Personale sanitario e mansioni superiori (Cons. Stato, n. 5831/2011)

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Massima

Il diritto alla retribuzione per le mansioni superiori svolte – di norma escluso per tutti i settori del pubblico impiego – ha ottenuto un riconoscimento specifico, a determinate condizioni, nell’area del personale appartenente al servizio sanitario nazionale ai sensi dell’art. 29 del d.P.R. n. 761/1979.

 

 

1. Premessa

La pronuncia in esame riguarda il settore della sanità pubblica, il quale, a differenza di quanto accade nel resto del pubblico impiego, esiste una normativa primaria specifica, costituita dall’art. 29 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, la quale rende possibile la corresponsione delle differenze retributive relative alle mansioni superiori esercitate.

In via preliminare va rilevato che secondo costante giurisprudenza di questa sezione, in presenza di posto vacante, “lo svolgimento delle mansioni primariali, o figura equiparata, da parte di chi si trovi in posizione funzionale intermedia comporta, secondo ormai costante orientamento del Consiglio di Stato (1), il riconoscimento del relativo trattamento economico, indipendentemente da ogni atto organizzativo da parte dell’Amministrazione, in quanto non è raffigurabile l’ipotesi di una struttura sanitaria che rimanga priva dell’organo di vertice responsabile dell’attività esercitata nel suo ambito.

Tale conseguenza discende, innanzitutto, dall’art. 29 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, il quale dispone nel senso (comma 2) che in caso di esigenze di servizio, l’impiegato del Servizio sanitario nazionale “può eccezionalmente essere adibito a mansioni superiori”, che l’assegnazione non può eccedere i sessanta giorni nell’anno solare e che (comma 3) non costituisce esercizio di mansioni superiori la sostituzione di personale in posizione funzionale più elevata, quando la sostituzione rientri fra i compiti ordinari di quella sottostante, sicché, per converso, come ha posto in luce la giurisprudenza, non può rientrare nelle ipotesi descritte l’esercizio di mansioni per vacanza del posto, di tal che la protrazione dell’attività è riferibile unicamente ad inerzia del datore di lavoro e non può essere fatta ricadere sul dipendente che è tenuto ad osservare l’obbligo fattogli dalla legge; va, inoltre, considerato il disposto dell’art. 121, comma 7, del d.P.R. 28 novembre 1990, n. 384, ai sensi del quale l’incarico di mansioni superiori comporta il compenso, eccetto che per i primi sessanta giorni, per un periodo fino a sei mesi, per cui, anche in relazione a questa regola, il superamento del termine di sei mesi, come fatto riconducibile ad attività e ad obblighi imposti alla amministrazione, e da questa non osservati, non fa venir meno lo svolgimento di mansioni, che vanno, perciò, riconosciute sul piano economico, sempre in dipendenza dell’obbligo di prestazione gravante sul medico, non rilevando se le stesse siano o meno esercitate in modo prevalente.

Infatti, la stessa giurisprudenza considera che il trattamento retributivo corrispondente a mansioni superiori spetta al sanitario anche quando l’incarico si protragga oltre il termine massimo di sei mesi previsto dall’art. 121 comma 7 d.P.R. 28 novembre 1990 n. 384, posto che quest’ultima previsione normativa si limita a vietarne il rinnovo alla scadenza del periodo massimo di sei mesi, ma non preclude il riconoscimento della spettanza delle differenze retributive quando l’amministrazione, contravvenendo a tale divieto, rinnovi l’incarico o permetta la prosecuzione dell’espletamento delle mansioni superiori anche oltre il tempo massimo previsto (2).

 

2. Differenze retributive e funzioni primariali

Va tenuto presente che, con riferimento alla materia sanitaria, la giurisprudenza della Sezione è assolutamente consolidata nell’affermazione del diritto alle differenze retributive in caso di svolgimento di funzioni primariali da parte del dirigente di 1° livello, ma alla condizione che, fra l’altro, si tratti di un posto, oltre che vacante, anche disponibile.

L’orientamento giurisprudenziale favorevole alla retribuzione delle mansioni superiori di primario, anche in assenza di un formale provvedimento di incarico, si fonda comunque sulla circostanza che l’Amministrazione sarebbe stata nelle condizioni giuridiche di procedere alla nomina o all’incarico, e ciò per la ragione che l’inerzia ingiustificata nell’esercizio del potere non può risolversi in danno dei soggetti privati coinvolti.

Da tale ipotesi, peraltro, va tenuta distinta la situazione, emersa nella presente vicenda, determinata dal difetto del provvedimento autorizzatorio alla copertura del posto, secondo la prescrizione dell’art. 9 comma 1, della legge n. 207 del 1985, richiamato dall’art. 121 del d.P.R. n. 384 del 1990.

La mancanza della detta autorizzazione, infatti, opera una sorta di congelamento del posto, il quale, sebbene vacante, non può considerarsi coperto neppure in via di fatto, avendo la legge demandato alla Regione il potere di stabilire se debba essere ricoperto. Ne consegue che lo svolgimento delle relative mansioni risulta irrilevante anche nei suoi riflessi economici (3).

 

Rocchina Staiano
Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato

 

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(1) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 12 aprile 2005, n. 1640; Cons. Stato, sez. V, 20 ottobre 2004 n. 6784; Cons. Stato, sez. V, 16 settembre 2004 n. 6009; Cons. Stato, sez. V, 2 settembre 2004 n. 5740; Cons. Stato, sez. V, 12 maggio 2003 n. 2507; Cons. Stato, sez. V, 5 novembre 2002 n. 6017; Cons. Stato, sez. V, 20 ottobre 2000 n. 5650; Cons. Stato, sez. V, 18 agosto 1998 n. 1270.
(2) Cons. Stato, sez. V, 29 gennaio 2004, n. 298.
(3) Cons. Stato, n.375 del 2008.

Sentenza collegata

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Staiano Rocchina

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