Nullo il licenziamento per malattia, se non è scaduto il periodo di comporto

Redazione 25/05/18
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Il licenziamento intimato per il perdurare delle assenze per malattia o infortunio del lavoratore, ma prima del superamento del periodo massimo di comporto fissato dalla contrattazione collettiva o, in difetto, dagli usi o secondo equità, è nullo per violazione della norma imperativa di cui all’art. 2110 comma 2 c.c.

E’ questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, con sentenza n. 12568 del 22 maggio 2018, accogliendo il ricorso di un lavoratore, avverso la pronuncia di merito che ne aveva confermato il licenziamento, intimatogli dalla società datrice per il prolungarsi delle assenze per malattia.

Inefficacia o nullità del licenziamento?

Dopo una disamina delle censure mosse dal ricorrente, la Sezione della Corte investita della lite, decideva di rimettere alla Sezioni Unite la seguente controversa questione: se considerare il licenziamento intimato per il perdurare delle assenze per malattia del lavoratore, ma – come nel caso di specie – prima del superamento del periodo di comporto, soltanto inefficace fino a tale momento o, invece, ritenerlo ab origine nullo per violazione dell’art. 2110 comma 2 c.c.

Nullità per violazione dell’art. 2110 comma 2 c.c., quale norma imperativa 

Le Sezioni Unite, prendendo atto di un contrastante orientamento sul tema, decidono di dar continuità al filone giurisprudenziale che considera nullo il licenziamento intimato solo per il protrarsi delle assenze dal lavoro, ma prima ancora che il periodo di comporto risulti scaduto (in tal senso, fra tutte, Cass. n. 24525/14).

E ciò, muovendo dall’interpretazione dell’art. 2110 comma 2 c.c., asseritamene violato, avente carattere imperativo in quanto a presidio della salvaguardia di valori fondamentali e prioritari nel nostro ordinamento, quale per l’appunto quello della salute ex art. 32 Cost.

In questa cornice di riferimento, è agevole evidenziare come la salute non possa essere adeguatamente protetta se non all’interno di tempi sicuri entro i quali il lavoratore, ammalatosi o infortunatosi, possa avvalersi delle opportune terapie senza il timore di perdere, nelle more, il posto di lavoro.

Fermo restando – precisa ulteriormente la Corte – il potere datoriale di recedere non appena esaurito il periodo di comporto, nondimeno il datore di lavoro deve tuttavia attendere tale rientro per sperimentare in concreto se residuino o meno margini di riutilizzo del lavoratore all’interno del riassetto organizzativo dell’azienda.

Sentenza collegata

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