Lo Stato Sociale

Rovere Enzo 19/05/11
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Ricordiamo, prima di addentrarci nell’esame e nello studio dello “Stato Sociale”, quali sono considerate le sue fonti legislative:

a) la Costituzione, che è in assoluto la fonte legislativa primaria e, quindi, la più     importante e precisamente gli articoli 2, 3, 4, 29, 31, 32, 36, 37, 38;     ricordiamo, inoltre, fra i più importanti, l’articolo 32 e l’articolo 38, che     vengono ripresi e meglio trattati più avanti;

b) le leggi ordinarie, e fra le più importanti citiamo

     – la riforma sanitaria de11978,

     – la riforma del diritto di famiglia de11975,

     – la legge sul volontariato,

      (della quale parliamo a fine capitolo);

c) le deleghe legislative, che sono atti con forza di legge, perché si tratta di     decreti governativi, delegati dal Parlamento (ricordiamo, ad esempio, la     modifica sanitaria de11992);

d) i decreti legge, che sono atti del Governo, i quali dovranno poi essere convertiti in legge dal Parlamento entro 60 giorni, per avere valore legale;

e) le leggi quadro, che sono fonti di carattere generale, destinate ad essere riempite di ulteriori contenuti da parte delle Regioni, con leggi locali di attuazione. A livello locale, quindi, le leggi regionali sono la fonte normativa più importante. Ricordiamo tutto il settore dei servizi sociali, che è stato trasferito alle Regioni ne11977;

f) la legge “Bassanini” del 15/3/96 n. 59), che si occupa del riordino delle competenze amministrative fra la Pubblica Amministrazione diretta e gli enti territoriali, per evitare sovrapposizioni, con attribuzione agli enti delle generalità delle funzioni.

    Si afferma, pertanto, il principio della territorialità dei servizi sociali, con deleghe sempre più frequenti di funzioni esecutive, da parte delle regioni ai comuni;

g) le leggi stralcio, che sono articoli esaminati e votati prima del varo di una legge e che saranno, poi, destinati ad essere ricompresi in questa (sono, in sostanza, l’anticipazione dei punti più importanti di una legge, e quindi, per intenderci, una specie di primizia in anteprima).

    Ricordiamo, ad esempio, la chiusura degli ospedali psichiatrici, che ha anticipato la nota riforma sanitaria n. 833 del 1978.

 

Dal quotidiano “Il Sole 24 Ore” del 8/2/2001 n. 38

“un super dicastero per lo Stato Sociale”

Quattro dipartimenti, con ampi poteri amministrativi, e dodici direzioni generali saranno chiamati a gestire lo Stato Sociale italiano. Su queste strutture è imperniato il nuovo super ministero che prenderà il posto degli attuali dicasteri della sanità, del lavoro e della solidarietà sociale e che avrà quattro missioni “strategiche”: gestire la previdenza pubblica, supervisionando tutta la politica di protezione sociale; orientare il timone della sanità e della tutela della salute, controllando la rotta tracciata per la sicurezza degli alimenti e dei luoghi di lavoro; far funzionare la macchina degli ammortizzatori sociali e degli incentivi al lavoro, coordinando i piani per l’occupazione e quelli per l’immigrazione; tenere sotto controllo il lavoro pubblico e privato, che non sarà più suddiviso in due distinti “emisferi”.

Nel maxi dicastero, che dovrà essere affiancato da un’agenzia leggera ad hoc per la formazione, confluiranno anche le funzioni relative alla gestione del pubblico impiego (attualmente esercitate dalla “funzione pubblica”) e parte di quelle, ora assegnate al ministero per le “pari opportunità”. Nel primo caso spetterà al nuovo ministero “gestire” anche tutte le controversie sul lavoro, riguardanti gli “statali”.

