeter legem agere secondo i principi richiamati recentemente dalla Suprema Corte di Cassazione nonché dalla Corte di Giutizia U.E.), che quindi sia necessario correggere, anzi impedire, che si radicalizzi la possibilità di interpretare una norma non secundum legem è un obiettivo. Tale obiettivo si può raggiungere con la repressione o la criminalizzazione dei richiamati comportamenti, risultandone che l’eliminazione fisica di taluno non impedirà ad altri di ripeterli, o con la collaborazione, imponendo quindi che sia da segnalare all’Autorità Amministrativa l’esistenza di una possibile interpretazione della norma contra o praeter legem  al fine di una sua modifica da parte del potere legislativo che riporti i soggetti passivi, destinatari della norma stessa, ad un comportamento ispirato da una interpretazione secundum legem, senza conseguenze, né amministrative né penali, per chi favorisce tale correzione. Questa è esattamente la legislazione americana sui Tax shelter; la dottrina, che nella sua attività in-venta una interpretazione della norma tale che la sua applicazione a nuovi fatti economici determini che gli stessi vengano letti dalla norma giuridica in modo assolutamente difforme da quello che la stessa norma aveva previsto in termini di fattispecie e di conseguenze giuridicamente rilevanti, deve segnalare tale in-venzione senza subirne, anche se già applicata una volta a casi concreti, conseguenze di nessun tipo, affinché la norma stessa sia integrata e di essa non sia più possibile una interpretazione diversa da quella secundum legem.
– che di dottrina si tratti nel caso di specie, sembra diversamente inteso nel nostro sistema sociale, che, ispirandosi a tradizioni del tutto opposte, sembra più portato a squalificare il Tax Planner alla stregua di qualche eroe negativo del fumetto nostrano o addirittura dei peggiori criminali per i quali il nostro Paese è piuttosto famoso nel mondo. Il nostro sistema, come argutamente ha osservato Angelo Panebianco sul Corriere della Sera, supportato da una parte della giurisprudenza di derivazione sessantottina e positivista, considera il “reato del colletto bianco” socialmente più riprovevole di altri, con la conseguenza che il “colletto bianco”, presunto “reo” deve essere preventivamente annientato, perché istintivamente scatta una presunzione (da pretendere e non da presumere) di colpevolezza, mentre al presunto omicida devono essere risparmiate misure cautelari di ogni tipo, perché meritevole della presunzione di innocenza (sicuramente ora da presumere) fino a prova contraria o, purtroppo la storia insegna, fino ad un nuovo omicidio. Contrariamente alla presunzione monolitica del normo-positivismo nostrano, l’esperienza dei paesi di common law ci insegna la convenienza di una collaborazione, che non deve, per quanto ci interessa, passare necessariamente dai soliti indirizzi milanesi ai soliti indirizzi romani secondo procedure lobbiste, segrete solo nella facciata, ma che sia possibile per tutti coloro che, in-ventando contra legem o praeter legem, possano contribuire ad una comune interpretazione della norma secundum legem. Eticamente nei paesi di common law non ci si scandalizza se qualcuno afferma che la norma è incompleta o lacunosa, non si criminalizza chi, sfruttando tali lacune, organizza in modo più vantaggioso il business, ma non si tollera che questa capacità di in-ventare non sia messa a servizio dello Stato. D’altronde solo un’ipocrita visione del mondo professionale ed accademico italiano ci permette di non concepire il Tax Planner come parte della dottrina, giacché chiunque in materia può rivolgersi all’occorrenza ai più gettonati studi professionali imparentati, per sangue o per vincoli contrattuali storici, ad insigni accademici, questi sì sicuramente, ed a ragione, ricompresi nella dottrina. Insomma la Tax shelter legislation americana ed in genere propria dei paesi di common law permette una collaborazione trasparente fra dottrina e poteri amministrativi e legislativi che gioca a vantaggio della efficienza e della efficacia giuridica.
