Maltrattamenti in famiglia nel contesto lavorativo para-familiare

Marco Rossi 02/05/23

Il reato di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p. nel contesto lavorativo para-familiare
La necessità di un’interpretazione estensiva del reato di maltrattamenti in famiglia nei contesti di lavoro para-familiari deriva dalla complessità delle relazioni interpersonali in questi ambienti

Indice

1. Il reato di maltrattamenti in famiglia – generalità

Il reato di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p., rubricato tra i delitti contro l’assistenza familiare, si concretizza nel momento in cui un soggetto pone in essere comportamenti abituali e idonei a vessare, mortificare o ledere l’integrità psico-fisica di una persona appartenente alla sua famiglia o comunque con lui convivente, nonché a lui affidata “per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte” (Art. 572, comma 1, c.p.). La disposizione di legge, pur essendo per sua natura e collocazione nel Codice volta a salvaguardare il gruppo familiare o convivente da comportamenti lesivi, è stata più volte oggetto di interpretazione estensiva inerentemente al concetto di “famiglia”. Ciò ha permesso alla giurisprudenza di espandere il perimetro dei maltrattamenti, precedentemente associato alla comunità familiare stricto sensu, concentrando l’attenzione non solo sulle qualifiche giuridiche oggettive dei soggetti, bensì sulla natura del contesto interpersonale che caratterizza l’ambiente nel quale avvengono le condotte vessatorie o lesive. Al fine della sussunzione delle condotte vessatorie nella fattispecie di cui all’art. 572 c.p., il giudice si deve domandare, pertanto, se possa dirsi concretamente sussistente il tratto della “para-familiarità” nel contesto in questione.
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2. Cosa significa “para-familiarità” dell’ambiente di lavoro?

Attualmente non esiste alcuna disposizione di legge che delinea con chiarezza i presupposti perché il contesto interpersonale di un dato ambiente di lavoro possa dirsi “para-familiare”.
Sulla base del ragionamento dei giudici della Corte Suprema di Cassazione, il tratto della para-familiarità si caratterizza “per la sottoposizione di una persona all’autorità di un’altra in un contesto di prossimità permanente, di abitudini di vita (anche lavorativa) proprie e comuni alle comunità familiari, non ultimo per l’affidamento, la fiducia e le aspettative del sottoposto rispetto all’azione di chi ha ed esercita su di lui l’autorità con modalità, tipiche del rapporto familiare, caratterizzate da ampia discrezionalità ed informalità[1]. Oltre a ciò, viene dato significativo rilievo – sempre ai fini dell’accertamento della situazione para-familiare – all’intensità e alla natura della relazione interpersonale intercorrente fra datore di lavoro e dipendente.
Pertanto, ai fini dell’assimilabilità del rapporto con quello tipico del consorzio familiare, occorre l’elemento di soggezione psicologica tra la vittima e il reo – possibilmente per la tipologia di lavoro prestato o per la struttura organizzativa dell’ambiente lavorativo – tale che risulti possibile evidenziare la sottoposizione all’altrui autorità o affidamento per “l’esercizio di una professione o di un’arte”, espressamente prevista dall’art. 572 c.p.
Non essendo chiaramente possibile – per definizione intrinseca – valutare con obiettività l’elemento psicologico del rapporto, la prassi ha portato all’individuazione di un ristretto novero di fattori oggettivi che, considerati sistematicamente nel loro insieme, permettono di collocare l’ambiente di lavoro ad una distanza più o meno vicina a quella che può dirsi la comunanza di vita tipica dell’ambiente familiare. Prima tra tutti, gioca un ruolo fondamentale la complessità dell’organizzazione della realtà aziendale, escludendo la para-familiarità qualora la vittima del reato si trovi inserita in quella che la Suprema Corte definisce una “normale realtà aziendale”[2], ovvero in cui è presente un’organizzazione più o meno articolata e sia, da un certo punto di vista, fondata sull’impersonalità.
Circa il numero dei dipendenti dell’azienda, invece, la giurisprudenza fatica a individuare un dato quantitativo di soglia sopra il quale è plausibile escludere il carattere della para-familiarità, poiché l’opera di sussunzione della fattispecie deve fondarsi principalmente sull’aspetto qualitativo e “sulla natura dei rapporti intercorrenti tra datore di lavoro e lavoratore”[3]. Piuttosto, il ristretto numero dell’organico aziendale può assumere rilievo quando è atto a giustificare un rapporto di lavoro tra datore di lavoro e dipendenti fondato sulla fiducia e sull’informalità nelle relazioni professionali, caratteri tipici del consorzio familiare.
Infine, è da analizzarsi – nel caso di piccole o medie imprese – il complesso delle dinamiche relazionali di rilievo che intercorrono tra il datore di lavoro e il lavoratore vittima delle condotte lesive, che possono sostanziarsi nella “sottoposizione di una persona all’autorità di un’altra in un contesto di prossimità permanente, di abitudini di vita (anche lavorativa) proprie e comuni alle comunità familiari”[4].