A fissare le nuove funzioni è uno dei regolamenti organizzativi, varati …da “palazzo Chigi” ed ora al vaglio del “consiglio di stato” per il parere di merito. Il testo apre la strada ad un’azione di travaso di compiti amministrativi, dalle attuali strutture ministeriali al nuovo maxi dicastero di ampie proporzioni. Il ministero…assorbirà anche alcune funzioni amministrative, attualmente gestite dai dicasteri dei trasporti, dell’industria e dell’interno: compiti di vigilanza sui trattamenti previdenziali e assistenziali del personale delle aziende autoferrotranviarie, dei “marittimi” e dei “portuali” e dei lavoratori addetti ai servizi di trasporto aereo; servizi ispettivi per la sicurezza mineraria e vigilanza su tutte le questioni attinenti alla salute sui luoghi di lavoro; cooperazione internazionale e attività di prevenzione relative alle emergenze sociali.

Quanto all’organizzazione interna del super ministero, due dipartimenti eserciteranno in compiti di natura “sanitaria” (ordinamento sanitario; tutela della salute umana e sanità veterinaria), mentre gli altri due assolveranno, rispettivamente, le funzioni su lavoro e occupazione e quelle su previdenza e politiche sociali.

Sul fronte della sanità, il regolamento conferma la strutturazione già definita dell’attuale dicastero, con un provvedimento pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale”. Il regolamento organizzativo non lo prevede esplicitamente ma, con tutta probabilità, il super Ministro sarà affiancato da un Vice Ministro e almeno due Sottosegretari.

L’articolo 38 della Costituzione introduce il concetto di “Stato Sociale”, che ora meglio andremo ad esaminare.

I settori di intervento dello Stato Sociale sono tre:

  • la previdenza

  • la sanità

  • l’assistenza

Uno degli obiettivi dello Stato è quello di ricercare il benessere della collettività, attraverso l’impiego di risorse pubbliche. Liberare, quindi, il cittadino dal bisogno e sviluppare, quindi, i princìpi di solidarietà e di uguaglianza.

I servizi socio assistenziali sono quindi un momento di solidarietà nei confronti di specifiche situazioni di bisogno (anziani – minori – handicap – immigrati). Non si soccorrono, quindi, più i cittadini per bontà (sarebbero passivi e dipendenti), ma perché è un loro diritto e possono, quindi, pretendere e non chiedere. La socialità non è più, quindi, per categoria o per classi, ma rivolta al soggetto in quanto tale (nasce il principio della centralità dell’individuo).

Quindi lo Stato si preoccupa di:

  • tutela della dignità e della libertà dell’individuo,

  • diritto all’informazione ed a servizi adeguati,

  • delega agli enti locali di funzioni statali, per maggior conoscenza delle esigenze locali e per un più rapido intervento, e quindi ai Comuni, per l’assistenza; alle ASL (ex USL, come si dirà tra breve), tramite i distretti sanitari di base, presso i quali opera, oltretutto, un coordinatore dei servizi sociali; agli IPAB (istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza).

A differenza di ciò che accade per la previdenza e per la sanità, manca una organizzazione amministrativa centralizzata (cioè un ministero)) per quanto riguarda l’assistenza sociale.

E’ stato ora creato un dipartimento per gli affari sociali presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, per ciò che riguarda il coordinamento e la ricerca, nel campo della assistenza sociale.

Poiché abbiamo visto più sopra che lo Stato Sociale interviene in tre settori e precisamente nella previdenza, nella sanità ‘ e nella assistenza. vediamo ora di occuparci più dettagliatamente di ognuno di questi tre settori:

 

PREVIDENZA

Ha lo scopo di liberare il cittadino dai bisogni del minimo vitale ed ha la sua origine nell’articolo 38 della Costituzione. Il concetto di “previdenza” ha origine in Inghilterra, verso la prima metà dell’800, con le società di mutuo soccorso (le “trade unions”) per far fronte ai casi di infortuni ed invalidità. In Italia nasce nel 1933 con l’INPS (istituto nazionale della previdenza sociale) e l’INAIL (istituto nazionale assicurazione infortuni lavoro) e più tardi con l’INPDAP (previdenza per i dipendenti pubblici). La previdenza, quindi, è un insieme di assicurazioni obbligatorie rivolte a chi lavora ed alle loro famiglie, per le ipotesi di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria (istituzione della cassa integrazione guadagni).

