Negli interventi di chirurgia estetica il consenso informato deve riguardare anche il risultato estetico derivante dall’intervento

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Il fatto

Nella vicenda oggetto di esame della Corte di Cassazione con la Sentenza commentata, due signore – madre e figlia – avevano agito nei confronti di un medico chirurgo estetico, che aveva eseguito su entrambe degli interventi di mastoplastica additiva ed avevano ottenuto ragione in grado di appello (che aveva ribaltato la precedente decisione di primo grado), condannando il medico al risarcimento dei danni subiti dalle attrici.

In particolare, la Corte di Appello di Palermo aveva accertato che il chirurgo estetico, prima di eseguire l’ intervento di mastoplastica additiva con l’ inserimento di protesi nel corpo delle due signore, non aveva acquisito un valido consenso informato dalle pazienti per l’ esecuzione di detti interventi ed inoltre non li aveva eseguiti correttamente. In considerazione di ciò, i giudici siciliani lo avevano condannato a risarcire alle due pazienti i danni dalle stesse subiti e quantificati, rispettivamente, in Euro 99.000 e Euro 110.000.

In ragione di ciò, il medico proponeva ricorso per Cassazione avverso detta sentenza, chiedendone la riforma per aver i giudici di secondo grado – per quanto qui di interesse – disatteso le norme in materia di consenso informato nonché per non aver correttamente quantificato il danno estetico subito dalle stesse.

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La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, nonostante il ricorso fosse improcedibile per non aver il ricorrente depositato tempestivamente la copia della sentenza impugnata notificata alle controparti né la prova dell’avvenuta notifica del ricorso in cassazione entro il termine di 60 giorni dal deposito della sentenza impugnata, ha comunque ritenuto di prendere posizione nel merito dei motivi di impugnazione prospettati dal ricorrente, vista la importanza delle questioni coinvolte, ritenendoli infondati e quindi meritevoli di rigetto anche se la Corte Suprema avesse deciso la causa nel merito anziché rigettare il ricorso per improcedibilità.

Per quanto riguarda il primo motivo di cassazione invocato dal ricorrente e relativo – come detto – ad una non corretta applicazione da parte del giudice di merito dei principi in materia di consenso informato, gli Ermellini hanno preliminarmente rilevato come il danno derivante dalla lesione della salute del paziente è distinto e diverso rispetto al danno derivante, sempre a carico del paziente, dalla lesione del diritto ad esprimere in maniera consapevole il proprio consenso alla esecuzione di una operazione chirurgica prima che detto intervento sanitario venga eseguito.

Ciò precisato, i giudici supremi evidenziano come nel campo della chirurgia estetica il consenso informato gode di una peculiarità rispetto agli altri settori sanitari: l’ informazione rivolta al paziente prima della esecuzione dell’ intervento chirurgico e la acquisizione del suo relativo consenso consapevole alla esecuzione, deve riguardare, non solo gli eventuali rischi connessi all’ intervento e le varie tipologie di tecniche utilizzabili, ma anche il risultato estetico che deriverà dall’ esecuzione dell’ intervento. Il paziente, quindi, prima dell’ intervento, dovrà essere adeguatamente e chiaramente informato di quali siano i possibili risultati estetici che potranno essere raggiunti con l’ intervento stesso e dovrà egli stesso decidere quali di questi risultati perseguire. Ciò in quanto, sostengono gli Ermellini, la decisione su quale sia il risultato estetico da perseguire con l’ intervento è una scelta privata e riservata soltanto al paziente e pertanto non potrà mai essere lasciata al sanitario: in altri termini, è solo il paziente che, negli interventi di chirurgia estetica, deve dire quale risultato estetico preferisce.

In ragione di tale principio, la Corte di Cassazione ha ritenuto che, nel caso di specie, il chirurgo fosse inadempiente in quanto non aveva preventivamente informato una delle due pazienti che nella esecuzione dell’ intervento avrebbe inserito una protesi additiva al seno e quindi avrebbe aumentato di due taglie il seno. Circostanza questa che sostanziava proprio una delle possibili tecniche per raggiungere il miglioramento dell’aspetto estetico richiesto dalla paziente, ma non l’unica. Pertanto, la scelta fra le varie tecniche possibili avrebbe dovuto essere effettuata dalla paziente.

Sul punto, gli Ermellini confermano quanto sostenuto dalla corte di secondo grado siciliana, che aveva ritenuto che l’ esecuzione di una operazione diversa da quella oggetto di preventiva informazione, anche se eseguita correttamente, comporta sia un inadempimento contrattuale sia una lesione della integrità fisica del paziente che subisce una lesione del suo corpo ed è soggetta al rischio connesso all’ intervento chirurgico. Oltre al fatto che la paziente sarà, poi costretta a sottoporsi ad una nuova operazione chirurgica per eliminare il risultato estetico non acconsentito (nel caso di specie, l’aumento di due taglie del seno) e ottenere invece il risultato che avrebbe voluto.

Per quanto riguarda il secondo motivo, il ricorrente lamentava la errata quantificazione del danno estetico attraverso la applicazione delle tabelle di Milano previste per calcolare il danno biologico, in considerazione del fatto che alla paziente non era residuato alcuna invalidità permanente poiché dopo l’ intervento di cui è causa aveva effettuato un successivo intervento che aveva modificato la situazione creata dal primo e che in ogni caso, a seguito di un intervento estetico non sarebbe potuta comunque derivare alcuna invalidità permanente a carico del paziente. La Corte di Cassazione ha confermato la correttezza dell’ operato della Corte di appello siciliana, la quale aveva liquidato il danno estetico non patrimoniale, in considerazione del fatto che i due interventi sulle pazienti si erano rivelati non eseguiti correttamente e che avevano determinato una modifica non voluta dell’aspetto estetico, applicando i valori delle tabelle milanesi per la invalidità temporanea che avevano subito le due pazienti fra il momento in cui avevano subito l’intervento di cui è causa e il momento in cui avevano invece eseguito il successivo intervento correttivo. Secondo la Cassazione, infatti, è stata corretta la decisione del giudice di appello sia di applicare le Tabelle milanesi, in quanto considerate dalla giurisprudenza di legittimità un idoneo parametro di riferimento per il calcolo del danno biologico, sia soprattutto la decisione di ritenere sussistente una invalidità temporanea nel lasso di tempo fra la esecuzione dell’ intervento che aveva determinato il risultato estetico non voluto dalle pazienti e la esecuzione del successivo intervento che si era reso necessario per eliminare gli effetti del primo intervento e conseguire il risultato estetico effettivamente voluto dalle attrici.

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Sentenza collegata

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Avv. Muia’ Pier Paolo

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