3. Rapporto tra maltrattamenti sul luogo di lavoro e mobbing

Le pratiche persecutorie (il c.d. “mobbing”) poste in essere dal datore di lavoro nei confronti e a danno del dipendente assumono rilevanza penale solo quando i singoli atti lesivi sono idonei ad integrare una fattispecie di reato prevista dalla legge. Infatti, è ormai consolidato nella giurisprudenza che anche una pluralità di atti leciti (quando presi singolarmente), ma attuati sulla base di un disegno vessatorio finalizzato all’emarginazione e alla mortificazione delle capacità professionali di un dipendente, rientrano – considerati nel loro insieme – nella pratica del mobbing.
Dal punto di vista della rilevanza penale, parlando ora quindi di atti illeciti anche quando considerati singolarmente, le pratiche persecutorie possano integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p. “esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra e dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia”[5]. Diversamente, qualora l’ambiente di lavoro dovesse rivelarsi di natura tutt’altro che para-familiare (per esempio nel caso di un’azienda di notevoli dimensioni e fortemente spersonalizzata), non potrà dirsi integrato il reato di cui all’art. 572 c.p., tuttavia si potrà optare per una, eventuale, diversa qualificazione della fattispecie criminosa.

4. Conclusioni

La necessità di un’interpretazione estensiva del reato di maltrattamenti in famiglia nei contesti di lavoro para-familiari deriva dalla complessità delle relazioni interpersonali in questi ambienti. In particolare, la posizione di autorità o responsabilità dell’aggressore può creare una dinamica di potere che può condurre a violenza o abusi.
Tuttavia, nonostante l’importanza di estendere la tutela del reato di maltrattamenti in famiglia a queste situazioni, rimane centrale il tema della “familiarità” nell’ambiente lavorativo. Questo termine va inteso in latu sensu, includendo non solo le relazioni familiari o conviventi, ma anche quelle basate sulla vicinanza e la frequentazione abituale, come quelle tra colleghi o tra superiori e subordinati.
Ad ogni modo, il giudice dovrà analizzare attentamente ogni singolo caso, valutando i vari aspetti del contesto interpersonale e considerando anche le dinamiche di potere e di autorità che possono influenzare la relazione tra aggressore e vittima. Solo così sarà possibile garantire una tutela adeguata a tutte le vittime di maltrattamenti in famiglia, inclusi quelli che avvengono in contesti para-familiari.

  1. [1]

    Cass., Sez. VI, 22 ottobre 2014, n. 53416

  2. [2]

    Cass., Sez. VI, 26 febbraio 2016, n. 23358

  3. [3]

    Cass., Sez. VI, 22 ottobre 2014, n. 53416

  4. [4]

    ibid

  5. [5]

    Cass., Sez. VI, 6 febbraio 2009, n. 26594

Marco Rossi

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