L’omesso avviso della udienza di riesame all’indagato integri un’ipotesi di nullità di ordine generale a regime intermedio e non una nullità assoluta

(Ricorso rigettato)

Il fatto

Il Tribunale di Grosseto respingeva la richiesta di riesame del provvedimento di sequestro presentata nell’interesse di S.C. in data 15/04/2019 e riguardante i decreti di convalida di sequestro probatorio emessi in data 04/04/2019 dal Procuratore della Repubblica di Grosseto con riferimento ai verbali di sequestro della polizia giudiziaria in data (omissis): sequestri aventi ad oggetto armi e munizioni in relazione a violazioni di diverse disposizioni in materia di armi nonché timbri ufficiali, documenti di identità e passaporti in relazione a contestazioni di falso e di ricettazione.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso detta ordinanza, veniva proposto ricorso per cassazione per chiederne l’annullamento deducendosi i seguenti motivi: 1) violazione di legge per errata applicazione del combinato disposto dell’art. 309 c.p.p., comma 8 e art. 324 c.p.p., omessa notifica all’indagato dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale; nullità radicale dell’ordinanza; perdita di efficacia dei decreti di sequestro atteso che la notifica, effettuata a mezzo pec, era stata fatta a favore del difensore solo in proprio e non come domiciliatario del suo assistito come confermato dal biglietto di cancelleria e dalla ricevuta telematica generata dal sistema; 2) violazione di legge per errata applicazione dell’art. 253 c.p.p.; mancanza di motivazione; difetto assoluto, carenza ed illogicità manifesta della motivazione; motivazione apparente; nullità dei decreti di convalida per omessa motivazione visto che, nei due decreti di convalida dei sequestri, risultava la sola apposizione del timbro di visto del pubblico ministero in calce ai relativi verbali, il tutto in violazione degli insegnamenti della Suprema Corte (Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018) che ha ritenuto la necessità di una specifica motivazione sulla finalità perseguita sull’accertamento dei fatti; in particolare, si osservava come nei provvedimenti de quibus non fosse rinvenibile: 1) la fattispecie concreta individuata attraverso gli indici di luogo, tempo e azione, con l’indicazione della norma di legge violata; 2) le ragioni che permettono di identificare il bene come corpo di reato o cosa pertinente al reato; 3) la concreta finalità probatoria perseguita con l’apposizione del vincolo reale.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva ritenuto infondato alla stregua delle seguenti considerazioni.

Si evidenziava prima di tutto come, con riferimento al primo motivo, effettivamente risultasse dagli atti (biglietto di cancelleria e ricevuta telematica generata dal sistema) che la notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza telematica fosse stata spedita al difensore in proprio e non anche nella sua qualità di domiciliatario dell’indagato assistito.

Orbene, a fronte di ciò, si faceva presente che, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, in tema di notificazione al difensore mediante invio dell’atto tramite posta elettronica certificata (c.d. pec), l’invio di un’unica copia dell’atto da notificare non dà luogo ad alcuna irregolarità qualora risulti che l’atto viene consegnato al difensore sia in proprio, sia nella qualità di domiciliatario dell’interessato (cfr., Sez. 1, n. 12309 del 29/01/2018; nello stesso senso, Sez. 2, n. 8887 del 17/01/2019; Sez. 3, n. 43626 del 21/06/2018; Sez. 4 n. 48275 del 26/09/2017).

Tal che se ne faceva conseguire come l’incompletezza della notifica rendesse necessario l’esame della natura della nullità che aveva afflitto l’udienza di riesame considerato che, ove la stessa fosse qualificata come assoluta ed insanabile, potrebbe ritenersi validamente dedotta mentre, se reputata come nullità di ordine generale a regime intermedi,o la stessa sarebbe sanata in quanto non tempestivamente dedotta dal momento che il vizio non era stato rilevato in sede di udienza avanti al Tribunale del riesame (23/04/2019) da parte dei difensori presenti ma eccepito solo con il presente ricorso per cassazione.

Oltre a ciò, si faceva altresì presente come la giurisprudenza della Suprema Corte, con riferimento alla natura del vizio collegato alla mancanza dell’avviso per l’indagato della data della udienza di riesame ed al tipo di nullità che da esso origina, registrasse posizioni discordanti.

