Marchio collettivo: le caratteristiche

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a cura di Serena Biondi

Il marchio collettivo è un segno distintivo caratterizzato da una particolare funzione: quella di contraddistinguere prodotti o servizi di titolarità di un insieme di aziende certificando le specifiche caratteristiche qualitative del prodotto. Detta tipologia di marchio è disciplinata dall’articolo 11 del Codice di Proprietà Industriale.

Da cosa derivano le caratteristiche di questi prodotti? Dalla provenienza geografica, dalle modalità del processo produttivo, dalla qualità, dall’ubicazione.

Le caratteristiche sono codificate, dai titolari del marchio, mediante un regolamento d’uso che viene dagli stessi depositato, presso gli enti preposti, contestualmente al deposito del marchio.

Ebbene, chi sono i titolari del marchio collettivo?

Con il Decreto legislativo 20 febbraio 2019, n. 15,  attuativo della Direttiva UE 2015/2436 del Parlamento Europeo e del Consiglio è stato stabilito che titolari dei marchi collettivi possono essere le persone giuridiche di diritto pubblico (come lo Stato e gli enti pubblici) o le Associazioni di categoria (fabbricanti, produttori, commercianti o prestatori di servizi) ma non le società per azioni, le società a responsabilità limitata o le società in accomandita per azioni. La finalità è quella di separare il titolare del marchio dall’utilizzatore.

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I titoli di marchi collettivi

Generalmente sono titolari di marchi collettivi Consorzi e Associazioni, oppure regioni o enti locali i quali registrando il marchio collettivo garantiscono ai consumatori la qualità dei prodotti. Detto marchio viene concesso agli operatori economici che lo richiedano e che siano in grado di rispettare i requisiti di applicazione così come definiti nel regolamento.

Esempi di marchi collettivi sono i marchi  “Pura Lana vergine” e “Vero cuoio italiano” i quali vengono apposti solo se la lana e il cuoio seguono appunto determinate linee guida presenti nel regolamento d’uso depositato dai titolari. Per curiosità si comunica che il primo è  gestito dalla società australiana Woolmark Company; mentre il secondo è gestito dal Consorzio Vero Cuoio Italiano formato da 12 concerie della provincia di Pisa;

Recentemente, con sentenza numero 12848 del 2019, la Corte di Cassazione ha avallato il rifiuto dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi di registrare il marchio collettivo “Aceto Balsamico di Modena” nonché il marchio  “Condimenti all’Aceto balsamico di Modena” per i produttori dello stesso.  Detto rifiuto, a dire della Suprema Corte, è giustificato dal fatto che il Consorzio ha depositato il marchio per contraddistinguere i prodotti della classe 30 della Classificazione Internazionale di Nizza, tuttavia detti prodotti non sono in essa contemplati.

Occorre a questo punto premettere che esiste una classificazione a livello  internazionale, stabilita dall’Accordo di Nizza, la quale cataloga in 45 classi un elenco di prodotti e servizi. Ebbene, i marchi possono essere registrati solo ed unicamente per i prodotti e i servizi indicati in dette classi pertanto i titolari del marchio dovranno individuarle, in sede di deposito, riportando pedissequamente la dicitura dei prodotti e servizi nella classe di interesse.

Alla luce di quanto detto si specifica che la classe 30 comprende le derrate alimentari di origine vegetale preparate per conservazione e consumo nonché gli additivi destinati a migliorare il sapore degli alimenti. In questa classe vi rientra inoltre l’aceto. L’aceto balsamico di Modena ha tuttavia delle caratteristiche diverse rispetto all’aceto.

Ufficio Brevetti e Marchi

L’UIBM ha quindi rifiutato la registrazione di “Aceto balsamico di Modena” e “Condimenti all’Aceto balsamico di Modena” all’interno della classe 30 della Classificazione internazionale di Nizza in quanto accettarlo avrebbe comportato una sorta di rimodulazione dell’elenco dei prodotti o servizi oggetto della Classificazione Internazionale di Nizza. La Corte di Cassazione ha confermato detto rifiuto.

 

Dott. Lione Federico

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