Caratteristiche:

(che distinguono le assicurazioni sociali pubbliche da quelle private)

a) la Previdenza è

  – pubblica (poiché le assicurazioni sociali sono gestite da enti pubblici,    sottoposti al controllo dello Stato),

    – obbligatoria (poiché è voluta e regolata interamente dalla legge e l’iniziativa         dei privati non può intervenire),

    – automatica (le prestazioni, cioè, a favore dei lavoratori sono garantite anche       se gli imprenditori non abbiano versato i contributi dovuti);

b) tutti i lavoratori ne beneficiano (è stata estesa ora anche ai lavoratori autonomi), e ne beneficiano pure i lavoratori stranieri;

c) lo Stato cerca di venire incontro ai datori di lavoro, facendo loro sentire il meno possibile il costo di previdenza dei dipendenti (fenomeno che viene chiamato con il nome di “fiscalizzazione degli oneri sociali”);

d) per quanto riguarda la “previdenza di vecchiaia”, la legge 335/1995 (chiamata “legge Dini”) ha riformato il calcolo della pensione: dall’attuale sistema retributivo (imperniato sulla media delle retribuzioni degli ultimi 10 anni lavorativi), si passerà, dopo un periodo transitorio, al sistema contributivo (basato sull’ammontare dei contributi versati, annualmente indicizzato).

INPS

(istituto nazionale della previdenza sociale)

Trattasi di ente pubblico sottoposto alla vigilanza del Mini2stero del lavoro e del Ministero del tesoro (legge 88/1989). I contributi devono essere versati all’INPS e sono dovuti dai datori di lavoro per i propri dipendenti e dai lavoratori medesimi, quando si tratta di lavoratori autonomi. All’assicurazione provvedono apposite “gestioni” distinte per la varie categorie di assicurati. Per quanto riguarda le prestazioni, che vengono fornite dall’assicurazione in esame, ricordiamo, qui di seguito:

malattie

sono a carico dell’INPS le prestazioni economiche dovute ai lavoratori in caso di malattia (indennità di malattia, indennità per maternità, ecc.). Tali prestazioni sono anticipate dal datore di lavoro per conto dell’INPS, e sono poste poi a conguaglio con le somme che l’imprenditore deve versare all’istituto;

pensione di vecchiaia

viene corrisposta a tutti i lavoratori in età pensionabile (attualmente 65 per l’uomo e 60 per la donna, con esclusione per alcune categorie, che conservano i vecchi limiti), che siano assicurati da almeno 20 anni (erano 15 prima della riforma) e per i quali sia stato versato un minimo di contributi stabilito dalla legge, attualmente sono 1.040, mentre prima della riforma erano 780 (i contributi venivano chiamati un tempo, dai nostri anziani, con espressione infelice, “marchette”);

pensione di anzianità

destinata a scomparire per allinearci alla comunità europea, visto che, oltretutto, questo tipo di pensione è sconosciuto nella quasi totalità degli ordinamenti stranieri. Spetta all’assicurato che abbia cessato di lavorare e che abbia compiuto 57 anni (vi sono alcune eccezioni per casi straordinari e particolari: ad esempio per esuberi di personale) e possa far valere una anzianità contributiva di almeno 35 anni (quindi almeno 1.820 contributi settimanali), oppure, indipendentemente dall’età, almeno 40 anni di contributi;

Nota

A partire dal 2008 i lavoratori potranno andare in pensione dopo 40 anni di versamenti, oppure con il trattamento di vecchiaia Fino al 2015 continuerà ad operare, in via sperimentale, il pensionamento di anzianità secondo il requisito misto (57 anni di età e 35 di contribuzione), ma sarà applicata una sorta di penalizzazione economica (il calcolo con il metodo contributivo) i cui effetti, tuttavia, sono tuttora abbastanza indefiniti, dal momento che dipendono dal verificarsi di eventi decisivi per al conferma delle previsioni sull’andamento della spesa pensionistica (ad esempio la revisione dei coefficienti di trasformazione, a partire dal 2005, in relazione ai dati demografici).

pensione di inabilità

la legge considera “inabili”, al fine del conseguimento del diritto alla pensione, i lavoratori che si trovano, a causa di infermità fisica o mentale, nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa;

assegno di invalidità

il lavoratore è considerato invalido se la sua capacità di lavoro è ridotta in modo permanente a meno di un terzo. L’assegno viene riconosciuto per un periodo di tre anni ed è confermabile per periodi della stessa durata;

pensione ai superstiti

detta anche “pensione di reversibilità”, che viene corrisposta ai familiari superstiti in caso di morte del titolare di un trattamento pensionistico o di un assegno di invalidità. Tale pensione spetta, in particolare, al coniuge ed ai figli minori della persona deceduta.Si chiama, invece “pensione indiretta” se chi muore è ancora in attività e sta regolarmente pagando i contributi e non ha quindi ancora la pensione;

disoccupazione

corresponsione di una indennità giornaliera ai lavoratori disoccupati, per aver perduto il posto di lavoro. Un trattamento speciale di disoccupazione è previsto per i lavoratori che siano stati licenziati dalle imprese industriali in seguito a cessione di attività aziendali o per riduzione di personale;

assegno per il nucleo familiare

è una forma di integrazione del reddito complessivamente percepito dal nucleo familiare; integrazione che varia sia in relazione all’ammontare del reddito stesso e sia in relazione al numero dei componenti del nucleo familiare. Tale assegno ha sostituito dal 1988 i cosiddetti “assegni familiari”, che erano precedentemente dovuti ai lavoratori con familiari a carico. Viene anticipato a cura del datore di lavoro, con la normale retribuzione, ma l’obbligo giuridico spetta all’INPS, che vi provvede mediante un’apposita cassa unica per gli assegni familiari. Il finanziamento di tale cassa avviene attraverso i contributi dei datori di lavoro ed un concorso finanziario dello Stato;

pensione sociale

viene corrisposta, indipendentemente da un precedente rapporto assicurativo, a tutti i cittadini italiani residenti nel territorio nazionale, che abbiano compiuto il 65° anno di età e si trovino nelle seguenti condizioni: non siano titolari di redditi propri per un ammontare superiore ad un limite stabilito dalla legge; non abbiano titolo a prestazioni economiche continuative erogate dallo Stato, da enti pubblici o da altri stati.

 

Storia del sistema previdenziale italiano

   Anno

       1919

Viene istituita l’assicurazione generale obbligatoria. L’età legale per la pensione di vecchiaia viene fissata a 65 anni per uomini e donne.

        1935

Nel regio decreto legge nr. 1827, l’età legale resta confermata a 65 anni, con possibilità di anticipo a 60, ma con penalizzazioni economiche variabili, in funzione dell’ampiezza dell’anticipazione, dal 37 al 10 % dell’importo della pensione.

        1939

Nel regio decreto nr. 636, l’età pensionabile è ridotta a 60 anni per gli uomini ed a 55 per le donne.

        1952

Nella legge nr. 218, che riordina l’intero sistema dopo gli sconvolgimenti del conflitto mondiale, rimangono confermati i previdenti limiti di età.

        1962

Incaricato di svolgere un’indagine sui problemi della previdenza, il CNEL si esprime a favore di un’innalzamento dell’età pensionabile, in quanto rappresenta una delle condizioni fondamentali per rendere possibile l’estensione della pensione a tutti.

        1965

Con legge nr. 903 è introdotto nell’ordinamento dell’associazione generale obbligatoria il pensionamento anticipato di anzianità con 35 anni di anzianità contributiva. E’ abolito anche ogni divieto di cumulo, tanto che i pensionati di anzianità avrebbero potuto accedere alla prestazione senza neppure interrompere il rapporto di lavoro.

        1968

Si comprende subito che l’introduzione della pensione di anzianità è stato un errore (in meno di un triennio si sono spesi 170 miliardi di lire dell’epoca): Il Governo prova a scambiare l’abolizione del pensionamento anticipato con la concessione dell’aggancio della pensione alla retribuzione, fortemente richiesta dai sindacati. In un primo momento le confederazioni accettano, poi la CGIL ritira l’adesione e proclama lo sciopero. Nel decreto legislativo nr. 488 (in attuazione della legge delega nr. 238) viene disposta la formula retributiva (65 % della retribuzione dell’ultimo triennio) ed è abolita la pensione di anzianità (salvo un trattamento transitorio fino al 1970, nel caso di disoccupazione involontaria, con liquidazione secondo la precedente formula contributiva) ed è fissato un rigoroso divieto di cumulo.

        1969

Nella legge nr. 153 si rafforza il calcolo retributivo (il 74 % dei migliori tre anni negli ultimi cinque, poi dal 1976 l’80 %), effettività del sistema di perequazione automatica, attenuazione del divieto di cumulo, introduzione della pensione sociale, ripristino della pensione di anzianità dopo 35 anni di versamento, inclusa la contribuzione figurativa.

        1973

Con il Decreto del Presidente della Repubblica nr. 1092 vengono consentite le baby pensioni nel pubblico impiego (le donne coniugate con prole potevano ottenere il trattamento dopo 14 anni, sei mesi ed un giorno), dove già esistevano prestazioni più vantaggiose (pensionamento anticipato dopo 20 anni per gli statali, dopo 25 anni per i dipendenti degli enti pubblici).

        1990

La legge nr. 233 riordina i trattamenti dei lavoratori autonomi, le cui gestioni erano sorte in tempi diversi. L’età di vecchiaia è a 65 anni per gli uomini ed a 60 per le donne; per l’anzianità valgono le medesime regole del lavoro dipendente.

        1991

La Corte Costituzionale, con sentenza nr. 194, riconosce la legittimità della pensione di anzianità.

  1992 – 1994

Il Governo “Amato” eleva, a regime, a 65 anni per gli uomini ed a 60 anni per le donne la pensione di vecchiaia; per quella di anzianità istituisce un blocco a tutto il 1993. Il Governo “Ciampi” introduce una penalizzazione economica nel pubblico impiego. Il Governo “Berlusconi” accelera il meccanismo di andata a regime del pensionamento di vecchiaia (che termina nel 2000) e stabilisce un altro blocco per quello di anzianità.

        1995

Nella legge nr. 335 (riforma “Dini”) viene rivista la disciplina del pensionamento di anzianità. A regime (nel 2008) si andrà in pensione a 57 anni di età e con 35 anni di contributi oppure a qualunque età con 40 anni di versamenti. Nel pubblico impiego resta un meccanismo di penalizzazione economica, con qualche correttivo per i requisiti.

        1997

La legge nr. 449 (riforma “Prodi”) rende un po’ più veloce la transizione del pensionamento di anzianità, salvo le deroghe per operai, equivalenti e precoci. Il pubblico impiego viene sostanzialmente parificato al lavoro privato. Per i lavoratori autonomi il diritto si consegue con requisiti più severi.

        2004

La legge delega approvata a fine luglio prevede un periodo di transizione fino a tutto il 2007, durante il quale, fermi restando i requisiti previdenti, viene introdotto un sistema di incentivazione in base al quale il lavoratore dipendente privato che, una volta maturati i requisiti per la pensione di anzianità ed ottenuta la relativa certificazione a garanzia del diritto, decide di posticipare la quiescenza, riceve in busta paga un bonus esentasse corrispondente al 32,7 % della retribuzione. Dal primo gennaio 2008 sarà consentito di andare in pensione a 60 anni di età e con 35 anni di versamenti (che saliranno ulteriormente negli anni successivi) oppure con l’età di vecchiaia o con 40 anni di contribuzione. Fino al 2015 è ammesso sperimentalmente il pensionamento delle donne a 57 anni di età, purchè sottopongano la loro pensione al calcolo contributivo.

 

Il pensionamento anticipato nell’Unione Europea

Belgio

si può andare in pensione anticipata a 60 anni, facendo valere 32 anni di contribuzione, che diverranno 35 dal 2005.

L’importo della pensione è ridotto del 5 % per ogni anno di anticipo rispetto all’età di vecchiaia (65 anni per gli uomini e 62 per le donne, che diverranno 65 nel 2009).

Svezia

l’età del pensionamento è alquanto flessibile, a partire da 61 anni, con correzione attuariale.

Danimarca

non sono previste forme di pensionamento anticipato, prima dell’età di vecchiaia (a 65 anni) per quanto riguarda la pensione pubblica. La pensione supplementare (a 67 anni) può essere percepita a partire da 65 anni con una riduzione attuariale.

Germania

fino al 2011 sarà possibile andare in quiescenza anticipata due anni prima dell’età di vecchiaia (a 65 anni) con 35 anni di contributi; ma con una riduzione dello 0,3 % per ogni mese di anticipo e fino ad un massimo del 7,2 %. Dal 2012 l’età è abbassata fino a 62 anni con una riduzione dello 0,3 % al mese fino ad un massimo del 10,8 %.

Grecia

i lavoratori con 11.000 giorni di contribuzione (pari a 37 anni) possono ritirarsi prima dei 65 anni a certe condizioni, che variano da 58 a 62 anni per gli uomini e dai 65 ai 60 per le donne, a seconda della data di iscrizione e dei versamenti effettuati.

Spagna

Per quanto riguarda i lavoratori assicurati dopo il primo gennaio 1967, questi possono andare anticipatamente in pensione a partire da 60 anni, con la riduzione dell’8 % per ogni anno sotto i 65. Niente riduzione per i lavoratori di 64 anni che abbiano i requisiti e che siano rimpiazzati da un altro lavoratore.

Francia

la riforma del 2003 consente il pensionamento anticipato solo ai lavoratori cosiddetti precoci (che abbiano iniziato a lavorare fra i 14 ed i 17 anni): potranno andare in pensione fra i 56 ed i 59 anni, ma solo se in grado di far valere requisiti più lunghi quanto alla durata della prestazione.

Irlanda

non sono previste anticipazioni per la pensione pubblica (a 65 anni per la pensione di base ed a 65 per quella contributiva), anticipazioni che possono invece essere contenute negli schemi privati.

Lussemburgo

a 60 anni dopo 480 mesi di versamenti o di periodi assimilati; a 57 anni con 480 mesi di contribuzione effettiva.

Austria

a partire dal luglio 2004, il pensionamento può essere anticipato dopo 450 mesi di versamenti effettivi e figurativi o dopo 420 mesi effettivi, a 61 anni e mezzo per gli uomini ed a 56 anni e mezzo per le donne.

Per ogni anno prima dell’età di vecchiaia (65 anni per gli uomini e 60 per le donne, che saliranno a 65 dal 2033) è fissato un taglio del 4,2 %, fino ad un massimo del 15 %.

Paesi Bassi

(Olanda)

nessun anticipo è previsto per la pensione pubblica (a 65 anni). Taluni schemi privati contemplano invece anticipazioni.

Regno Unito

(Inghilterra)

non opera alcuna anticipazione per la pensione pubblica (65 anni gli uomini e 60 le donne; 65 dal 2020). Sono fatti salvi i diversi schemi privati.

Portogallo

a 55 anni dopo 30 anni di contribuzione, con penalizzazione del 4,5 % per ciascun anno precedente l’età di vecchiaia (flessibile intorno ai 65 anni). Dopo 30 anni di contribuzione, il numero degli anni considerato è ridotto ad uno per ogni gruppo di tre lavorati.

Finlandia

a 60 anni. Per ogni mese in meno rispetto all’età di vecchiaia (a 65 anni) opera una riduzione dello 0,4 %.

Dal 2005, le persone di 62/63 anni avranno ridotta la pensione dello 0,6 % per ogni mese di anticipo. 

 

INAIL

(Istituto nazionale assicurazioni infortuni sul lavoro)

Trattasi di ente pubblico sottoposto alla vigilanza del Ministero del lavoro. L’assicurazione comprende tutti i casi di:

malattie professionali

sono considerate malattie professionali quelle che vengono contratte nell’esercizio ed a causa di determinate lavorazioni, secondo le norme stabilite dalla legge (pensiamo ai lavoratori delle fonderie, che contraggono malattie polmonari per causa di vapori e polveri inspirate sul luogo);

infortunio in occasione di lavoro

da cui sia derivata la morte del lavoratore o la sua invalidità permanente, oppure un’invalidità temporanea assoluta, che comporti I’ astensione dal lavoro per più di tre giorni. L’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro è obbligatoria per tutti coloro che sono addetti ad una serie di attività indicate dalla legge (esempio: costruzione di opere edili e di ferrovie, manutenzione ed uso di particolari macchine od impianti, trattamento ed impiego di prodotti esplosivi o tossici, costruzione di navi, allestimento ed esecuzione di pubblici spettacoli, lavori di fonderie, vetrerie, miniere, ecc.). I contributi sono a carico dei datori di lavoro e devono essere versati all’INAIL.

