Notoriamente, il danno derivante ad un’impresa dal mancato affidamento di un appalto è quantificabile nella misura dell’utile non conseguito (10 %), solo se ed in quanto l’impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze

Lazzini Sonia 30/12/10
Scarica PDF Stampa

Lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi, mentre quando tale dimostrazione non sia stata offerta (come nella specie) è da ritenere che l’impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione in via equitativa del danno risarcibile (cfr. C.S., sezione VI, dec. 9 novembre 2006 n. 6607).

In applicazione di detto principio, il danno risarcibile per la perdita di chances ben poteva essere fissato in via equitativa – come condivisibilmente hanno fatto i primi giudici – applicando una percentuale ridotta al 5% dell’ammontare offerto e, dunque, nell’importo di euro 11.891,85 (5% di euro 237.837,30), somma già attualizzata ed aumentata, in via equitativa, ad euro 13.000,00, in considerazione dell’ulteriore danno, consistente nell’incidenza del mancato svolgimento del rapporto con la p.a. sui requisiti di qualificazione e di valutazione, invocabili in successive gare.

L’amministrazione, dunque, veniva correttamente condannata al risarcimento del danno, quantificato nella complessiva somma di euro 13.000,00, oltre agli interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza fino all’effettivo saldo, nonché alle spese di giudizio, compensate solo con la controinteressata Atzwanger, non costituitasi, ed al pagamento dell’onorario spettante al c.t.u., liquidato e posto a carico del comune soccombente ed attuale appellante, il cui presente gravame va, dunque, respinto, con salvezza dell’impugnata pronuncia e spese ed onorari del secondo grado di giudizio liquidati a suo carico, come in dispositivo.


A cura di *************

 

Riportiamo qui di seguito la decisone numero 8091 del 18 novembre 2010 pronunciata dal Consiglio di Stato

 

N. 08091/2010 REG.SEN.

N. 02288/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)


ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso r.g.n. 2288/2010, proposto dal:
comune di Terlano, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv. ************* e *************, con domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Roma, via Fabio Massimo, 33;

contro

Ricorrente Idrotermica Ricorrente ****** s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. ************ e ********************, con domicilio eletto presso ********* lo studio del secondo, in Roma, via Varrone, 9;

per la riforma

della sentenza del T.r.g.a. Trentino-Alto Adige, Bolzano, n. 00359/2009, resa tra le parti e concernente l’affidamento di fornitura e montaggio di un impianto di teleriscaldamento.

 

Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio di Ricorrente Idrotermica Ricorrente ****** s.r.l.;

visti tutti gli atti e le memorie di causa;

relatore, nell’udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2010, il Consigliere di Stato ********** ed uditi, per le parti, gli avv.ti ****** e **********;

ritenuto e considerato, in fatto e diritto, quanto segue.

 

FATTO

A) – Con bando di gara 04.05.2007 il comune di Terlano indiceva una procedura aperta per l’affidamento in appalto della “fornitura e montaggio di un impianto di teleriscaldamento”. L’importo a base d’asta ammontava ad euro 335.152,50.

Il criterio di aggiudicazione prescelto era quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, sulla base dei seguenti criteri: prezzo (40%), qualità (35%), funzionalità (25%).

Il punteggio massimo (per qualità e funzionalità) veniva assegnato alla controinteressata BETA s.p.a., e precisamente 57 punti totali, di cui 32 per la qualità e 25 per la funzionalità; al secondo posto si collocava l’impresa ALFA con 21 punti totali, di cui 9 per la qualità e 12 per la funzionalità.

Terminata la valutazione delle offerte tecniche, la commissione di gara provvedeva all’apertura delle offerte economiche, assegnando il punteggio massimo (40 punti) all’impresa ALFA, autrice del maggior ribasso.

All’esito dalla sommatoria dei punteggi dell’offerta tecnica e dell’offerta economica, risultava vincitrice l’impresa BETA con il punteggio complessivo di 86,45 punti (di cui 57 per l’offerta tecnica e 29,45 per l’offerta economica), mentre al secondo posto finale si collocava l’originaria ricorrente impresa ALFA, con il punteggio complessivo di 61 punti (di cui 21 per l’offerta tecnica e 40 per l’offerta economica): detta seconda graduata riteneva il complessivo operato della stazione appaltante illegittimo, dal momento che il punteggio tecnico attribuito alla stessa dalla commissione di gara non sarebbe stato congruo, per cui impugnava:

– la nota prot. n. 5163/Dr.KE/wv dd. 26.7.2007, con cui il comune di Terlano aveva informato l’impresa ALFA di aver disposto l’aggiudicazione della “fornitura e montaggio di un impianto di teleriscaldamento” a favore dell’impresa BETA;

– i verbali della commissione tecnica dd. 26.6.2007 e 23.7.2007;

– il bando di gara dd. 4.5.2007 e relativo disciplinare;

– ogni altro provvedimento presupposto, successivo e comunque connesso e/o conseguente, nonché eventuali altri atti ignoti e, in particolare, l’aggiudicazione definitiva in ipotesi disposta e l’eventuale atto di affidamento dei lavori anteriormente alla stipulazione del contratto, nonché il contratto nel frattempo stipulato;

– il verbale della commissione d’appalto dd. 23.7.2007 ed il contratto d’appalto dd. 8.8.2007, di cui ai motivi aggiunti depositati in data 2.1.2008.

B) – Essa deduceva:

– violazione dell’art. 68, d.lgs. n. 163/2006, e della lex specialis; eccesso di potere per carenza istruttoria, difetto di motivazione, ingiustizia manifesta, illogicità, irragionevolezza e contraddittorietà, nonché violazione dei principi di par condicio e libera concorrenza tra imprese.

Si costituiva in giudizio il comune di Terlano, che resisteva al ricorso.

La controinteressata BETA s.p.a. non si costituiva in giudizio.

L’originaria ricorrente osservava che il bando di gara avrebbe violato l’art. 68, d.lgs. n. 163/2006 (codice degli appalti), in base al quale le specifiche tecniche avrebbero dovuto consentire pari accesso agli offerenti e non comportare la creazione di ostacoli ingiustificati all’apertura dei contratti pubblici alla concorrenza.

Nella specie, invece, taluni particolari tecnici della fornitura, eccessivamente dettagliati (in termini di misura e/o potenza), non avrebbero potuto che riferirsi ad un unico fornitore (*******): per cui veniva disposta, con ordinanza n. 21/2009, una c.t.u. per il chiarimento della situazione di fatto sottesa al ricorso in esame e precisamente sui seguenti quesiti:

“1. Le specifiche tecniche descritte nel bando di gara e nel relativo disciplinare si riferiscono a un preciso prodotto di un determinato produttore?

2. Tale descrizione ha per conseguenza che altri offerenti, fornitori di prodotti equivalenti, sia in relazione al funzionamento sia in relazione al rendimento verrebbero penalizzati in sede di valutazione tecnica?”

Veniva nominato c.t.u. l’**************, sostituito successivamente con decreto del giudice delegato 6 aprile 2009, con l’ing. ********, il quale depositava la richiesta relazione tecnica il 21 luglio 2009, mentre, in data 17 settembre 2009, veniva depositata pure una relazione tecnica del consulente del comune resistente, ing. *************.

C) – I primi giudici accoglievano il gravame con sentenza prontamente impugnata dal comune soccombente per: violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza gravata, quanto al suo capo annullante il bando di gara (per la riscontrata inutilità dello scambiatore di calore aggiuntivo), per la tardiva impugnazione del medesimo sotto tale profilo; violazione di legge, vizio di motivazione, illogicità e contraddittorietà nel capo di sentenza sindacante intrinsecamente le valutazioni della commissione tecnica di gara.

L’appellata Ricorrente si costituiva in giudizio e resisteva all’appello, eccependo che: non sarebbe stata concretamente proposta alcuna istanza cautelare di sospensione degli effetti della gravata pronuncia; il giudizio negativo espresso dalla commissione di gara sarebbe dipeso soprattutto dalla riscontrata assenza dello scambiatore di calore aggiuntivo, superfluo nel proprio sistema; il c.t.u. avrebbe posto in luce vari dubbi circa la congruità dei punteggi assegnati dalla commissione di gara (cfr. C.S., sezione VI, dec. n. 2449/2008).

All’esito della pubblica udienza di discussione la vertenza passava in decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato e va respinto.

I) – Il Tribunale di prima istanza aveva disposto apposita c.t.u., per accertare se la stazione appaltante avesse travalicato i limiti di discrezionalità tecnica in modo tale da rendere possibile il sindacato del giudice amministrativo.

