Condominio e destinazione del sottotetto: le tendenze della giurisprudenza consolidata di merito e di legittimità

Redazione 03/12/01
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Di Alessandro Ludovici

In un edificio di più piani appartenenti a proprietari diversi, l’appartenenza del sottotetto (non indicato nell’art. 117 cod. civ. tra le parti comuni dell’edificio) si determina in base al titolo e in mancanza in base alla funzione cui esso è destinato in concreto. Pertanto, ove trattisi di vano destinato esclusivamente a servire da protezione dell’appartamento dell’ultimo piano esso ne costituisce pertinenza e deve perciò considerarsi di proprietà esclusiva del proprietario dell’ultimo piano, mentre va annoverato tra le parti comuni se è utilizzabile, anche solo parzialmente, per gli usi comuni, dovendosi in tal caso applicare la presunzione di comunione prevista dalla norma citata, la quale opera ogni volta che nel silenzio del titolo il bene sia suscettibile, per le sue caratteristiche, di utilizzazione da parte di tutti i proprietari esclusivi. (Cass. civile sez II, 20-07-1999 n. 7764).

Se ipotizziamo la coibentazione come pertinenza ad esclusivo uso di isolamento, la proprietà spetta ai condomini dei piani immediatamente sottostanti.

L’art. 1131, secondo comma cod. civ. prevede la legittimazione passiva dell’amministratore in ordine ad ogni lite che riguardi le parti comuni dell’edificio. Consegue che con riferimento alla domanda con la quale un condomino chiede che venga accertata la proprietà esclusiva di parte del sottotetto, quale proiezione verso l’alto del proprio appartamento, viene meno la legittimazione passiva dell’amministratore, dovendo la causa, riguardante l’estensione del diritto dei singoli condomini in dipendenza dei rispettivi acquisti, svolgersi nei confronti di tutti i condomini (Cass. civile, sez II, 19-05-1999, n. 4845). Significa che la legittimazione a rivendicare la proprietà di tali vani spetta ai condomini dei piani sottostanti al locale adibito a coibentazione degli stessi appartamenti sottostanti.

Il sottotetto di un edificio può considerarsi pertinenza dell’appartamento sito all’ultimo piano solo quando assolva la esclusiva funzione di isolare e proteggere l’appartamento stesso dal caldo, dal freddo e dall’umidità, mediante la creazione di una camera d’aria, non anche quando abbia dimensioni e caratteristiche strutturali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo, nel qual caso deve presumersi di proprietà condominiale se esso risulti in concreto, sia pure in via potenziale, oggettivamente destinato all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune (Cass. civile sez. II, 28-04-1999, n. 4266).

Dello stesso avviso è il trib. Di Bologna con sentenza emessa in data 29-07-1996 che afferma: “in assenza di una diversa espressa previsione del titolo, il vano sottotetto deve ritenersi pertinenza dell’appartamento dell’ultimo piano solo qualora assolva all’esclusiva funzione di isolare e proteggere l’appartamento medesimo, mentre in ogni latro caso esso è di proprietà condominiale.”

Per quanto riguarda la trasformazione dei locali medesimi in locali abitabili il Tribunale di Piacenza così afferma: “invero, nell’ipotesi in cui il sottotetto sia di proprietà esclusiva di uno dei condomini, la trasformazione in locale abitabile non è ammissibile quando tale intervento sia vietato da una disposizione del regolamento condominiale contrattuale (ossia predisposto dall’originario costruttore-venditore e richiamato nei singoli atti di vendita) o da una deliberazione successiva adottata all’unanimità da tutti i condomini ed inserita eventualmente in un regolamento negoziale: un siffatto divieto introduce, infatti, un limite al diritto di godimento dominicale, inquadrato dalla giurisprudenza nelle categorie dogmatiche ora dell’onere reale, ora nell’obbligazione propter rem, ora nel limite alla proprietà.

