Lo Statuto del Contribuente e l’irretroattivita’ della legge tributaria

Redazione 05/05/01
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Tesi di laurea
di Giorgio Pallavicini

Capitolo 2
2.4 Efficacia temporale delle norme tributarie

Lo Statuto del contribuente dedica un intero articolo alla formulazione di principi generali in materia di efficacia temporale delle disposizioni tributarie.
Con il concetto di “efficacia delle norme nel tempo” ci si riferisce tradizionalmente ad una serie di problemi che riguardano il momento di inizio della obbligatorietà della norma, il momento di cessazione e l’individuazione dei rapporti giuridici ai quali la norma si applica nel periodi di tempo che intercorre fra i due momenti indicati[1].
L’articolo 3 dello Statuto[2] si limita a prendere in considerazione solo il momento iniziale dell’efficacia con una particolare attenzione al possibile effetto retroattivo.
L’articolo 73, comma primo, della Costituzione prevede che “le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione ed entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso”.
L’articolo 10 delle disposizioni sulla legge in generale prevede che “le leggi e i regolamenti divengono obbligatori nel quindicesimo giorno successivo a quello della loro pubblicazione, salvo che sia altrimenti disposto”.
Queste due disposizioni prevedono quindi che il periodo della vacatio legis, cioè il lasso di tempo che intercorre fra la pubblicazione e l’entrata in vigore della disposizione normativa, è, nella normalità dei casi, di quindici giorni. Le leggi, però, possono modificare tale termine, riducendolo fino a far coincidere la pubblicazione con l’entrata in vigore, o prolungandolo a discrezione del legislatore. Lo stesso Statuto dei contribuenti stabilisce una deroga al principio generale della vacatio legis in quanto secondo l’articolo 21 “la presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale”.
Il Codice civile inoltre si preoccupa di disciplinare il caso particolare nel quale una disposizione produca effetti giuridici non solo per il futuro ma anche per il passato; si parla in questi casi di retroattività. Infatti l’articolo 11, comma primo, delle preleggi stabilisce che “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”. Ciò significa che, di regola, il legislatore non può fissare anticipatamente il termine di inizio dell’efficacia della norma rispetto al momento di pubblicazione dell’atto. L’articolo 11, però, rappresenta una norma contenuta in una legge ordinaria, qual’è il Codice civile, e quindi non può vincolare il legislatore al suo completo rispetto.
L’unica norma che può limitare l’effetto retroattivo deve essere una norma costituzionale, come accade all’interno della materia penale grazie a quanto disposto dall’articolo 25 della Costituzione secondo cui “nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso”. Questa disposizione è certamente applicabile anche alla materia tributaria ma con specifico riferimento al sistema sanzionatorio tributario.
Anticipando in parte quanto si dirà in modo più preciso e completo nei capitoli 3 e 4, dedicati rispettivamente al problema della retroattività delle norme tributarie e a quello della loro legittimità costituzionale, ora si può mettere in evidenza soltanto come per le norme tributarie impositive non esista, a prima vista, alcun principio costituzionale che imponga la loro irretroattività.
L’articolo 11, infatti, non è assolutamente in grado di vincolare l’attività del legislatore e per rendersene conto basta osservare la prassi applicativa seguita nell’ultimo cinquantennio durante il quale si è assistito alla proliferazione di norme tributarie retroattive con lo scopo portare a tassazione una ricchezza manifestatasi anche dieci anni prima dell’entrata in vigore della norma.
Con la disposizione contenuta nell’articolo 3, primo comma, dello Statuto, norma di evidente carattere programmatico e di indirizzo per la futura attività normativa, il legislatore ha voluto tutelare il legittimo affidamento del contribuente, riaffermando, in termini impliciti, il principio generale della certezza del diritto.
Sempre l’articolo 3, comma primo, contiene un’ulteriore disposizione di indubbio interesse poiché si prevede che per i tributi periodici, di norma quelli computati ad anno solare, le modifiche produrranno effetti solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso nel momento in cui la modifica è approvata.
Questa norma non è oggettivamente in grado di risolvere tutti i problemi connessi alle modifiche dei tributi periodici. Non è in grado, per esempio, di arrestare la prassi che, come ricorda il Lupi[3], è ormai frequente nelle imposte di periodo e cioè quella di “modificare verso la fine del periodo d’imposta le regole di determinazione dell’imponibile, anche riducendo le deduzioni e le detrazioni”. “In queste ipotesi”, continua l’Autore, “il lasso si tempo tra la fine del periodo d’imposta e il momento della dichiarazione è infatti troppo breve specie quando si interviene con decreti targati 31 dicembre e pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale dello stesso giorno, la quale, però, sarà disponibile solo intorno al 10 gennaio”.
In questi casi le modifiche apportate entro la fine del periodo d’imposta produrranno i loro effetti all’inizio del periodo successivo a meno che la modifica introdotta dal legislatore venga fatta ricadere sotto il divieto previsto dall’articolo 3, comma secondo, secondo il quale i nuovi adempimenti a carico del contribuente produrranno effetti soltanto dopo 60 giorni dalla loro approvazione, lasso di tempo idoneo a garantire al contribuente una piena conoscenza delle modifiche e a porlo nelle condizioni di adempiere nel pieno rispetto della nuova normativa.
Infine l’ultimo comma dell’articolo 3 dello Statuto vieta espressamente al legislatore di prorogare i termini di decadenza e di prescrizione degli accertamenti.
E’ necessario prima di tutto chiarire la distinzione tra prescrizione e decadenza. La decadenza rappresenta un termine previsto dalla legge entro il quale deve essere esercitato un potere; nel caso di specie, il potere di emissione da parte dell’Amministrazione finanziaria dell’avviso di accertamento o dell’iscrizione a ruolo. La prescrizione, invece, rappresenta un fenomeno di estinzione di un diritto a seguito del suo mancato esercizio; in questo caso il diritto è rappresentato dal credito dell’Amministrazione nei confronti del contribuente.
Quindi la decadenza riguarda la potestà impositiva, la prescrizione l’esercizio del diritto di credito già sorto.
La legge tributaria non prevede termini di prescrizione relativi alle imposte sui redditi e l’I.V.A.; il fenomeno estintivo si verifica trascorso il termine di prescrizione ordinario previsto dal Codice civile[4]. Per quanto riguarda la decadenza l’articolo 43 del D.P.R. 600 del 1973 in tema di imposte sui redditi e l’articolo 57 del D.P.R. 633 del 1972 in tema di I.V.A., prevedono che gli avvisi di accertamento devono essere notificati al contribuente entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione ovvero entro il quinto anno in caso di omessa dichiarazione.
L’utilizzo di leggi di proroga dei termini di prescrizione o di decadenza non è molto frequente e una delle ultime norme di proroga risale al 1998, precisamente la legge 23 dicembre 1998 n. 448 che ha avuto l’ambizioso scopo di eliminare le giacenze e quindi di smaltire il lavoro arretrato dell’Amministrazione finanziaria relativo ai periodi d’imposta compresi tra il 1993 e il 1997.
La ratio dell’articolo 3, comma terzo, dello Statuto è chiaramente quella di dare certezza al rapporto tra contribuente e Amministrazione finanziaria, mantenendo fermi i termini di prescrizione e soprattutto quelli di decadenza, visto che il problema riguarda soprattutto questi ultimi, non permettendo l’emanazione di atti di accertamento oltre i termini previsti, posto che quelli già stabiliti dalla normativa vigente possono considerarsi adeguatamente lunghi, nel caso in cui l’Amministrazione non abbia “lavoro arretrato”.
E’ interessante mettere in evidenza un possibile problema interpretativo che non è stato ancora evidenziato da quella parte della dottrina che ha proposto commenti della legge 212/2000 in questo breve periodo di tempo successivo alla sua approvazione.
Il problema riguarda il possibile contrasto tra l’articolo 3, comma terzo, dello Statuto e la legge 21 giugno 1961 n. 498, modificata dalla legge 25 ottobre 1985 n. 592, intitolata “Norma per la sistemazione di talune situazioni dipendenti dal mancato o irregolare funzionamento degli uffici finanziari”.
La legge 592/1985, attualmente in vigore, prevede che: “Qualora gli uffici finanziari non siano in grado di funzionare regolarmente a causa di eventi di carattere eccezionale, i termini di prescrizione e di decadenza, nonché quelli di adempimento di obblighi e formalità previsti dalle norme riguardanti le imposte e le tasse a favore dell’Erario, scaduti durante il periodo di mancato o irregolare funzionamento degli uffici, sono prorogati fino al 10° giorno successivo alla data in cui viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto del Ministro delle finanze che accerta il mancato o irregolare funzionamento dell’ ufficio”.
In sostanza dal 1961 esiste una disposizione che riconosce al Ministro delle finanze il potere di prorogare con proprio decreto i termini di prescrizione e di decadenza nel caso in cui essi siano scaduti in un periodo di mancato o irregolare funzionamento degli uffici a causa di eventi eccezionali.
Sull’argomento è intervenuta la Corte di Cassazione[5] che, però, ha concretato l’attenzione soltanto sulla valenza giuridica del decreto di proroga del Ministro delle finanze, prevedendo che tale decreto è un atto amministrativo del tutto privo di valore normativo, in quanto rappresenta solo il presupposto di fatto dell’operatività di norme giuridiche. Nella sostanza la Corte afferma che non è il decreto ministeriale a prorogare i termini ma soltanto la legge. Affinchè essa possa produrre questo effetto è necessario che il decreto accerti il mancato funzionamento.
Visto il tenore dell’articolo 3 dello Statuto che stabilisce quasi in modo categorico che i termini non possono essere prorogati, sembra che non ci sia spazio per una deroga neanche nei casi di eccezionale gravità prospettati dalla legge 592 del 1985 e che rappresentano il presupposto oggettivo per l’applicazione della proroga. Sembra, quindi, che questa legge debba essere considerata implicitamente abrogata ad opera dello Statuto del contribuente.
L’unico dubbio che può sorgere, visto il tenore dell’articolo 3 e in generale di tutte le disposizioni dello Statuto, è che l’intenzione del legislatore sia stata quella di tutelare il contribuente vietando soltanto proroghe dei termini dettate da motivi di puro interesse politico o fiscale, per il fatto che le Amministrazioni hanno molto lavoro arretrato e si rischia di non poter accertare imposte effettivamente dovute, e non vietando qualsiasi tipo di proroga; infatti si possono verificare delle circostanze eccezionali che impediscono il funzionamento degli uffici, senza che possa essere addebitata nessuna colpa all’Amministrazione finanziaria, e in cui la proroga può essere giustificata.
Se questo problema sussiste veramente forse un po’ di chiarezza potrà arrivare dai regolamenti attuativi dello Statuto.

[1] Così Falsitta, Manuale di diritto tributario, Cedam, Padova, 1995, 89 ss.
[2] Statuto del contribuente.
Articolo 3
1. Salvo quanto previsto dall’articolo 1, comma 2, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo. Relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo al periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono.
2. In ogni caso, le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell’ adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti.
3. I termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati.
[3] Lupi, Diritto tributario, 1997, I, 25 ss.
[4] L’articolo 2946 del Codice civile prevede che: “Salvi i casi in cui la legge dispone diversamente i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni”.
[5] Cass. 21 settembre 1990, n. 7077, in Il Fisco, 41, 1991, 6789 ss.

Redazione

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