Il Garante ordina a Google di deindicizzare un sito web contenente la notizia di irregolarità nella gestione di un master universitario per inesattezza dei dati. Per avere un quadro completo sui ricorsi al Garante della privacy, si consiglia il seguente volume il quale affronta la disciplina relativa alla tutela dei diritti del titolare dei dati personali e le relative sanzioni: I ricorsi al Garante della privacy
Indice
1. I fatti: i dati scorretti nella notizia Google
Un professore universitario inviava un reclamo al Garante per la protezione dei dati personali in cui chiedeva all’autorità di ordinare a Google di rimuovere un URL quale risultato di ricerca reperibile in associazione al proprio nome. In particolare, il reclamante sosteneva che il predetto URL rimandava ad un sito web contenente un articolo giornalistico avente ad oggetto presunte irregolarità nella gestione di un bando di concorso indetto nell’anno accademico 2017/2018 per l’attività di supporto ad un master universitario (coordinato e gestito dal reclamante), che sarebbero state desunte da un colloquio privato tra il reclamante e un candidato escluso.
Tuttavia, secondo il reclamante, detto contenuto era ormai da ritenersi obsoleto, privo di interesse pubblico e non corretto. Infatti, il bando di concorso era risalente nel tempo (in quanto relativo all’anno accademico 2017/2018) e in sede giudiziaria e disciplinare non erano emerse le irregolarità descritte nell’articolo: la Procura della Repubblica di Milano aveva archiviato il fascicolo e non iscritto la notizia di reato; il TAR Lombardia aveva respinto il ricorso del candidato escluso contenente la domanda di annullamento della graduatoria del concorso; il Tribunale civile di Milano aveva dichiarato inammissibile la domanda presentata dal candidato escluso; infine l’Università di Milano non aveva avviato alcun procedimento disciplinare.
In considerazione di quanto sopra, secondo il reclamante, sussistevano le ragioni (decorso del tempo, mancanza di interesse pubblico e erroneità dei fatti riportati nell’articolo), per accogliere l’esercizio del diritto all’oblio da parte del reclamante. Tuttavia, Google, richiesta in tal senso, aveva rifiutato di deindicizzare il sito web in questione senza però dare un’adeguata motivazione in merito.
Infine, rappresentava il reclamante, che il diritto all’oblio a favore del reclamante era riconosciuto anche ai sensi del nuovo articolo del codice di procedura civile introdotto con la riforma Cartabia (l’art. 64-ter delle disposizioni attuative al codice di procedura penale), ma anche la richiesta formulata in tal senso al Pubblico Ministero titolare del procedimento era stata negata.
Il Garante invitava Google a fornire le proprie osservazioni in merito a quanto esposto dal reclamante e di comunicare la propria eventuale intenzione di aderire alla richiesta di deindicizzazione. Tuttavia, Google comunicava di non voler aderire alla predetta richiesta, in quanto a suo avviso sussisteva ancora un interesse pubblico alle notizie riferite nell’articolo pubblicato nell’URL in questione.
Secondo la piattaforma americana, infatti, la notizia era ancora attuale ed esatta, in quanto forniva un quadro completo e aggiornato sulla vicenda, compresi i dettagli di tutte le decisioni favorevoli al reclamante (dell’Università, dei Tribunale e della procura della repubblica coinvolti nella vicenda) ed aveva natura giornalistica (a conferma dell’interesse pubblico alla notizia). Inoltre, la relativa pagina web era di recente pubblicazione (2023) e il reclamante rivestiva un ruolo pubblico e professionale, in quanto era attualmente ancora professore universitario.
Infine, Google sosteneva che non vi era alcuna violazione della novella norma introdotta dalla riforma Cartabia, in quanto la medesima non si applica al caso di specie che riguarda fatti non costituenti reato e per i quali non è mai stato aperto alcun procedimento.