Quando si verifica un infortunio sul lavoro, il lavoratore è tenuto a darne immediata notizia al proprio datore di lavoro, il quale, a sua volta, è obbligato a denunciare l’infortunio all’INAIL entro il termine di due giorni. Se si tratta di infortunio mortale, la denuncia all’INAIL deve essere fatta per telegramma o fax entro 24 ore dall’infortunio. Inoltre, sempre nell’ipotesi di infortunio mortale, la legge prevede che venga informata anche l’autorità di pubblica sicurezza; quest’ultima deve trasmettere un esemplare della denuncia al giudice, che è tenuto a svolgere una inchiesta nel più breve tempo possibile.

Le prestazioni, infine, che vengono fornite dall’INAIL, sono le seguenti:

  • in caso di morte della persona assicurata, viene corrisposta una rendita ai superstiti (e precisamente al coniuge ed ai figli minori),

  • in caso di invalidità temporanea, viene corrisposta all’infortunato una indennità giornaliera per tutta la durata dell’invalidità stessa,

  • in caso di invalidità permanente, viene corrisposta all’infortunato una rendita rapportata al grado di invalidità (se l’attitudine al lavoro dell’infortunato è ridotta in misura non superiore al 10 %, non si ha diritto ad alcuna rendita). La misura della rendita di invalidità può essere riveduta, su domanda del titolare della rendita o per disposizione dell’INAIL, in caso di diminuzione o di aumento dell’attitudine al lavoro e, in genere, in seguito a modificazioni nelle condizioni fisiche del titolare della rendita.

 

Dal quotidiano “Il Sole 24 Ore” del 5/2/2001 n. 5

fitta serie di provvidenze ai nuclei numerosi e disagiati.

Famiglia, ricetta dell’Alto Adige

La Provincia Autonoma di Bolzano riserva attenzione particolare alle provvidenze a favore della famiglia, favorita, in questa politica, dal rapporto tra il numero degli abitanti (450.000) e la disponibilità finanziaria, che oscilla tra i 7.000 ed i 7.500 miliardi all’anno.

La politica si articola in una fitta serie di provvedimenti, che riguardano principalmente assegni di natalità, di cura, assegni al nucleo familiare, indennità di degenza ospedaliera e per infortunio domestico.

Il provvedimento più importante di questa politica è costituito dal “reddito minimo di inserimento”, provvedimento che ha assorbito il cosi detto “minimo vitale”, istituito nel 1973.

Un provvedimento complesso, che prevede appunto una politica di sostegno e riqualificazione per i soggetti ancora inseribili nel mondo del lavoro ed il mero sostegno a persone che, soprattutto per ragioni di età, non possono più aspirare ad un inserimento.

L’assegno è di 632.000 lire al mese, per le persone che vivono in compagnia e che non sono titolari di altro reddito, e di 758.000 lire, per coloro che vivono da soli.

Si articola poi in una “scala di equivalenza”, a seconda delle diverse situazioni. Per questa voce, nel 1999 (ultimo anno di rilevazione definitiva), la Provincia Autonoma ha erogato 31.483 miliardi a favore di 4.659 soggetti, di cui 2.778 nel quadro del solo “minimo vitale” (11.190 miliardi).

Con l’integrazione affitto, la Provincia Autonoma nel 2000 ha sostenuto 5.176 famiglie, trasferendo all’IPES (istituto previdenziale per l’edilizia sociale), che ha materialmente effettuato le erogazioni, 19.350 miliardi, che saliranno a 28 miliardi nel 2001.