In effetti, secondo un primo orientamento, è stato affermato che l’omesso avviso della data fissata per l’udienza di riesame, costituendo palese violazione del diritto dell’indagato di partecipazione al procedimento, è sanzionato con la nullità assoluta, insanabile e rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, prevista dall’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 179 c.p.p., comma 1, per il caso di omessa citazione dell’imputato fermo restando che tale nullità non determina, tuttavia, la perdita di efficacia della misura cautelare che ha luogo nella sola ipotesi di decisione non intervenuta nel termine perentorio di dieci giorni dalla ricezione degli atti da parte del giudice del riesame (Sez. 1, n. 2020 del 28/03/1996) così come in senso analogo è stato asserito che nel procedimento di riesame delle misure cautelari personali l’omessa notificazione dell’avviso della data d’udienza camerale determina una nullità assoluta ed insanabile ai sensi dell’art. 179 c.p.p., comma 1 non potendo tale omissione ritenersi sanata da una notifica per equipollente costituita, nel caso in esame, dal provvedimento di traduzione disposto dal Presidente del Tribunale in considerazione dello stato di detenzione dell’indagato (Sez. 2, n. 47841 del 05/11/2003).

Viceversa, secondo un altro orientamento, nel caso di riesame di un provvedimento che dispone una misura cautelare personale, l’omesso avviso all’indagato della data fissata per l’udienza in camera di consiglio è causa di una nullità che, in quanto non definita assoluta dall’art. 127 c.p.p., comma 5, e non attinente ad un’potesi in cui è obbligatoria la presenza del difensore, soggiace alla disciplina di cui agli artt. 180, 181 e 182 c.p.p. e pertanto, da ciò è stato fatto conseguire che l’omessa eccezione da parte del difensore della detta nullità di fronte al tribunale del riesame produce la non deducibilità dell’eccezione stessa innanzi alla Cassazione (cfr., Sez. 2, n. 3694 del 15/12/2015; Sez. 1, n. 1930 del 30/04/1993).

Orbene, i giudici di piazza Cavour, nella decisione in oggetto, ritenevano di dovere aderire alla tesi secondo la quale l’omesso avviso della udienza di riesame all’indagato integri un’ipotesi di nullità di ordine generale a regime intermedio e non una nullità assoluta ex art. 179 c.p.p. (cfr., Sez. 2, n. 16781 del 08/04/2015, omissis, Rv. 263762) atteso che, come dedotto in questa pronuncia, il regime delle nullità delineato dal codice vigente, si è “… fortemente ispirato ai criteri introdotti per la prima volta nel nostro sistema processuale dalla L. 8 agosto 1977, n. 534, la quale, al fine di razionalizzare l’assetto della deducibilità e rilevabilità delle nullità, in stretta aderenza al differenziato livello di gravità dei vizi degli atti processuali, aveva inserito — novellando, con l’art. 6, l’art. 185 codice abrogato – accanto alle tradizionali figure delle nullità relative ed assolute, una categoria residuale di nullità, variamente definite come “a regime intermedio”, o “assolute affievolite”, o “relativamente assolute”. Quanto precede nell’ovvio intendimento di precludere il malvezzo di dedurre nullità con portata demolitoria dell’intero processo, soltanto al suo epilogo, generando effetti di regressione del processo, con intuibili riverberi sul piano della dispersione della attività processuale e rischi di prescrizione. Dunque, nel disegno del legislatore – rimasto per questo aspetto inalterato anche nel nuovo codice – la categoria delle nullità assolute doveva restare confinata ai vizi “più radicali”, vale a dire quelli in presenza dei quali era lo stesso “fondamento” del processo a risultare minato e, come tale, da rimuovere comunque, anche ex officio, ed a prescindere da qualsiasi meccanismo di sanatoria o acquiescenza. La rassegna dei vizi che inducono la nullità assoluta è, d’altra parte, eloquente nei suoi tratti definitori. A norma dell’art. 179, infatti, sono insanabili e sono e, dunque, devono, essere rilevate di ufficio in ogni stato e grado del procedimento (locuzione, questa, che evoca il carattere “perdurante” del vizio e come tale idoneo a compromettere la validità di qualsiasi ulteriore attività processuale) le (sole) nullità previste dall’art. 178, comma 1, lett. a) – vale a dire le nullità che derivano dal mancato rispetto delle disposizioni concernenti le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi stabilito dalle leggi di ordinamento giudiziario – quelle che derivano dalla inosservanza delle disposizioni concernenti la iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio della azione penale, ed infine “quelle derivanti dalla omessa citazione dell’imputato” o dalla assenza del suo difensore nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza. Tutte le altre nullità, riguardanti l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato rientrano nelle nullità di ordine generale, a norma dell’art. 178, comma 1, lett. c), per le quali si applica il regime delineato dall’art. 180, la disciplina delle deducibilità di cui all’art. 182 e la sanatoria di cui all’art. 184. Il regime della tassatività che delimita la materia delle nullità, a norma dell’art. 177 codice di rito, parrebbe quindi, già a tutta prima, precludere letture “ampliative” del concetto di “citazione” dell’imputato che valgano ad attrarre nell’alveo della nullità assoluta anche la ben diversa ipotesi dell’omesso avviso della udienza di riesame, giacché, più che di interpretazione estensiva, si tratterebbe, nella specie, di una applicazione analogica dell’art. 179 c.p.p. che la già segnalata tassatività ed eccezionalità del regime delle nullità assolute sembrerebbe precludere…”.

