Per la Corte Costituzionale il diritto al silenzio vale anche nei confronti della Consob

Redazione 05/05/21
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Il diritto fondamentale al silenzio vale anche rispetto ai poteri d’indagine della Banca d’Italia e della Consob, quando dalle risposte alle domande possa emergere la propria responsabilità.

È quanto ha stabilito la Corte costituzionale nella sentenza n. 84 (redattore Francesco Viganò), con la quale è stato dichiarato incostituzionale l’articolo 187-quinquiesdecies del testo unico sulla finanza, “nella parte in cui si applica anche alla persona fisica che si sia rifiutata di fornire alla Banca d’Italia o alla Consob risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo, ovvero per un reato”. La questione esaminata dalla Consulta nasce dalla vicenda dell’amministratore di una società sottoposto a una pesante sanzione pecuniaria per non avere risposto alle domande della Consob su operazioni finanziarie sospette da lui compiute.

L’interessato aveva impugnato la sanzione, sostenendo di aver semplicemente esercitato il diritto costituzionale di non rispondere a domande da cui sarebbe potuta emergere la propria responsabilità. La Corte di cassazione, investita del caso, aveva sollevato nel 2018 questione di legittimità costituzionale dell’articolo 187-quinquiesdecies, che prevede una sanzione da 50.000 a un milione di euro a carico di chi “non ottempera nei termini alle richieste della Banca d’Italia o della CONSOB”, senza prevedere alcuna eccezione in favore di chi sia già sospettato di avere commesso un illecito. Con l’ordinanza 117 del 2019 (si veda il comunicato stampa del 10 maggio 2019), la Corte costituzionale aveva preso atto che è lo stesso diritto comunitario a stabilire, a carico degli Stati, l’obbligo di sanzionare la mancata collaborazione con le autorità di vigilanza sui mercati finanziari.

Pertanto, aveva chiesto alla Corte di giustizia dell’Unione europea se, ai sensi del diritto comunitario, quest’obbligo valga anche nei confronti di chi è già sospettato di aver commesso un illecito; e se, in questi casi, un simile obbligo sia compatibile con il “diritto al silenzio” riconosciuto dalla Costituzione italiana, dal diritto internazionale e dalla stessa Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

A tali quesiti la Corte di giustizia dell’Unione europea ha risposto con la sentenza dello scorso 2 febbraio (si veda qui la sintesi ufficiale della sentenza), chiarendo anzitutto che il diritto al silenzio è parte integrante dei principi dell’equo processo, così come riconosciuti dalla stessa Carta dei diritti fondamentali Ue. Questo diritto – hanno proseguito i giudici di Lussemburgo – opera anche nell’ambito dei procedimenti amministrativi suscettibili di sfociare nell’applicazione di sanzioni aventi carattere punitivo, come quelle previste nell’ordinamento italiano per l’illecito amministrativo di abuso di informazioni privilegiate.

Il diritto al silenzio

Con la sentenza depositata oggi, la Consulta ha sottolineato anzitutto che l’interpretazione della disciplina comunitaria fornita dalla Corte di giustizia collima con la lettura del diritto al silenzio che la stessa Corte italiana aveva offerto nel proprio rinvio pregiudiziale, in armonia con le indicazioni provenienti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e del Patto internazionale sui diritti civili e politici. Dal diritto al silenzio discende dunque l’impossibilità di punire una persona fisica che si sia rifiutata di rispondere a domande, formulate in sede di audizione o per iscritto dalla Banca d’Italia o dalla Consob, dalle quali sarebbe potuta emergere una sua responsabilità per un illecito amministrativo o addirittura penale. La Corte ha tuttavia precisato che il diritto al silenzio non giustifica comportamenti ostruzionistici fonte di indebiti ritardi allo svolgimento dell’attività di vigilanza, come il rifiuto di presentarsi a un’audizione, ovvero manovre dilatorie finalizzate a rinviare lo svolgimento dell’audizione stessa, o ancora l’omessa consegna di dati, documenti, registrazioni preesistenti alla richiesta dell’autorità.

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