Non è risarcibile il danno per la perdita della capacità lavorativa specifica se il paziente danneggiato non ha effettivamente perso il lavoro. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon
Indice
1. I fatti: perdita della capacità lavorativa
Un signore di 46 anni si recava presso il pronto soccorso di un ospedale campano a causa di una forte lombosciatalgia che non riusciva a ridurre con la terapia farmacologica e veniva dimesso dalla struttura sanitaria con una diagnosi di lombosciatalgia. Tuttavia, il paziente continuava ad avvertire dolore anche nei giorni successivi nonché deficit nella minzione.
Per tale ragione, il paziente si recava nuovamente presso il pronto soccorso due giorni dopo. Durante il secondo accesso, i sanitari gli diagnosticavano una voluminosa ernia discale con deficit neurologici e, dopo la consulenza di uno specialista in neurochirurgia, il paziente veniva ricoverato d’urgenza e durante il ricovero si verificava un aumento significativo dei deficit motori e funzionali. Conseguentemente, il paziente veniva sottoposto ad un intervento chirurgico per rimuovere l’ernia.
In considerazione dei suddetti deficit residuati, il paziente arriva al tribunale di Santa Maria Capua Vetere chiedendo la condanna della struttura sanitaria al risarcimento dei danni subiti, sia a carattere non patrimoniale (danno biologico) sia a carattere patrimoniale (perdita della capacità lavorativa), che parte attrice imputava al ritardo diagnostico della propria patologia e al conseguente ritardo nella esecuzione dell’intervento chirurgico da parte dei sanitari dell’Ospedale. Infatti, secondo la ricostruzione di parte attrice, se i sanitari fossero intervenuti tempestivamente, si sarebbero potuti evitare i deficit vescicale e motorio residuati a carico del paziente. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon
Manuale pratico operativo della responsabilità medica
La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia. L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario. Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.
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2. Le valutazioni del Tribunale
In primo luogo, il tribunale campano ha passato in rassegna i principi che disciplinano la responsabilità della struttura sanitaria in caso di eventi di malpractice medica.
In particolare, il giudice ha ricordato che la struttura sanitaria risponde verso il paziente a titolo di responsabilità contrattuale per i danni subiti da quest’ultimo e dipendenti dalla non diligente esecuzione della prestazione medica cui la struttura era tenuta. Tale responsabilità ricorre sia nel caso in cui la prestazione non correttamente adempiuta sia stata fornita da un medico, paramedico o ausiliare dipendente della struttura sanitaria, sia nel caso in cui sia stata fornita da personale medico non dipendente della struttura sanitaria.
Ciò in considerazione del fatto che, in ogni caso, al momento del ricovero del paziente, tra quest’ultimo e la struttura sanitaria viene stipulato un contratto.
Detto contratto e qualificabile come un rapporto complesso ed atipico, che sorge nel momento in cui il paziente viene accettato all’interno della struttura sanitaria. Le prestazioni che derivano da detto contratto a carico della struttura sanitaria non solo soltanto quelle terapeutiche in senso stretto, ma comprendono anche quelle di carattere organizzativo (sicurezza delle attrezzature degli impianti, vigilanze custodia degli assistiti) nonché prestazioni di natura alberghiera (somministrazione di vitto ed alloggio).
Dalla natura contrattuale del rapporto tra struttura sanitaria e paziente, deriva che il creditore, paziente danneggiato, che agisce per il risarcimento del danno, ha l’onere di provare soltanto la fonte del proprio diritto, mentre può limitarsi ad allegare la circostanza dell’inadempimento da parte del debitore. L’applicazione di questo principio in tema di riparto dell’onere probatorio nella materia della responsabilità medica, fa si che il paziente non possa limitarsi ad allegare un qualsiasi inadempimento della struttura sanitaria, ma deve allegare un inadempimento che costituisca la causa astrattamente efficiente a produrre il danno che egli ha subito (c.d. Inadempimento qualificato).
In altri termini, il paziente dovrà fornire la prova del contratto con la struttura sanitaria e dell’aggravamento della sua patologia o dell’insorgenza di una nuova patologia nonché del nesso di causalità tra la patologia e la condotta posta in essere dai sanitari.
Dopo che il paziente avrà adempiuto all’onere probatorio, graverà sulla struttura sanitaria l’onere di provare che la prestazione professionale e stata eseguita in maniera diligente e che il danno subito dal paziente è dipeso da un evento imprevedibile e inevitabile.
