Maternità surrogata: il mancato riconoscimento della madre non biologica viola la CGUE?

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La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha deciso che un bambino nato all’estero con la «maternità surrogata» deve essere riconosciuto come figlio di entrambi i genitori, perché diversamente si violerebbe il suo diritto al rispetto della vita privata.

Cos’è la «maternità surrogata»?

Con le espressioni «surrogazione di maternità», «utero in affitto» o, più precisamente, «gestazione per altri» (G.P.A.), si indica una gravidanza portata a termine da una donna che poi dona il figlio messo al mondo ad un’altra persona o ad una coppia, eterosessuale od omosessuale.

Vi sono delle agenzie che mettono in contatto le coppie e le donne che si mettono a disposizione per una maternità surrogata; tali agenzie si occupano della stipula del contratto tra le parti, dove vengono enunciati diritti e doveri dei contraenti. Le agenzie stabiliscono anche il compenso per la prestazione, che potrebbe essere rappresentato soltanto dalle spese sostenute dalla donna durante la gravidanza (visite, eventuali cure, vestiti, ecc. ecc.) oppure comprendere una somma più consistente.

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Il caso ed il parere della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

I giudici della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si sono espressi sul caso di due bambine nate in California attraverso la gestazione per altri (il caso dei coniugi francesi Mennesson vs. Francia).

Le bambine non hanno legami di nessun genere con la moglie del padre, che però negli Stati Uniti è riconosciuta come genitore a tutti gli effetti.

Le autorità della Francia avevano negato all’inizio il riconoscimento di entrambi i genitori non biologici. Poi, dopo una prima battaglia giudiziaria e una prima condanna da parte della Corte europea (con la sentenza del 26 giugno 2014), le avevano registrate come figlie solo del padre (con cui hanno un legame genetico), ma non della madre francese.

A seguito della richiesta di riconoscere entrambi i genitori, la Cassazione francese nell’ottobre 2018 ha chiesto un parere orientativo alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Il quesito è: questo mancato riconoscimento della madre non biologica viola la convenzione europea dei diritti umani?

La Corte ha deciso all’unanimità che un bambino nato all’estero da madre surrogata deve essere riconosciuto come figlio di entrambi i genitori in base al suo diritto al rispetto della vita privata[1] che è da ritenersi preliminare rispetto alla salvaguardia dai rischi di abusi connessi alla maternità surrogata.

Per «rispetto della vita privata del bambino» la Corte intende il suo diritto a godere di una famiglia.

Inoltre, la Corte ha evidenziato che la tutela dell’interesse del minore obbliga ad identificare le persone responsabili sul piano legale per la sua crescita e il suo benessere.

Non riconoscere quindi i «genitori intenzionali» (che hanno fatto ricorso alla G.P.A.) come madre e padre effettivi del bambino è quindi incompatibile con la tutela del minore.

Ciò che è decisivo e fondamentale in questa sentenza è il riconoscimento del legame di filiazione, purché la donna sia stata già riconosciuta come madre legale all’ufficio anagrafe dove è avvenuto il concepimento.

In altre parole, quindi, con il parere consultivo del 10/04/2019, reso dalla Grand Chambre, la Corte europea per i diritti dell’uomo, ha confermato che in caso di ricorso a tecniche di maternità surrogata all’estero, in un Paese in cui la gestazione per altri, è legale, lo Stato di origine deve riconoscere il rapporto di filiazione, a tutela del superiore interesse dei minori, anche se tale tecnica è vietata dalle leggi nazionali.

Lo Stato di origine non è obbligato a risolvere la questione iscrivendo la «madre intenzionale» come genitore nell’atto di nascita; il riconoscimento può avvenire, a discrezione delle leggi dei singoli Stati, sia con la trascrizione immediata all’anagrafe del certificato di nascita legalmente ottenuto all’estero, sia mediante una procedura di adozione piena, tempestiva ed efficace che riconosca tutti i diritti-doveri anche alla madre non biologica (o al secondo padre) e consenta al minore di non essere trattenuto per un lungo periodo in una situazione di incertezza giuridica.

Sul punto:”Maternità surrogata: diritto alla procreazione, interesse superiore del minore e principi costituzionali”

Qual è la situazione italiana?

In Italia la legge[2] vieta tassativamente questa pratica, considerata reato, in quanto contraria alle disposizioni in materia di adozione e tutela dei minori, perché, dopo la nascita, il neonato viene consegnato alla coppia committente e la portatrice non acquista i diritti e i doveri connessi alla maternità, essendo sia legalmente che biologicamente estranea.

Pertanto, gli italiani che sono orientati verso questa forma alternativa di procreazione devono recarsi nei Paesi in cui è legale.

Il bambino viene registrato dall’Ufficiale dello Stato civile estero dove è avvenuta la nascita che rilascia ai genitori un atto dove si attesta la genitorialità che poi dovrà essere trascritto nello Stato di provenienza.

Negli ultimi anni la Corte di Cassazione si è espressa più volte sulla validità di questa procedura adottando orientamenti talvolta contrastanti: inizialmente la Corte era orientata a non riconoscere la validità della trascrizione nei registri italiani, considerandola un raggiro alle leggi vigenti, in quanto la madre naturale non c’è; tuttavia, da qualche anno le cose stanno cambiando e la Cassazione non ritiene più che la trascrizione integri il reato di contraffazione e di dichiarazione mendace.

La sesta sezione penale della Cassazione, con la recentissima sentenza n. 2173/19 del 17 gennaio 2019 ha detto chiaramente «no all’utero in affitto», condannando anche la madre naturale per il reato di affidamento a terzi di un minore[3], anche se non ha ricevuto alcun compenso.

La Corte ribadisce infatti la centralità e l’importanza della norma che regola la disciplina sulle adozioni nel tutelare il diritto dei minori e così reprimere ogni condotta volta a superare la centralità della sua figura, rispetto ai desideri degli adulti.

La ratio è la seguente: «chi affida illegittimamente il minore viola sempre l’interesse del minore ad un affidamento nel rispetto di tutte le condizioni poste a sua tutela (stabilità della coppia affidataria, maturità e capacità educativa della stessa, etc.); chi lo riceve è punito, invece, solo se ha pagato, evidentemente perchè non si è ritenuto meritevole di pena colui che lo riceva per appagare un desiderio naturale di genitorialità, senza ricorso a strumenti latamente corruttivi», con ciò confermando come la normativa vigente sia argine a ogni ipotesi di liceità delle pratiche di «utero in affitto» nel nostro Paese, che prevede, nella tutela di ogni figlio a godere della propria madre, un aggravamento della pena se a provvedere alla sua cessione sia stata la genitrice, e questo anche in assenza di un corrispettivo economico.

Note

[1] Ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali

[2] Articolo 12 comma V° della  Legge n.40 del 2004

[3]In violazione dell’articolo 71, comma 1, Legge n. 184/1983

Antonella Lamanna

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