– nel nostro sistema giuridico tributario sono riscontrabili lacune derivanti spesso dal mancato coordinamento delle norme interne con le norme di diritto tributario internazionale, in particolare con le Convenzioni contro la doppia imposizione. Nel panorama accademico internazionale va diffondendosi lo studio e l’insegnamento di una particolare e nuova disciplina, che vorrei chiamare “fiscalità applicata”. E’ importante notare che, quasi ovunque, tale disciplina viene catalogata fra le materie economiche e non fra quelle giuridiche. La fiscalità applicata consiste nello studio della applicazione concreta delle norme tributarie, sia di quelle interne ai singoli Stati sia di quelle che pongono gli stessi Stati in relazione fra loro, ai fatti economici caratterizzati dalla transnazionalità, cioè dal necessario loro riferimento ad almeno due diverse giurisdizioni. E’ innegabile che la aumentata mobilità dei fattori generatori di reddito imponibile abbia sollecitato gli Stati ad introdurre norme di diritto tributario internazionale; è innegabile l’importanza crescente dello studio di quella che Carlo Garbarino ha, per primo, chiamato la “tassazione transnazionale del reddito”; oggi, con una globalizzazione cresciuta anche a dismisura e disordinatamente, si deve ripensare il concetto di reddito, finora tipicamente riferito, in termini giuridici, ad una sola giurisdizione. Finora anche in presenza di un reddito imponibile caratterizzato dalla presenza di elementi di estraneità rispetto all’ordinamento giuridico del Paese di residenza del soggetto passivo, grazie alle Convenzioni contro la doppia imposizione, era possibile ragionare in termini di tassazione del reddito transnazionale, ma oggi sempre più si avverte l’influenza della mobilità dei fattori produttivi di reddito sui criteri di scelta della localizzazione di investimenti produttivi e sempre più si avverte la crisi del concetto di allegiance fondato sul criterio della residenza o della cittadinanza quale nexus fra il soggetto passivo e l’ordinamento giuridico. Dobbiamo ragionare non solo di tassazione del reddito transnazionale, ma anche di tassazione transnazionale del reddito. L’attenzione non va posta solo sulla tassazione da parte dello Stato su un reddito transnazionale, ma il focus va spostato sul reddito, che poiché mobile, è colpito da una tassazione transnazionale. Per il soggetto passivo, il reddito è uno solo ed una sola è la tassazione complessiva, anche se l’obbligazione tributaria nasce verso più Stati dotati di sovranità tributaria. Mentre nella tassazione del reddito transnazionale il focus viene ad essere lo Stato e le norme che disciplinano il diritto tributario anche su redditi transnazionali, nella tassazione transnazionale del reddito il focus è il soggetto passivo in quanto titolare di un solo reddito, sul quale più giurisdizioni applicano concretamente le proprie pretese tributarie, anche se collegate e coordinate fra loro. La fiscalità applicata consiste nello studio della tassazione transnazionale del reddito e nel confronto fra tale tassazione effettiva e quella teoricamente determinabile in base alla tassazione del reddito transnazionale. Se non ci fosse Tax Competition, se non esistessero agevolazioni territoriali, se non ci fossero clausole convenzionali di tax sparing credit, se i metodi di imputazione del reddito di impresa al reddito di capitale fossero omogenei, se le norme interne ad ogni Stato fossero coordinate con le Convenzioni contro le doppie imposizioni, se concetti usati nel diritto internazionale, quali beneficiario effettivo, agent, partnership etc. avessero ovunque lo stesso significato, se…se..se…., allora la tassazione transnazionale del reddito coinciderebbe per un soggetto passivo con la perfetta Capital Export Neutrality e sarebbe sostanzialmente analoga alla tassazione del reddito transnazionale. Ma così non è: anche un soggetto passivo italiano, operando transnazionalmente, versa in situazioni di overtaxation rispetto alla Capital Export Neutrality, nonostante le Convenzioni contro la doppia imposizione, o di undertaxation, nonostante tutti gli sforzi di immaginare a tavolino una politica antielusiva puntuale, nel senso definito nella prima parte di questo intervento. Il Tax Planner va alla ricerca delle situazioni internazionali di undertaxation e disegna le strade, i percorsi della internazionalizzazione finanziaria necessari al suo conseguimento.
– se in Italia fosse stata introdotta tempo addietro una Tax shelter legislation ispirata ai canoni relazionali ed ai principi di diritto che abbiamo sopra visto e che permeano i sistemi di diversi paesi esteri, molti Tax Planners, io compreso, avrebbero sicuramente dovuto segnalare alcuni Tax shelter project; ad esempio io avrei senz’altro dovuto segnalare la contraddizione esistente fra l’allora vigente disciplina fiscale italiana della associazione in partecipazione, considerata ancora come ispirata alle contractual joint venture, secondo la quale era detraibile il componente negativo di reddito rappresentato dal compenso dovuto all’associato e la normativa di alcuni Stati Esteri, dove il medesimo contratto viene tuttora considerato come una corporate joint venture con conseguente esenzione, totale o parziale, del componente positivo di reddito, rappresentato dal compenso percepibile dall’associante. Ancora avrei dovuto segnalare la contraddizione fra la detraibilità del costo sostenuto per l’acquisto del diritto di usufrutto su titoli azionari ed il contemporaneo regime di tassazione dei dividendi ex articoli 69 e 69bis TUIR nella versione precedente la riforma IRES. Si obietterà che lo scopo della cessazione di tali pratiche elusive è stato comunque raggiunto, attraverso le modifiche introdotte sui temi citati appunto in sede di riforma IRES ed attraverso l’esemplare punizione di quanti avevano così audacemente interpretato in fraudem legis; ma, nonostante io non sia più ora considerabile promoter, consulente, professionista o semplice soggetto passivo in Italia, nella ipotetica vigenza di una Tax shelter legislation domestica, dovrei ribadire, comunicando quindi a chi di dovere, non pubblicamente come ora, ma con formale comunicazione, che è ancora possibile una interpretazione contra legem o praeter legem delle novelle disposizioni dei commi 8 e 9b dell’articolo TUIR oggi vigente e che quindi o tali ultime interpretazioni sono pur sempre giustificatrici della norma, quindi non in fraudem legis, o le stesse alternativamente devono ancora una volta essere cambiate o integrate, proprio grazie agli effetti della Tax shelter legislation. Quante fatiche e quante ingiustizie risparmiate a incolpevoli soggetti passivi in buona fede o a diligenti ed impotenti funzionari pubblici periferici! D’altronde, giace agli atti una relazione del Secit, ante ristrutturazione, dove veniva raccomandato all’allora Ministro delle Finanze pro-tempore ed ai suoi adepti di adoperarsi per aggiungere una lettera (allora eravamo solo alla e) all’elenco di cui al terzo comma dell’articolo 37 bis del D.P.R. 600/73, ricomprendendovi i contratti di associazione in partecipazione, cessando quindi ogni contraria interpretazione circa la elusività dei medesimi potenzialmente generatori di risparmi di imposta. L’inserimento di una lettera aggiunta nell’articolo 37 bis avrebbe significato riportare una interpretazione praeter legem, ritengo, o comunque contra legem ad altra secundum legem. Si è ritenuto più opportuno inserire nel nostro ordinamento una norma anti…..elusiva puntuale, arrivando alle citate disposizioni oggi vigenti. Ma, in un maldestro tentativo di legal transplant dalle legislazione riformate dei nostri partners, si è anche introdotto l’articolo 115 TUIR, senza considerare gli effetti di coordinamento fra tali normative. Adempio ugualmente un obbligo morale, come spiegato nella prima parte del mio contributo, segnalandone i motivi. Occorre partire richiamando il disposto del comma 12 dell’articolo 115 TUIR che dispone che “Per le partecipazioni in società indicate nel comma 1 il relativo costo è aumentato o diminuito, rispettivamente, dei redditi e delle perdite imputati ai soci ed è altresì diminuito, fino a concorrenza dei redditi imputati, degli utili distribuiti ai soci”. Si consideri allora una società di capitali italiana controllata da due altre due società, per le quali si versi in una situazione di trasparenza ex art.115. Si consideri un valore di carico della partecipazione nel bilancio delle società controllanti di 1000, corrispondente al valore del patrimonio netto della società controllata. Si consideri ancora l’esistenza di un contratto di associazione in partecipazione che veda la società controllata associare un terzo soggetto con una remunerazione del 50% dei propri risultati. Si ipotizzi un reddito civilistico della società controllata di 500, ottenuto dopo l’iscrizione a bilancio civilistico del compenso all’associato di ulteriori 500. Stante la legislazione vigente il reddito imponibile imputato per trasparenza sarà 1000, mentre il valore di carico della partecipazione sarà aumentato a 2000. In caso di distribuzione di dividendi, che per semplicità espositiva assumiamo pari a 500, il valore di carico della partecipazione sarà pari a 1500, a fronte di un patrimonio netto di residui 1000. Ora considerando una vendita infragruppo delle partecipazioni nella società controllata da parte delle società controllanti per il valore pari al corrispondente patrimonio netto si otterrà in capo alle società controllanti stesse una minusvalenza deducibile di 500, esattamente uguale al compenso erogato all’associato in partecipazione per il quale è stata fieramente negata la deducibilità, ferma la esenzione del componente positivo in capo all’associato, stante le previsioni del vigente articolo 89 TUIR. Mi associo alle pur datate considerazioni del