Ciò posto, si rilevava al contempo che questa stessa pronuncia, dopo aver affermato che risulta indubbio che l’eventuale comparizione dell’indagato alla udienza di riesame anche in assenza del relativo avviso renderebbe applicabile il regime della sanatoria di cui all’art. 184 c.p.p., finisce con l’evidenziare come detto rilievo sarebbe di per sé sufficiente a rendere la relativa posizione diversa da quella dell’indagato che non abbia ricevuto la citazione giacché in tal caso nessuna sanatoria sarebbe applicabile (l’art. 184 si applica, infatti, nel caso di nullità e non di mancanza della citazione) evocando a tal fine l’insegnamento delle Sezioni Unite (sent. n. 119 del 27/10/2004) secondo cui “è bene muovere dalla lettera dell’art. 179 c.p.p., comma 1 e art. 184 c.p.p., comma 1, relativi il primo ai casi di nullità insanabile della citazione e il secondo alle sanatorie. Secondo l’art. 179, comma 1, sono insanabili le nullità “derivanti dalla omessa citazione dell’imputato”, mentre l’art. 184, comma 1, stabilisce che “la nullità di una citazione o di un avviso ovvero delle relative comunicazioni e notificazioni è sanata se la parte interessata è comparsa o ha rinunciato a comparire”. Vi è un’apparente contraddizione tra le due disposizioni: una infatti stabilisce l’insanabilità della nullità e la seconda, che segue numericamente con un brevissimo intervallo, prevede una sanatoria, ma la contraddizione viene meno se si considera che la prima disposizione si riferisce solo alle nullità “derivanti dalla omessa citazione” e la seconda alle nullità in generale, sicché è possibile interpretare le due disposizioni nel senso che la prima prevede delle nullità insanabili anche nel caso di comparizione o di rinuncia a comparire, mentre la seconda introduce una sanatoria per tutte le altre nullità della citazione o della notificazione, cioè per le nullità ravvisabili in tutti i casi in cui la citazione non è stata “omessa””.

Preso atto di tale orientamento nomofilattico, i giudici di piazza Cavour mettevano in risalto il fatto che a rafforzare siffatte conclusioni si poneva anche il confronto degli effetti dell’omissione in parola in altri “snodi” processuali, quale l’udienza preliminare rilevandosi a tal proposito come in questo caso l’avviso debba essere notificato all’imputato unitamente alla richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero la quale racchiude l’imputazione (art. 417 c.p.p.) ed indica i mezzi di prova: esso rappresenta dunque l’aspetto sostanziale e contenutistico di una citazione essendo finalizzato a consentire la partecipazione della parte personalmente all’udienza con la possibilità di esplicare la propria difesa, anche nella forma diretta, in ordine agli addebiti a suo carico formulati; la necessità della suddetta contestuale notifica, ad avviso della Corte, fornisce spiegazione della circostanza che tra i requisiti essenziali dell’avviso non compaia, come per il decreto che dispone il giudizio (art. 429 c.p.p.), l’enunciazione del fatto e segnala sul punto l’effettiva equivalenza dei due atti; il ragionamento vale anche per l’ulteriore requisito, pur non essenziale, della indicazione dei mezzi di prova.
Tal che se ne faceva conseguire che se le accennate “caratteristiche” della vocatio alla udienza preliminare, con i connessi importanti poteri processuali riservati alle scelte dell’imputato, paiono indubbiamente comportare l’applicazione del concetto della “citazione dell’imputato” agli effetti di quanto stabilito dall’art. 179 c.p.p., ad avviso della Corte, altrettanto non sembra potersi affermare con riferimento all’avviso della udienza di riesame mancando, per essa, i connotati che paiono tipizzare nel sistema il concetto stesso di “citazione“: atto che evoca una “chiamata in causa” che ha struttura e funzioni diverse dal semplice avviso che può caratterizzare le diverse articolazioni di udienze tenuto conto altresì del fatto che, d’altra parte, non pare neppure senza significato la circostanza che il procedimento di riesame promani da una richiesta dell’indagato il quale è ben consapevole delle cadenze assai accelerate del procedimento e che rendono, a parere del Collegio, l’avviso della udienza di riesame non comparabile con la funzione della citazione e che, per ciò stesso, non possono determinare – ove l’avviso sia in concreto mancato – l’insorgenza del più radicale ed insanabile fra i vizi degli atti processuali.

