Manovra economica-bis (D.L. 138/2011): il decalogo dell’Oua contro la previsione di eliminazione delle barriere alle libere professioni

Redazione 01/09/11
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La manovra economica-bis, nel capitolo dedicato alle liberalizzazioni incide in modo significativo anche sull’universo delle professioni, equiparando di fatto questo mondo a quello delle imprese e concedendo un anno di tempo affinché le professioni vengano riformate secondo alcune linee guida elencate nel comma 5 dell’art. 3 del D.L. 138/2011 (si veda l’articolo pubblicato su questo sito sull’argomento).

L’Organismo unitario dell’avvocatura (Oua) ha stilato un decalogo di contestazione del citato art. 3 relativo alla riforma delle professioni, denunciando il contrasto della relativa previsione tanto con la normativa europea quanto con la Carta costituzionale. Il Presidente, Maurizio de Tilla, ha anche annunciato che in assenza delle necessarie modifiche del decreto legge in sede di conversione, l’Oua assumerà iniziative giudiziarie per portare la questione innanzi alla Corte Costituzionale e alla Corte di Giustizia Europea.

In particolare con riguardo alla professione forense, si sottolinea da parte dell’Oua come essa non possa rientrare nella previsione dell’art. 41 della Costituzione, che riguarda propriamente le attività economiche. Il legislatore rivela esplicitamente la sua intenzione di assimilare le professioni alle imprese con l’incipit di cui al comma 1 dell’art. 3 della manovra «In attesa della revisione dell’articolo 41 della Costituzione», che fa successivamente riferimento all’attività economica privata senza distinguere tra professioni e imprese, facendo quindi intendere che le professioni possano essere incluse nella citata norma costituzionale. Gli avvocati, tuttavia, non possono essere assimilati alle imprese, né sono assoggettati alle garanzie della concorrenza: è forte il contrasto genetico e strutturale tra le regole della professione forense e le regole dell’impresa, nonché è profonda la disomogeneità tra le due attività. L’avvocato svolge la specifica funzione costituzionale di difendere i cittadini la quale non può essere in alcun modo accostata all’attività di impresa, assoggettata a regole di mercato incompatibili con la indicata prerogativa costituzionale.

La non assimilazione dell’avvocato (e, più in generale, di ogni professionista) all’impresa rende perciò incostituzionale e illegittima la previsione del citato art. 3 D.L. 138/2011 che, così come formulato, contrasta con le norme primarie dell’ordinamento giuridico del nostro Paese (Costituzione e normativa europea).

Questi i dieci punti affermati dall’Oua sull’argomento:

1) la professione forense non rientra nella previsione dell’art. 41 della Costituzione, che riguarda le attività economiche. L’attività di avvocato svolge la specifica funzione costituzionale di difendere i cittadini e non può essere in alcun modo assimilata all’attività di impresa;

2) la funzione di interesse pubblico svolta dagli avvocati è riconosciuta dalla stessa Unione europea

(in tre documenti: la Risoluzione parlamentare 23 marzo 2006, la Direttiva Zappalà e la Direttiva ex

Bolkestein, queste ultime direttive sono state recepite nell’ordinamento italiano). La normativa europea prevale su quella nazionale (v. Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea recepita nel Trattato di Lisbona);

3) la funzione svolta dall’avvocato nel processo è garantita dagli artt. 24 e 111 della Costituzione e non può essere connotata da esigenze mercantili, rientrando nella sfera dei diritti fondamentali dei cittadini;

4) anche sotto il profilo del lavoro autonomo non si applica l’art. 41, bensì si applicano gli artt. 1, 4, 33 e 36 della Costituzione;

5) la non assimilazione all’impresa dell’avvocato (e più in generale di ogni professionista) rende incostituzionale e illegittima la previsione dell’art. 3 D.L. 138/2011, che, così come formulato, contrasta con le norme primarie dell’ordinamento giuridico del nostro Paese (Costituzione e normativa europea);

6) la situazione è tanto più vistosa ed illegittima dopo la lettura della rubrica dell’art. 3 «Abrogazione delle indebite restrizioni all’accesso e all’esercizio delle professioni …». Le parole «indebite restrizioni» rovesciano la realtà giuridica, non potendo ritenersi «indebite» le restrizioni in linea con la Costituzione;

7) uno Stato di diritto deve pretendere che gli avvocati, i quali hanno il compito di difendere i cittadini (nel cui ambito rientra il dovere di difendere i meno abbienti e svolgere le difese di ufficio), siano sufficientemente preparati dotando il loro ministero di professionalità e competenza specializzata. Ciò che non può conciliarsi con la possibilità di stipulare con il cliente un accordo che sia in deroga (e al ribasso) dei minimi di tariffa;

8) l’art. 3 D.L. 138/2011 contribuirà non poco al degrado delle attività professionali e, segnatamente, della professione di avvocato. Se rimarrà in piedi, rischierà di distruggere l’indipendenza e la dignità della professione forense: oggi, con l’accesso facile e la introduzione della pubblicità dei compensi con deroga al ribasso senza limiti; domani, con l’introduzione dei soci di capitale e l’eliminazione delle incompatibilità tra professione e commercio;

9) le professioni non hanno a che vedere alcunché con il deficit e il debito dello Stato: l’intervento «barbaro» del D.L.138/2011 non ha alcuna seria giustificazione, contribuendo peraltro i professionisti al PIL nazionale con il 12% dell’imponibile fiscale;

10) ove fosse confermata la formulazione attuale dell’art. 3 D.L. 138/2011, l’Oua promuoverà iniziative giudiziarie davanti ai giudici proponendo la rimessione della legge alla Corte Costituzionale, nonché innanzi alla Corte Europea di Giustizia per farne dichiarare la illegittimità, il tutto per il contrasto evidente con la Costituzione e la Carta europea dei diritti fondamentali.

 

(Anna Costagliola)

Redazione

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