Il c.t.u. aveva risposto puntualmente ai quesiti, precisando quanto segue:

“Risposta al quesito 1: Il progetto dell’impianto appaltato è stato impostato su un impianto dotato di una caldaia a combustione di cippato di legna, impianto con tipologie leggermente fuori dal comune, completo di tutti gli accessori necessari. Il relativo capitolato d’appalto presentò diverse incongruenze tra il testo tedesco e quello italiano ed ha riportato alcuni elementi caratteristici specifici per una determinata marca di caldaia del tipo facilmente da intuire, dalle misure, dalle prestazioni, dalle sigle introdotte nei testi, dal colore previsto per la camicia e dallo scambiatore di calore aggiuntivo, che normalmente non viene inserito su impianti di potenzialità così piccola come nel caso presente (< 1,5 MW). In commercio si trovano anche caldaie di altri costruttori che soddisfano le stesse o almeno equivalenti caratteristiche qualitative e funzionali, con componenti ed accessori poco differenti tra di loro. Esistono comunque in commercio dei prodotti con caratteristiche simili, compreso anche lo scambiatore (economizzatore), quindi non era obbligatorio offrire la caldaia descritta.

Risposta al quesito 2: Delle cinque imprese partecipanti alla gara due hanno proposto il prodotto descritto dal progettista nel capitolato, fra cui il vincitore della gara e chiamato in causa ed un concorrente non valutato dalla Commissione per mancanza di schede tecniche dettagliate. Un altro concorrente ha invece offerto un prodotto dotato di economizzatore come previsto dal capitolato, mentre gli altri due, fra cui anche il ricorrente, hanno offerto impianti con caratteristiche generali idonee ed equivalenti, ma privi di economizzatore e con dettagli e particolari leggermente diversi.

La Commissione di aggiudicazione istituita dalla resistente ha predisposto una scheda tecnica tabellare assegnando ad ogni articolo del capitolato dei punteggi massimi per qualità e funzionalità. Già i punteggi massimi assegnati alle voci non hanno tenuto conto del loro costo e della loro importanza per l’impianto, assegnando in proporzione maggiori punteggi agli articoli meno determinanti per qualità e funzionalità dell’impianto. Dall’analisi della tabella poi compilata dalla Commissione dopo l’apertura delle buste tecniche per tutti i concorrenti (doc. 4 del fascicolo della ricorrente) è emerso che i punteggi assegnati nella maggior parte degli articoli non hanno tenuto conto delle informazioni contenute nelle schede tecniche consegnate con le offerte dei concorrenti perdenti, risultando le varie valutazioni generalmente estremamente basse e penalizzanti, con gravi omissioni di verifica del materiale tecnico consegnato, nonostante l’evidente e documentabile equivalenza tecnica di parecchi componenti degli altri impianti offerti. La Commissione ha assegnato un punteggio tecnico per qualità e funzionalità di rispettivamente 0, 20 e 21 punti per i concorrenti perdenti contro i 57 punti dell’impresa aggiudicatrice. Tale differenza risulta assolutamente ingiustificabile, tanto più che alcuni prodotti offerti hanno caratteristiche tecniche e di qualità equivalenti se non addirittura superiori al prodotto poi installato. L’esito della gara d’appalto per l’impianto di teleriscaldamento di Terlano e la relativa graduatoria non hanno rispettato quindi la qualità e la funzionalità effettiva di tutti gli impianti offerti.”

II) – Dunque, il bando di gara prevedeva un prodotto con caratteristiche specifiche e riferibili ad una marca di caldaia di tipo facilmente intuibile, ma esistevano comunque in commercio altri prodotti consimili e, quindi, non era obbligatorio offrire la caldaia descritta (da attribuire ad una specifica marca) nel bando di gara.

Ma alla Ricorrente erano stati attribuiti punteggi, per qualità e funzionalità del prodotto offerto, talmente bassi che la differenza confrontata con il punteggio assegnato all’aggiudicataria risultava “assolutamente ingiustificabile, tanto più che alcuni prodotti offerti avrebbero caratteristiche tecniche e di qualità equivalenti se non addirittura superiori ai prodotti offerti dalla controinteressata”.

Al riguardo, non potevano convincere le giustificazioni contenute nella relazione del c.t.p. a conferma dell’attribuzione dei punteggi assegnati dalla Commissione tecnica all’impresa BETA (57 punti contro 21 punti).