SECIT, sperando che non si ripeta un’ulteriore norma antielusiva puntuale. Si considerino ora le stesse società di cui sopra, si consideri la società controllata italiana essere una società finanziaria o bancaria che procede all’acquisto del diritto di usufrutto di un prestito obbligazionario emesso da una istituzione finanziaria brasiliana e sottoscritto da una istituzione finanziaria europea. Non sarà difficile rintracciare nella prassi anche domestica situazioni di tal tipo. Se esaminiamo la normativa convenzionale italo-brasiliana esistente, noteremo che l’articolo 23 dispone al quarto comma che “Ai fini della deduzione stabilita al paragrafo 2 del presente articolo, l’imposta brasiliana è sempre da considerarsi pagata   con l’aliquota del 25 per cento dell’ammontare lordo: a) dei dividendi definiti al paragrafo 4 dell’articolo 10; b) degli interessi definiti al paragrafo 4 dell’articolo 11, e        c) dei canoni definiti al paragrafo 4 dell’articolo 12”. Quello che sembra un normale credito di imposta per imposte assolte all’estero, è viceversa, in prima approssimazione, un tax mathcing credit, stante che l’aliquota della normale witholding tax sugli interessi prevista all’articolo 11 della Convenzione Italia Brasile è il 15%; bisogna inoltre considerare che la legislazione brasiliana concede l’esenzione della witholding tax sugli interessi su prestiti obbligazionari qualora la fonte pagadora dei medesimi sia situata fuori dal territorio brasiliano, anche se la stessa fosse localizzata in paradisi fiscali, trasformandosi allora il credito d’imposta in tax sparing credit. Quindi potrebbe essere non impossibile imbattersi in una struttura societaria come quella che abbiamo descritto, nella quale alla società controllata derivi un reddito da interessi portante con sé un tax sparing credit del 25%, stante l’assoluta detraibilità del costo sostenuto del diritto di usufrutto sul prestito obbligazionario, poiché non collegato ad “una partecipazione societaria da cui derivino utili esclusi ai sensi dell’articolo 89” TUIR. In regime di trasparenza la spettanza del tax sparing credit rimane da verificarsi nella società controllata, mentre i suoi eventuali effetti positivi e quelli derivanti dalla detraibilità del costo di acquisto dell’usufrutto si trasferirebbero in capo alle società controllanti. Più in generale tutto l’articolo 115 andrebbe ripensato, stante la non sostenibilità giuridica della tesi sostenuta nella Risoluzione 171/E del 19 dicembre 2005 della Agenzia delle Entrate – Dir. normativa e contenzioso; infatti sostenere che una società non residente deve qualificare il reddito imputato per trasparenza da una società di capitali italiana come reddito da partecipazione, mentre nelle stesse condizioni una società italiana lo qualificherebbe come reddito d’impresa, è una palese violazione del principio di non discriminazione vigente sia in tutte le Convenzioni internazionali stipulate dall’Italia con partners europei, sia nella consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia U.E. Se ciò non fosse da intendersi ancora una volta in fraudem legis, ma solamente praeter legem, occorrerebbe correre davvero ai ripari, essendo sufficiente prevedere che la partecipazione di un soggetto non residente in una società di capitali italiana ammessa al regime della trasparenza fiscale ex art. 115 TUIR costituisce stabile organizzazione in Italia del soggetto non residente. D’altronde, anche se non è questa la sede, tale tesi è sicuramente descrittiva della realtà fattuale e concettuale dello stesso istituto della trasparenza ed inoltre è già stata positivamente introdotta, ad esempio, in U.S.A con riferimento alle partnership trasparenti. Ricordo un colloquio amicale fra un ex off counsel del mio ex studio ed un ex alto funzionario della Agenzia delle Entrate, post spoil system, il quale ultimo davanti alla esplicazione confidenziale di quanto sopra esposto ammise che in sede di stesura del 115 non si era posta la dovuta attenzione al coordinamento con altre norme e che una preventiva consultazione delle parti professionali sarebbe stata opportuna, come sempre. Sarebbe stata opportuna, anzi sarebbe obbligatoria, se fosse vigente una legislazione fondata sulla non contrapposizione fra i diversi soggetti del rapporto tributario sullo stile dalla Tax shelter legislation americana. Per parte mia, con una saggezza sicuramente tardiva, devo ammettere che quanto sopra è sicuramente praticabile nel settore dell’imposizione diretta. Per quanto riguarda il settore dell’imposizione indiretta sia sufficiente la considerazione, in troppe notti suggeritami da un mio personalissimo grillo, pur in attesa, per quanto mi riguarda, di definitive pronunce, che è auspicabile la non ripetizione di condoni, la chiarificazione di alcune problematiche, che possono essere facilmente mal percepite, legate al concetto di operazioni inesistenti, e l’adozione di correzioni al meccanismo della rivalsa che mettano al riparo, anche e soprattutto, dalla semplice accusa di frode quanti possano dimostrare la propria buona fede o, comunque, l’adempimento delle proprie obbligazioni; tematiche che sembrano davvero ora al centro dell’attenzione della Commissione Europea e del Parlamento Europeo e per le quali auspico un preventivo ed istruttivo studio della solita esperienza americana in materia.
 
Giampaolo Còrabi

Corabi Giampaolo

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