Per avere un quadro completo sui ricorsi al Garante della privacy, si consiglia il seguente volume il quale affronta la disciplina relativa alla tutela dei diritti del titolare dei dati personali e le relative sanzioni:
I ricorsi al Garante della privacy
Giunto alla seconda edizione, il volume affronta la disciplina relativa alla tutela dei diritti del titolare dei dati personali, alla luce delle recenti pronunce del Garante della privacy, nonché delle esigenze che nel tempo sono maturate e continuano a maturare, specialmente in ragione dell’utilizzo sempre maggiore della rete. L’opera si completa con una parte di formulario, disponibile online, contenente gli schemi degli atti da redigere per approntare la tutela dei diritti dinanzi all’Autorità competente. Un approfondimento è dedicato alle sanzioni del Garante, che stanno trovando in queste settimane le prime applicazioni, a seguito dell’entrata in vigore della nuova normativa. Michele Iaselli Avvocato, funzionario del Ministero della Difesa, docente a contratto di informatica giuridica all’Università di Cassino e collaboratore della cattedra di informatica giuridica alla LUISS ed alla Federico II, nonché Presidente dell’Associazione Nazionale per la Difesa della Privacy (ANDIP). Relatore in numerosi convegni, ha pubblicato diverse monografie e contribuito ad opere collettanee in materia di privacy, informatica giuridica e diritto dell’informatica con le principali case editrici.
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2. La valutazione del Garante
Preliminarmente, il Garante ha ricordato come ai fini della valutazione dell’esistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto all’oblio, occorre tenere conto – da un lato – dell’elemento costituito dal trascorrere del tempo e – dall’altro lato – degli ulteriori criteri espressamente individuati dalle linee guida adottate dagli organi comunitari che si occupano di privacy, contenenti i criteri per l’applicazione del diritto all’oblio da parte dei motori di ricerca.
Nel caso di specie, il Garante ha evidenziato come l’URL di cui il reclamante ha chiesto la rimozione, nonostante sia stato pubblicato recentemente (in particolare, nel maggio 2023), riporta delle informazioni e dei commenti relativi a fatti più risalenti nel tempo (in particolare, avvenuti nell’anno accademico 2017/2018). Inoltre, prosegue il Garante, detti fatti non hanno determinato a carico del reclamante provvedimenti o procedimenti di natura giudiziaria e/o disciplinare. Infine, chiude il Garante, allo stato, non sono emersi seguiti che abbiano rinnovato l’interesse e conferito attualità alla predetta informazione contenuta all’interno del URL di cui il reclamante ha chiesto la deindicizzazione.
In considerazione di ciò, l’URL in questione rinvia ad una pagina che non offre un quadro pienamente aggiornato rispetto all’esito del complesso di azioni intentate e dei procedimenti avviati in relazione alla procedura concorsuale gestita dal reclamante.
Conseguentemente, il risultato della ricerca configura un trattamento di dati personali dell’interessato non conforme al principio di esattezza.
3. La decisione del Garante
In considerazione di tutto quanto sopra, il Garante ha ritenuto che la pagina web contenuta nell’URL oggetto di reclamo (tra l’altro l’unica pagina restituita in associazione al nome e cognome del reclamante che ha ad oggetto i fatti relativi all’assegnazione del bando universitario), determina, in ragione della inesattezza dei dati personali del reclamante ivi contenuti, un impatto sproporzionato sulla sfera giuridica del reclamante che non appare bilanciato dall’esigenza di soddisfare un interesse pubblico attuale alla notizia. Secondo il Garante, infatti, seppure i contenuti della pagina web in questione rientrano nell’attività giornalistica e all’interno della libertà di manifestazione del pensiero e di critica su fatti di rilievo generale (come sono quelli relativi al corretto andamento delle procedure concorsuali di una università), la perdurante reperibilità on-line di dette informazioni crea una lesione ai diritti e alle libertà dell’interessato maggiore rispetto a quanto può essere l’interesse della comunità a conoscere ancora oggi le predette informazioni.
Pertanto, il Garante ha considerato fondato il reclamo ed ha ingiunto a Google di rimuovere l’URL in questione quale risultato di ricerca reperibile in associazione al nominativo dell’interessato, entro venti giorni dalla ricezione del provvedimento, prevedendo altresì l’annotazione del medesimo nel registro interno dell’autorità (tuttavia, il Garante, ha ritenuto di non attribuire a tale annotazione il valore di precedente in eventuali futuri procedimenti incardinati nei confronti della piattaforma americana).
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