Si segnalava infine il fatto che soltanto per gli avvisi – e non certo per la citazione – è previsto, come ordinaria forma di notificazione, l’istituto dell’avviso de praesenti a norma dell’art. 148 c.p.p., comma 5 e, per il pubblico ministero, dell’art. 151 c.p.p., comma 3: a denotare, ancora una volta, la non comparabilità fra gli istituti e la conseguente inapplicabilità, al caso di specie, dell’ipotesi di nullità assoluta per “omessa citazione” dell’imputato.

Dalle considerazioni sin qui enunciate la Corte di Cassazione ne faceva conseguire l’infondatezza del primo motivo di ricorso.

Anche il secondo motivo del ricorso riceveva la medesima sorte processuale.

A tal fine evidenziava il Collegio come, secondo l’ormai definito orientamento della giurisprudenza di legittimità (Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018), il decreto di sequestro probatorio, così come il decreto di convalida, anche qualora abbia ad oggetto cose costituenti corpo di reato, deve contenere una motivazione che, per quanto concisa, dia conto specificatamente della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti, dovendosi tener presente al riguardo l’insegnamento del Supremo consesso che ha espressamente affermato che “… solo valorizzando l’onere motivazionale è possibile… tenere “sotto controllo” l’intervento penale quanto al rapporto con le libertà fondamentali ed i beni costituzionalmente protetti quali la proprietà e la libera iniziativa economica privata, riconosciuti dall’art. 42 Cost. e dall’art. 1 Primo protocollo addizionale alla Convenzione Edu, come interpretato dalla Corte Edu; in tale ottica, la motivazione in ordine alla strumentalità della res rispetto all’accertamento penale diventa, allora, requisito indispensabile affinché il decreto di sequestro, per sua vocazione inteso a comprimere il diritto della persona a disporre liberamente dei propri beni, si mantenga appunto nei limiti costituzionalmente e convenzionalmente prefissati e resti assoggettato al controllo di legalità”.
Ciò posto, si evidenziava oltre tutto come la medesima giurisprudenza, nell’immediato solco delle Sezioni Unite, avesse riconosciuto che l’onere motivazionale del decreto di sequestro probatorio del pubblico ministero (ovvero della convalida del sequestro effettuato dalla polizia giudiziaria) possa essere assolto anche tramite l’utilizzo di un modulo prestampato ma detto modulo deve risultare in ogni caso, in concreto, idoneo ad esprimere le ragioni essenziali e le finalità dell’apposizione del vincolo reale come richiesto dall’art. 253 c.p.p. (Sez. 3, n. 7160 del 07/11/2018, dep. 2019) così come, nel medesimo senso, è stato affermato (Sez. 6, n. 56733 del 12/09/2018) che l’obbligo motivazionale, che deve sorreggere, a pena di nullità, il decreto di sequestro probatorio deve necessariamente chiarire: a) la ragione per cui i beni possono considerarsi corpo del reato ovvero cose ad esso pertinenti; b) la concreta finalità probatoria perseguita con l’apposizione del vincolo reale, con motivazione che deve “modularsi” in relazione al fatto di reato ipotizzato, al tipo di illecito cui in concreto il fatto è ricondotto, alla relazione che le cose presentano con il reato nonché alla natura del bene che si intende sequestrare.

Il Supremo Consesso, di conseguenza, alla luce di siffatti approdi ermeneutici, riteneva come l’obbligo motivazionale richiesto – indicati i reati in contestazione – risultasse essere stato sufficientemente assolto avendo il pubblico ministero fatto riferimento all’esigenza di svolgere attività di approfondimento investigativo finalizzata ad accertare origine e provenienza di quanto in sequestro.

Conclusioni

La sentenza in oggetto è assai interessante nella parte in cui aderisce a quell’orientamento nomofilattico secondo il quale l’omesso avviso della udienza di riesame all’indagato integri un’ipotesi di nullità di ordine generale a regime intermedio e non una nullità assoluta ex art. 179 c.p.p..

Tuttavia, pur prendendosi atto delle plurime argomentazioni in base alle quali il Supremo Consesso ha ritenuto di far suo questo orientamento ermeneutico, stante la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale ancora persistente sul punto, sarebbe forse opportuno che sulla questione intervenissero le Sezioni Unite.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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