III) – Correttamente i primi giudici osservavano come il principio secondo il quale non competerebbe al giudice amministrativo, nell’ambito della giurisdizione generale di legittimità, basare il proprio convincimento su considerazioni appartenenti al merito delle scelte operate da organi dotati di potere tecnico discrezionale, non precluda, né sul piano sostanziale né su quello probatorio, al giudice di sottoporre ad analisi, anche con l’apporto di elementi documentali esterni, ovvero, di una c.t.u., il procedimento seguito dalla p.a., per verificare se siano ravvisabili elementi sintomatici della sussistenza di uno dei tre vizi di legittimità formale e sostanziale (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere) che della discrezionalità, amministrativa o tecnica, costituiscono il limite.

Nella specie, il giudizio espresso dalla commissione di gara era risultato viziato non solo da contraddittorietà, perché i dati documentali impiegati derivavano da informazioni contraddette da altri dati ufficiali, ma da illogicità poiché non poteva attribuirsi all’opinione soggettiva dei singoli commissari un valore oggettivo, unicamente derivante da un procedimento di accertamento delle informazioni contenute nelle schede tecniche consegnate con le offerte, effettuato mediante metodi oggettivi di rilevazione. (cfr. C.S., sezione V, dec. 15 marzo 2006 n. 1365).

Tale potere di verificare e valutare eventuali contraddittorietà emergenti dagli esiti della c.t.u. e da quelli degli altri giudizi tecnici acquisiti nel corso dell’istruttoria non è, inoltre, inibito al giudice amministrativo, neppure ove vengano in rilievo accertamenti meramente tecnici, privi di margini di discrezionalità.

L’accoglimento del ricorso non poteva che implicare, quindi, l’annullamento dei provvedimenti impugnati (eccettuato il contratto d’appalto, il cui esame rientra nella giurisdizione del giudice ordinario), con i quali erano stati attribuiti alla controinteressata i punteggi per l’offerta e si era disposta la fornitura.

IV) – La Ricorrente aveva richiesto pure il risarcimento in forma specifica, cioè l’aggiudicazione dell’appalto, oggetto della vertenza, ma, stante l’intervenuta integrale esecuzione dell’impianto, si poteva solo esaminare la sua richiesta risarcitoria per equivalente, dedotta in via subordinata.

A tali fini, i primi giudici applicavano il principio di cui all’art. 2043, c.c., per il quale sono risarcibili i danni derivanti in via immediata e diretta dalla condotta illecita della p.a., peraltro, non come semplice effetto automatico dell’annullamento giurisdizionale del provvedimento impugnato, occorrendo, invece:

a) una lesione della posizione giuridica soggettiva tutelata;

b) l’esistenza di un ingiusto danno patrimoniale;

c) il nesso causale tra l’illecito compiuto ed il danno subìto, atteso che il ricorso giurisdizionale è diretto naturalmente a conseguire la riparazione integrale della concreta situazione giuridica rimasta pregiudicata, gravando in tal caso, però, su chi assuma di essere stato danneggiato, l’onere ex art. 2697, c.c., di fornire:

d) la necessaria prova circa la sussistenza degli elementi costitutivi della responsabilità dell’illecito aquiliano, ex art. 2043, c.c..

Quindi, chi proponga ricorso con domanda risarcitoria è tenuto a dimostrare che, anche dopo l’annullamento dell’atto contestato a lui non favorevole, sussiste ancora nei suoi confronti un pregiudizio derivante dalla condotta della p.a., caratterizzata dall’elemento della colpa.

Nella specie, sussistevano i presupposti sopra specificati e cioè la lesione della posizione giuridica soggettiva tutelata, l’esistenza di un danno patrimoniale ingiusto ed il nesso causale, dato che l’originaria ricorrente avrebbe avuto buone probabilità di vedersi aggiudicata la fornitura, atteso che, nonostante un minor punteggio di ben 36 punti per la parte tecnica rispetto all’aggiudicataria (57 punti contro 21), essa aveva raggiunto 40 punti per l’offerta economica, contro i 29,45 punti assegnati all’aggiudicataria.

In tale ottica il privato danneggiato, onerato della dimostrazione della colpa della p.a., risulta agevolato dalla possibilità di offrire al giudice elementi indiziari, quali la gravità della violazione, il carattere vincolato dell’azione amministrativa, l’univocità della normativa di riferimento e il proprio apporto partecipativo al procedimento: la colpa dell’organo amministrativo (e non delle singole persone fisiche) ricorre tutte le volte in cui la illegittimità del provvedimento si ponga in rapporto con la volontà dello stesso organo attraverso il carattere negligente, imprudente o imperito del suo agire nel caso concreto.