Allorquando, invece, non sia previsto alcun limite alla facoltà di godimento, di utilizzazione e destinazione del sottotetto, né per regolamento né per successiva delibera, i singoli condomini sono legittimati ad opporsi alla modifica soltanto qualora abbiano a lamentare pregiudizi alla sicurezza o alla stabilità dell’edificio o comunque danni che potrebbero conseguire al concreto svolgimento delle attività inerenti alla nuova destinazione (ad esempio, immissioni eccedenti la normale tollerabilità).

Un’altra sentenza utile del Tribunale di Milano del 25.03.1993: “qualora non emerga la proprietà del sottotetto, da ritenersi comunque di proprietà esclusiva in relazione alla funzione di isolamento che svolge a favore dell’appartamento sottostante, l’atto di vendita di quest’ultimo non deve citare espressamente il sottotetto, trattandosi di un bene pertinenziale che segue pertanto le vicende del bene principale”.

Emerge quindi da tali sentenze una costante: nel caso in cui non vi sia un’espressa disposizione contrattuale, i locali sottotetto sono di proprietà esclusiva del condomino quando svolga una funzione prettamente isolante; essi saranno di proprietà comune dei condomini negli altri casi.

Un’altra sentenza del Tribunale di Milano sembra giungere alle stesse conclusioni:

“In materia di condominio, il criterio per distinguere le parti comuni da quelle che sono di proprietà di un singolo o di un limitato gruppo di partecipanti deve essere individuato nella stessa ragione costitutiva del condominio, il quale è istituto che ha il suo fondamento nel fatto che, non essendo unico il proprietario, alcune parti dell’edificio sono necessarie alla sua esistenza, o sono permanentemente destinate all’uso o godimento di tutti i partecipanti.

Il criterio per determinare l’oggettiva natura di una parte dell’edificio è così costituito dal rapporto pertinenziale che unisce la singola parte considerata al complesso della proprietà del gruppo condominiale, ovvero a singole porzioni di esso.

A tal fine, è necessario accertare quale si la destinazione principale e non provvisoria del bene, riscontrando quale utilità esso possa produrre, e verificando se quel bene, per la sua attitudine funzionale al godimento collettivo, sia destinato all’uso comune, oppure serva esclusivamente all’interesse di singoli partecipanti al condominio.

Delle parti di uso e proprietà comune la disposizione prevista dall’art. 1117 , Codice civile, che ne sa una determinazione esemplificativa, stabilisce una presunzione di comproprietà fra i condomini (in tal caso basterebbe un dichiarazione del costruttore o del venditore che indichi come non condominiali tali locali) la quale viene appunto configurata quando risulti una relazione strumentale necessaria tra la parte in questione e l’uso comune.

Questa presunzione può essere vinta in modo espresso, se dal titolo di acquisto risultino elementi che siano in chiaro contrasto con l’esercizio del diritto comune, o che dimostrino l’attribuzione di uno o più parti in proprietà esclusiva ad uno solo od alcuni dei condomini.

I criteri menzionati per accertare la natura delle singole parti di un edificio condominiale valgono anche nel caso del sottotetto. Poiché il sottotetto non è incluso tra le parti comuni indicate dall’art. 1117, Codice civile, al fine di stabilire se esso sia di proprietà esclusiva o comune è necessario tenere conto di quanto stabilito dal titolo di acquisto; in difetto di una clausola espressa, si deve fare riferimento alla destinazione funzionale ed obbiettiva del sottotetto nel singolo edificio.

In generale, il sottotetto adempie sempre la funzione di isolare e proteggere l’appartamento sito all’ultimo piano dell’edificio dal caldo, dal freddo e dall’umidità mediante creazione di una camera d’aria. Soltanto se tale funzione è esclusiva, il sottotetto può essere qualificato come pertinenza dell’appartamento a cui apporta le utilità indicate.

Quando, invece, il sottotetto adempie anche altre funzioni ed ha dimensioni e caratteristiche tali da consentirne l’utilizzazione come vano autonomo, e per caratteristiche obiettive e strutturali risulti, sia pure in via potenziale, effettivamente destinato all’uso comune o all’esercizio di un servizio di interesse comune, esso deve essere considerato oggetto di proprietà comune, indipendentemente dall’uso concreto a cui sia stato adibito dai partecipanti”.

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