Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione (Sezioni Unite) si è pronunciata in merito ad un’interessante vicenda incentrata sulla NASpI e, in particolare, sull’obbligo restitutorio (o meno) delle somme percepite medio tempore a tale titolo da un lavoratore originariamente assunto a tempo determinato dall’azienda e il cui rapporto di lavoro è stato giudizialmente convertito a tempo indeterminato con effetto retroattivo (per nullità del termine).
Anticipando sinteticamente le conclusioni, a parer dei Giudici (Sezioni Unite), in tale situazione, la NASpi non è ripetibile dall’INPS qualora, pur essendo intervenuta successivamente la conversione giudiziale del rapporto a tempo indeterminato con effetto retroattivo, il lavoratore non abbia in concreto percepito retribuzione né contribuzione nel periodo di disoccupazione.
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Indice
1. I fatti: nullità del termine del rapporto di lavoro e NASpI
Procedendo con ordine, la vicenda de qua – come detto – vede sullo sfondo la conversione giudiziale di un rapporto di lavoro, originariamente stipulato a tempo determinato, a tempo indeterminato e con effetto retroattivo.
A seguito della cessazione del rapporto di lavoro per scadenza del termine, il lavoratore ha adito il Tribunale per veder accertata la nullità del termine e, nel mentre, beneficiava dell’indennità di disoccupazione ordinaria (NASpI).
I giudici di merito hanno accertato la nullità del termine del primo contratto e la conversione del rapporto a tempo indeterminato, con condanna del datore a corrispondere l’indennità ex art. 32, c. 5, l. n. 183/2010 (12 mensilità).
A fronte di ciò, l’INPS ha richiesto la restituzione delle somme erogate a titolo di indennità di disoccupazione (NASpI), sostenendo che il giudicato (favorevole al lavoratore) avesse fatto venir meno lo “stato di disoccupazione involontaria“.
Il lavoratore ha dunque proposto le proprie difese volte ad ottenere la declaratoria d’irripetibilità delle somme pretese dall’INPS.
Tale domanda è stata rigettata dal giudice di prime cure “sulla premessa della ontologica incompatibilità dell’indennità di disoccupazione con la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (per effetto del giudicato formatosi sulla declaratoria d’illegittimità del termine apposto al contratto)“.
In senso contrario rispetto a tale decisione, la Corte d’Appello ha accolto il gravame del lavoratore e dichiarato irripetibile la prestazione erogata dall’INPS sul presupposto che il lavoratore, al tempo dell’erogazione dell’indennità di disoccupazione, non avesse in atto un rapporto di lavoro, neppure ricostruibile a posteriori per effetto del citato giudicato di conversione del rapporto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Precisamente, la Corte d’Appello ha affermato che nel frangente temporale trascorso tra la cessazione del rapporto di lavoro a tempo determinato e la riammissione in servizio (a seguito della sentenza e conversione a tempo indeterminato ex tunc), “il lavoratore non aveva percepito alcuna retribuzione né gli erano stati accreditati contributi sulla sua posizione assicurativa (come documentalmente provato), e da tanto derivava l’irripetibilità delle somme pretese dall’INPS“, non potendo annettersi alla tutela indennitaria, forfettaria ed onnicomprensiva, riconosciuta con il ridetto giudicato, pari a dodici mensilità di retribuzioni, “la natura di corrispettivo del rapporto di lavoro per effetto della ricostituzione, ex tunc, del rapporto di lavoro, come se non si fosse mai interrotto“.
Per i Giudici d’Appello, ed è qui il vero tratto portante della decisione, “l’indennità risarcitoria riconosciuta al lavoratore, dalla quale esulavano profili di corrispettività del rapporto di lavoro, costituiva il risarcimento forfettizzato del danno conseguente all’accertata illegittimità del termine di durata apposto ai contratti, il che poneva il lavoratore nella condizione di non versare in situazione d’incompatibilità in ordine al trattamento previdenziale erogatogli per i dodici mesi successivi alla scadenza dell’ultimo contratto“.
A fronte di tale decisione, l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, cui ha resistito il lavoratore.
Sulla decisione vedi anche l’articolo: Indennità di disoccupazione e contratto a termine nullo: chiarimento delle SS.UU.
2. Focus motivazionale della Corte di Cassazione (Sezioni Unite)
Preliminarmente, evidenziamo che la Sezione Lavoro della Corte ha rimesso gli atti alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, “in considerazione della configurabilità di una questione di massima di particolare importanza e del latente contrasto esistente, nella giurisprudenza di questa Corte, nell’interpretazione delle disposizioni in materia di tutela del lavoratore assunto con contratto a termine e di restituzione, all’ente previdenziale, dell’indennità di disoccupazione ordinaria“.
Per quel che è d’interesse in questa sede, la Corte a Sezioni Unite ha affrontato il nodo centrale della questione rimessa all’attenzione: ossia, stabilire se la successiva conversione del rapporto a tempo indeterminato e la condanna al pagamento dell’indennità ex art. 32 l. 183/2010 comportino l’obbligo – a carico del lavoratore – di restituire l’indennità di disoccupazione già percepita.
Di seguito, l’iter motivazionale seguito dalle Sezioni Unite per dirimere la peculiare questione.
Natura dell’evento protetto
Partendo dalla ricostruzione normativa disciplinante il trattamento di disoccupazione ordinaria, al fine di inquadrare precisamente la questione, i Giudici si sono soffermati sul concetto di “evento protetto”, affermando che “l’evento protetto dal trattamento di disoccupazione (sotto forma d’indennità di mobilità come d’indennità di disoccupazione) – si legge in Cass. n. 28295 del 2019 – è la disoccupazione involontaria per mancanza di lavoro ossia quella inattività conseguente alla cessazione di un precedente rapporto di lavoro non riconducibile alla volontà del lavoratore; la sua funzione è quella di fornire, in tale situazione, ai lavoratori e alle loro famiglie, un sostegno al reddito in attuazione della previsione del secondo comma dell’art. 38 Cost“.
Ciò si traduce nel fatto che l’indennità di disoccupazione è erogata al lavoratore che versa in stato di “disoccupazione involontaria” in presenza dei presupposti (assicurativi e contributivi) previsti dalla legge in ragione di una situazione di fatto (ossia, la mancanza di lavoro e di retribuzione, involontaria) cui si connette, per presunzione di legge, una immediata situazione di bisogno che la prestazione vale a tutelare.
Ciò, a parer dei Giudici, a prescindere da qualunque considerazione in ordine alla legittimità del contratto e/o dell’atto che ha determinato la collocazione in mobilità o lo stato di disoccupazione involontaria.
Distinzione tra piano previdenziale e piano lavoristico e finalità della NASpI
Una volta chiarito ciò, la Cassazione ha virato le proprie riflessioni su una distinzione ontologica necessaria per dirimere il caso di specie, e cioè la distinzione tra gli ambiti in cui operano (i) la tutela previdenziale e (ii) la tutela lavoristica condividendo principi di legittimità già affermati, secondo cui l’azione d’impugnazione giudiziale del licenziamento è volta alla costituzione di un diritto e non è espressione di un obbligo del lavoratore, “sicché l’intervenuta disoccupazione involontaria deve valutarsi al momento dell’atto risolutivo perché, diversamente opinando, si finirebbe per negare la protezione previdenziale al lavoratore che, per qualsivoglia motivo, omettesse d’impugnare un licenziamento pur manifestamente illegittimo“.
“Dall’autonomo rapporto previdenziale tra lavoratore assicurato e INPS, nel cui alveo si colloca l’erogazione della prestazione previdenziale, esula ogni eventuale valutazione circa la fondatezza dell’azione coltivata dall’assicurato – d’impugnazione del licenziamento o di nullità del termine di durata del contratto di lavoro – che, ab origine, non esercita alcuna incidenza sul diritto alla prestazione“.
A parer della Cassazione, infatti, ciò che fonda e giustifica l’erogazione della NASpI è esclusivamente la condizione di bisogno determinata dalla perdita della retribuzione e finché questa perdura e l’ordinamento prevede decadenza e/o sospensione e/o riduzione dell’indennità quando tale situazione cessi o si attenui perché il lavoratore ha trovato nuovamente occupazione lavorativa.
Da tal ragionamento deriva immediatamente che se l’evento coperto dalla NASpI è la disoccupazione involontaria che ne costituisce, al contempo, il fatto costitutivo, “l’evento protetto della tutela previdenziale e il relativo fatto costitutivo – la condizione di bisogno – non possono venir meno solo perché per effetto della decisione giudiziale, che accerta, come nella specie, la nullità del termine, deve ritenersi mai estinto il rapporto di lavoro (da ultimo, Cass. n. 602 del 2025), rapporto diverso e distinto dal rapporto previdenziale tra lavoratore ed Ente previdenziale“.
In buona sostanza, quanto osservato dalla Suprema Corte può tradursi come segue.
Se è vero che a seguito della declaratoria di nullità del termine del contratto a tempo determinato e conseguente ricostituzione del rapporto di lavoro (“ripresa del sinallagma contrattuale, prestazione lavorativa e retribuzione“) dal momento della decisione giudiziale in poi, lo stato di disoccupazione involontaria viene meno;
è anche vero che ciò non può affermarsi in relazione allo stato di disoccupazione (e di bisogno) del lavoratore verificatosi – di fatto – tra la cessazione del rapporto di lavoro a termine e l’effettiva ricostituzione del rapporto di lavoro per opera del giudice.
Conversione ex tunc e indennità ex art. 32 l. 183/2010
Peraltro, come correttamente affermano i Giudici, “la declaratoria di nullità del termine finale non ripristina, per il periodo antecedente, in mancanza della prestazione lavorativa l’obbligo retributivo – che viene sostituito dalla prestazione di disoccupazione, ad esso commisurata (art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 22) – ma condanna il datore ad indennizzare il danno cagionato al lavoratore in misura non esorbitante, come nella specie, le dodici mensilità“.
Dunque, il provvedimento giudiziale che dispone la conversione del rapporto di lavoro costituito ab origine a tempo determinato mediante l’apposizione di un termine finale poi dichiarato giudizialmente nullo, “si pone nel solco della disciplina comune delle obbligazioni, tranne che per il profilo risarcitorio, regolato, come dianzi detto, dall’art. 32 L. n. 183 del 2010, non idoneo, nemmeno sulla carta, a porre rimedio alla situazione di bisogno conseguente alla perdita della retribuzione che l’indennità di disoccupazione è servita a proteggere e fronteggiare“.
Ciò continua ad alimentare la netta distinzione tra i piani – lavorativo e previdenziale – individuata dalla Cassazione.
Infatti, l’indennità risarcitoria ex art 32 cit. è una protezione economica assicurata ad integrazione della conversione del rapporto di lavoro a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato si muove sul piano della tutela del lavoratore precario nei confronti del datore di lavoro e attiene, dunque, al piano del rapporto di lavoro.
Diversamente, la tutela della situazione di bisogno aspirante a neutralizzare gli effetti della disoccupazione involontaria attiene al rapporto previdenziale che è totalmente autonomo rispetto al rapporto di lavoro e le vicende concernenti quest’ultimo.
Conclusioni
In conclusione, la Corte di Cassazione, Sezioni Unite, ha rigettato il ricorso dell’INPS e, tratteggiata la disciplina della prestazione assistenziale (NASpI), ha offerto il seguente principio di diritto: “la condizione oggetto di protezione viene meno solo con il ripristino del sinallagma del rapporto lavorativo e della retribuzione, proprio perché, durante il periodo intercorrente fra la scadenza del termine nullo e la sentenza dichiarativa di tale nullità, in mancanza della prestazione lavorativa si giustifica la mancata prestazione retributiva, in omaggio al vincolo sinallagmatico proprio del contratto di lavoro subordinato; la tutela contro la disoccupazione involontaria non potrà che essere diretta a compensare l’assenza della retribuzione e a garantire misure di adeguato sostegno al lavoratore“.
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