V) – Peraltro, l’imputazione della responsabilità nei confronti della p.a. non può avvenire sulla base del mero dato obiettivo dell’illegittimità dell’azione amministrativa, poiché ciò si risolverebbe in un’inammissibile presunzione di colpa, ma comporta, invece, l’accertamento in concreto della colpa dell’amministrazione, configurabile quando l’esecuzione dell’atto illegittimo sia avvenuta in violazione delle regole proprie dell’azione amministrativa, desumibili sia dai principi costituzionali d’imparzialità e buon andamento, sia dalle norme di legge ordinaria in materia di celerità, efficienza, efficacia e trasparenza, sia dai principi generali dell’ordinamento, quanto a ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza (cfr. C.S., sezione V, dec. 8 settembre 2008 n. 4242), così restando all’interno dei confini della disciplina della responsabilità aquiliana, rivelanti una maggiore coerenza della struttura e delle regole di accertamento dell’illecito extracontrattuale, con i caratteri oggettivi della lesione d’interessi legittimi e con le connesse esigenze di tutela, (cfr. C.S., sezione VI, dec. 23 giugno 2006 n. 3981).

Al riguardo, valgono invece le regole di comune esperienza e la presunzione semplice, di cui all’art. 2727, c.c., per cui il privato danneggiato può invocare l’illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa, o allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si sia trattato di un errore non scusabile.

Spetterà a quel punto alla p.a. provare che si sarebbe trattato di un errore scusabile, configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, d’illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata: molte delle questioni rilevanti ai fini della scusabilità dell’errore sono questioni di interpretazione ed applicazione delle norme giuridiche, inerenti alle difficoltà interpretative che abbiano causato la violazione; in simili casi il profilo probatorio resta in larga parte assorbito nel principio iura novit curia.

VI) – In assenza di discrezionalità o in presenza di margini ridotti di essa, le presunzioni semplici di colpevolezza saranno più facilmente configurabili, mentre in presenza di ampi poteri discrezionali ed in assenza di specifici elementi presuntivi, sarà necessario un maggiore impegno probatorio, gravante sul danneggiato, che potrà pure allegare la mancata valutazione degli apporti resi nella fase partecipativa del procedimento o che avrebbe potuto rendere se la partecipazione gli fosse stata consentita.

Nella specie, la p.a. aveva attribuito i punteggi per la valutazione dell’offerta tecnica violando lo stesso bando da essa predisposto ed i principi delle regole proprie dell’azione amministrativa: comportamento in nessun modo scusabile e che conduce a ritenere sussistente l’elemento della colpa del comune attuale appellante.

VII) – Notoriamente, il danno derivante ad un’impresa dal mancato affidamento di un appalto è quantificabile nella misura dell’utile non conseguito (10 %), solo se ed in quanto l’impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi, mentre quando tale dimostrazione non sia stata offerta (come nella specie) è da ritenere che l’impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione in via equitativa del danno risarcibile (cfr. C.S., sezione VI, dec. 9 novembre 2006 n. 6607).

In applicazione di detto principio, il danno risarcibile per la perdita di chances ben poteva essere fissato in via equitativa – come condivisibilmente hanno fatto i primi giudici – applicando una percentuale ridotta al 5% dell’ammontare offerto e, dunque, nell’importo di euro 11.891,85 (5% di euro 237.837,30), somma già attualizzata ed aumentata, in via equitativa, ad euro 13.000,00, in considerazione dell’ulteriore danno, consistente nell’incidenza del mancato svolgimento del rapporto con la p.a. sui requisiti di qualificazione e di valutazione, invocabili in successive gare.

L’amministrazione, dunque, veniva correttamente condannata al risarcimento del danno, quantificato nella complessiva somma di euro 13.000,00, oltre agli interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza fino all’effettivo saldo, nonché alle spese di giudizio, compensate solo con la controinteressata BETA, non costituitasi, ed al pagamento dell’onorario spettante al c.t.u., liquidato e posto a carico del comune soccombente ed attuale appellante, il cui presente gravame va, dunque, respinto, con salvezza dell’impugnata pronuncia e spese ed onorari del secondo grado di giudizio liquidati a suo carico, come in dispositivo.

P.Q.M.

respinge l’appello del comune di Terlano, che condanna a rifondere all’impresa appellata Ricorrente le spese e gli onorari del giudizio di seconda istanza, liquidati in complessivi euro quattromila/00, oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2010, con l’intervento dei giudici:

*******************, Presidente

***********************, Consigliere

Aldo Scola, ***********, Estensore

**************, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere

 

 

 

L’ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 18/11/2010

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Lazzini Sonia

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento