Messaggi telefonici al minore, è tentata violenza sessuale

Redazione 10/05/18
Scarica PDF Stampa
Anche solo inviare messaggi telefonici ad un minore, può essere sufficiente ad integrare il reato di tentata violenza sessuale, ai sensi degli artt. 56 e 609 bis c.p.

A chiarirlo, la Corte di Cassazione, terza sezione penale, con sentenza n. 19672 del 7 maggio 2018, respingendo il ricorso di un uomo dichiarato responsabile, tra gli altri reati, di tentata violenza sessuale ai danni di un minore. Avverso la propria condanna, l’imputato lamentava l’erronea ed illogica valutazione, da parte della Corte territoriale, delle risultanze istruttorie, non emergendo – al contrario – negli sms inviati al minore, né l’inequivocità né l’idoneità degli atti posti in essere. Inoltre l’imputato medesimo aveva interrotto spontaneamente i messaggi, non proseguendo nella propria condotta ed accettando il rifiuto ad incontrarsi opposto dal minore.

Capacità intimidatoria dei messaggi

Una censura tuttavia ritenuta inammissibile dalla Suprema Corte, in quanto volta a sollecitare una diversa rivisitazione dei fatti, come tale preclusa ai giudici di legittimità. D’altra parte – chiariscono gli Ermellini – i Giudici territoriali hanno correttamente evidenziato la univoca intenzione dell’imputato di soddisfare la propria concupiscenza sottesa ai messaggi inviati e ricevuti dalla persona offesa, nonché l’idoneità della condotta a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sua sfera sessuale, in considerazione del chiaro contenuto minaccioso e della capacità intimidatoria dei messaggi medesimi.

La motivazione della pronuncia impugnata, pertanto – conclude la terza sezione penale – è congrua e non manifestamente illogica, oltre che conforme ai principi di diritto in altre occasioni affermati dalla Suprema Corte, secondo cui è configurabile il tentativo di violenza sessuale quando, pur in mancanza di contatto fisico tra l’imputato e la persona offesa, la condotta tenuta dal primo denoti il requisito soggettivo dell’intenzione di raggiungere l’appagamento dei propri istinti sessuali e quello oggettivo dell’idoneità a violare la libertà di autodeterminazione della sfera sessuale della vittima.

Non è desistenza volontaria

Infine, è configurabile tentativo e non desistenza volontaria, nel caso in cui la condotta delittuosa si sia arrestata prima del verificarsi dell’evento, non per volontaria iniziativa dell’agente ma per fattori esterni che impediscano, comunque, la prosecuzione dell’azione o la rendano vana (in tal caso l’opposizione della persona offesa costituisce fatto indipendente dalla volontà del reo).

Volume consigliato 

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento