Nuovo pignoramento presso terzi: quando l’opposizione è inammissibile?

Redazione 15/03/17
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Il pignoramento è lo strumento, garantito dal codice di procedura civile, mediante il quale si cerca di assicurare al creditore il soddisfacimento delle proprie giustificate pretese, di cui si sia accertata la fondatezza durante il processo di cognizione. Si dice infatti che non ci sia cosa peggiore della “giustizia senza spada”, ovvero di quell’ordinamento che si adoperi per accertare e sentenziare ciò che è ritenuto giusto, senza disporre tuttavia di strumenti idonei a garantire in concreto gli effetti. A tale imprescindibile fine si rivolge il processo esecutivo, di cui l’esecuzione forzata fa parte.

In particolare, il pignoramento verte su beni mobili, che siano questi presso il debitore o presso terzi. Quest’ultimo, poi, si suddivide ex articolo 543 c.p.c. in due distinte ipotesi: quella in cui il terzo sia in possesso di beni del debitore o quella in cui quest’ultimo vanti crediti nei confronti del terzo.

L’esecuzione forzata su beni mobili avviene mediante il c.d. atto di pignoramento, notificato sia al terzo che al debitore, contenente l‘ingiunzione a non compiere atti dispositivi sui beni e sui crediti assoggettati al pignoramento, come previsto in via generale dall’articolo 492 c.p.c..

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All’interno dell’atto, sono riportati in forma sintetica:

  • l’indicazione delle cose e delle somme dovute,
  • l’intimazione al terzo di non disporne se non per ordine del giudice,
  • la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il tribunale competente e l’indicazione dell’indirizzo p.e.c. del creditore procedente,
  • la citazione del debitore a comparire dinanzi al giudice competente, indicando un’udienza nel rispetto del termine dilatorio di pignoramento di cui all’articolo 501 c.p.c.,
  • l’invito al terzo a rendere entro dieci giorni al creditore procedente la dichiarazione prevista dall’articolo 547.

È bene tenere presente che dopo le nuove disposizioni della legge n. 119/2016 di conversione del d.l. n. 59/2016, il creditore è obbligato ad avvertire il debitore, all’interno dell’atto di pignoramento, del fatto ex articolo 615 comma 2, l’opposizione sarà inammissibile se proposta dopo che lo stesso abbia disposto la vendita o l’assegnazione dei beni, salvo che sia fondata su fatti sopravvenuti ovvero che l’opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile.

 

Cosa succede nel caso in cui il terzo non renda dichiarazione entro i dieci giorni? 

In questo caso, medesima dichiarazione dovrà essere resa comparendo in un’apposita udienza. Qualora il terzo non la fornisca nemmeno così, il credito pignorato o il possesso di cose di appartenenza del debitore si considereranno non contestati nell’ammontare o nei termini indicati dal creditore, ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione, se l’allegazione del creditore consente l’identificazione del credito o dei beni di appartenenza del debitore in possesso del terzo.

Dopo tale procedura, è necessario che l’atto di pignoramento sia iscritto al registro del tribunale competente. Dunque, il creditore, non appena ricevuto l’originale dell’atto di citazione dall’ufficiale giudiziario, depositerà nella cancelleria del caso la nota di iscrizione a ruolo, con copie conformi dell’atto di citazione, del titolo esecutivo e del precetto, entro trenta giorni dalla consegna, a pena della perdita di efficacia del pignoramento.

 

In cosa consiste la dichiarazione resa dal terzo pignorato?

 

Abbiamo già visto che il terzo, ex art. 547 c.p.c., deve rendere al creditore procedente una dichiarazione, da farsi a mezzo raccomandata a/r o p.e.c. anche attraverso procuratore speciale o difensore munito di procura speciale. Suddetta dichiarazione contiene l’indicazione specifica della sussistenza di un debito nei suoi confronti e dell’ammontare di quest’ultimo, nonché l’enunciazione dei termini entro i quali deve essere perfezionato il pagamento e la consegna. Dovrà esserci traccia anche dei sequestri precedentemente eseguiti presso di lui e delle cessioni che gli sono state già notificate o che ha accettato.

Nel caso in cui la dichiarazione sia sottoposta a contestazioni, o nel caso in cui a seguito della mancata dichiarazione del terzo non sia possibile identificare il credito o i beni del debitore in suo possesso, il giudice, su istanza di parte, provvede con ordinanza. Inoltre, dal momento in cui l’atto di pignoramento viene notificato al terzo, quest’ultimo diventa a tutti gli effetti di legge il custode, ed in quanto tale dovrà attenersi alla disciplina onerosa prevista per il suo caso.

 

Quali crediti sono parzialmente pignorabili?

 

Dopo la riforma della materia, avvenuta con il DL n. 83/2015, si sono resi parzialmente pignorabili i crediti derivanti da rapporto di lavoro e impiego. In alcuni casi, infatti, per pignorare tali crediti, si dovrà attendere l’autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da lui delegato, e solo laddove siano debiti nei confronti dello Stato tali somme potranno essere pignorate, ma solo nella parte di 1/5. Tra questi si fa riferimento a:

  • somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, incluse quelle dovute a causa di licenziamento;
  • somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza: in questi casi, però, la regola sulla parziale pignorabilità è assistita da un ulteriore vincolo, in maniera tale che non possano essere pignorate somme per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell’assegno sociale, aumentato della metà.

In ogni caso, rimangono impignorabili i crediti alimentari, quelli aventi ad oggetto sussidi di grazia o sostentamento a persone comprese nell’elenco dei poveri o dovuti per maternità, malattie o funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza.

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