Per quanto concerne la tipologia dei danni che sono liquidati a favore del creditore danneggiato, il tribunale ha evidenziato come all’interno della nozione di danno biologico sono ricompresi tutti i pregiudizi che riguardano i profili dinamico-relazionali della vita del soggetto danneggiato nonché ogni aspetto che riguarda la sofferenza morale conseguente all’evento lesivo.
Infatti, all’interno del concetto onnicomprensivo del danno biologico sono presenti sia le sofferenze di carattere morale-soggettivo, come il dolore intimo o il turbamento dell’animo o la sofferenza morale, che non coincidono con il dolore fisico, sia gli aspetti che riguardano la parte dinamico-relazionale, come le conseguenze sulle attività della vita e sociali del danneggiato. Tutti tali aspetti, dunque, sono tenute in considerazione per determinare il grado di invalidità permanente del danneggiato.
Secondo il tribunale quindi, non è possibile risarcire separatamente ed autonomamente le sofferenze patite dal danneggiato a causa dell’evento lesivo, in quanto ciò determinerebbe una ingiustificata duplicazione del risarcimento.
Tutt’al più, il giudice potrà e dovrà tenere conto di eventuali circostanze specifiche ed eccezionali, che rendono il danno subito dal danneggiato più grave rispetto a quello subito da persone della stessa età, in sede di liquidazione del risarcimento, al fine di aumentare la somma dovuta rispetto a quella prevista dalle tabelle ordinarie.
A tale ultimo proposito, infine, il tribunale ha precisato di aderire all’impostazione già sancita dalla corte di cassazione, secondo cui le apposite tabelle elaborate dal tribunale di Milano possono avere applicazione su tutto il territorio nazionale, in quanto equi ed idonei a garantire la parità di trattamento.
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3. La decisione del Tribunale
Nel caso di specie, secondo quanto accertato dai consulenti tecnici nominati dal tribunale, i deficit residuati a carico del paziente sono da imputare alla condotta omissiva dei sanitari del pronto soccorso della struttura sanitaria convenuta. Pertanto il giudice ha ritenuto sussistente una responsabilità della struttura sanitaria e l’ha condannata al risarcimento dei danni subiti dal paziente.
Secondo il tribunale, il paziente ha subito, a causa dell’intervento chirurgico tardivo, una incontinenza sfinterica fecale e urinaria, nonché la perdita completa della funzione sessuale e un grave deficit sensitivo e motorio agli arti inferiori.
Pertanto, il giudice ha liquidato a favore del paziente un danno biologico corrispondente ad una percentuale di invalidità pari al 68%, in quanto, a fronte di un danno biologico complessivo stimabile nella misura del 78%, il danno biologico che il paziente avrebbe comunque subito anche in caso di tempestiva diagnosi e intervento da parte della struttura sanitaria è stimabile nella misura del 10%.
Il giudice ha invece escluso il risarcimento per la perdita della capacità lavorativa specifica lamentato dal paziente, nonostante il collegio peritale che ha esaminato il paziente aveva accettato che, a causa delle lesioni patite, quest’ultimo non è più in grado di svolgere le sue mansioni lavorative di netturbino svolte prima dell’evento di malpractice medica.
In particolare, il giudice ha ritenuto che il diritto al risarcimento del danno per la perdita della capacità lavorativa specifica sussiste soltanto nel caso in cui il paziente danneggiato, proprio a causa della lesione subita, abbia perso il proprio posto di lavoro. Soltanto in questo caso, potrà essere liquidato un danno corrispondente al reddito che il danneggiato avrebbe potuto conseguire proseguendo nell’attività lavorativa che ha perduto nonché tenendo conto della eventuale capacità di reperire e mantenere comunque un’altra diversa occupazione retribuita.
Nel caso di specie, però, il paziente danneggiato non ha perso il proprio lavoro e non ha neanche perso la relativa retribuzione. Infatti, la stessa parte attrice nel corso del giudizio a detto di continuare a lavorare e di essere malvisto dai suoi colleghi a causa dei permessi continui e della sua lentezza a svolgere il lavoro. Pertanto, probabilmente, il paziente danneggiato è stato adibito a diverse mansioni all’interno della medesima azienda nella quale lavorava come netturbino.
Secondo il giudice, quindi, non si può essere risarcita la perdita della capacità lavorativa specifica, in quanto il pacchetto danneggiato non ha subito, allo stato, alcun pregiudizio patrimoniale.
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