Il provvedimento, a norma dell’art. 91 della legge provinciale 19/98, viene riconosciuto a soggetti a basso reddito, in possesso di regolare contratto di affitto.

L’assegno di natalità, a norma dell’art. 10 della legge regionale 24/5/1992 e successive modifiche, ammonta a 4.370 milioni “una tantum”, anche in caso di parto o di adozioni plurime; viene riconosciuto a donne con residenza di almeno tre anni in regione e che non siano titolari di assicurazioni sociali.

Nel 1999, in Alto Adige sono stati erogati 1.302 assegni, per un importo globale di 5.506 miliardi. In questo particolare ambito, vanno segnalati 10 asilo nido comunali, per i quali nel 2000 sono stati stanziati 580 milioni per spese di investimento e 3.840 miliardi per spese di gestione.

Inoltre, è attivato un servizio di assistenza domiciliare all’infanzia (“Tagesmuetter” in tedesco), che ha comportato una spesa di 50 milioni per investimenti e 548 milioni per la gestione.

Ulteriori interventi in materia di sostegno alla famiglia hanno comportato, nel 1999, stanziamenti per 8.741 miliardi per assegni di cura, 1.540 miliardi per pensione regionale di vecchiaia, circa 680 milioni per la promozione dell’associazionismo familiare ed erogazioni diverse per un cosiddetto “pacchetto di previdenza integrativa”.

Il programma di “politiche per la famiglia”, predisposto dalla ripartizione servizio sociale, ufficio famiglia, donna e gioventù della Provincia Autonoma di Bolzano, prevede un ampliamento dell’impegno provinciale.

In particolare, al riguardo si legge: “non dovrà esserci il timore di investire denaro pubblico nei bisogni delle famiglie “normali”, in quanto si rende assolutamente necessario superare l’impostazione, che vede la fruizione di servizi e prestazioni in via esclusiva da parte di coloro che sono al di sotto di una soglia di povertà.

E ancora, andranno sperimentate nuove forme di assistenza ai bambini, quali le “case di infanzia” che, offrendo in un luogo protetto una possibilità di accoglienza di più bambini, rappresenteranno l’anello di congiunzione tra il servizio domiciliare delle “Tagesmuetter” e quello semi residenziale degli asilo nido.

Tali servizi non andranno a costituire un doppione rispetto agli asili nido, in quanto manterranno una dimensione più ridotta (di tipo familiare) e decentralizzati, a livello di quartiere o addirittura di condominio….si rende necessario un sistema di accreditamento, e si propone inoltre di sperimentare il sistema dei “voucher” nell’ambito dei servizi alla prima infanzia. Andranno ulteriormente sviluppati ed inquadrati più organicamente i centri genitori / bimbi…, che non dovranno configurarsi come servizi professionali, ma dovranno mantenere la natura di semi volontariato.

 

Nota

tutti i punti della delega sulla previdenza

ai sensi della “finanziaria” del 2001

liberalizzazione

dell’età pensionabile

il lavoratore, che supera l’età di vecchiaia (uomini 65 anni e donne 60), potrà restare al lavoro se vuole e se il datore di lavoro è d’accordo. Per il lavoratore che resta varranno gli incentivi contributivi previsti in generale per chi rinuncia a ritirarsi, anche se ha maturato il diritto alla pensione: esenzione dai contributi se si rimane almeno due anni;

incentivi a rimanere

il lavoratore che matura i requisiti per la pensione di anzianità, può avere un certificato dall’ente di previdenza a cui è iscritto, che attesti il diritto alla pensione. Se deciderà di restare al lavoro, potrà ritirarsi dall’attività in qualsiasi momento.

Per chi, dopo aver ottenuto i requisiti per l’anzianità, si impegna a restare al lavoro almeno due anni con un contratto a tempo rinnovabile, è prevista l’esenzione totale dal pagamento dei contributi, che saranno destinati in misura non inferiore al 50% al lavoratore (che quindi avrà una busta paga più pesante) e per il resto alla riduzione del costo del lavoro;

decontribuzione

Per incentivare occupazione con carattere di stabilità ed incrementare le risorse da destinare ai fondi integrativi, il governo punta ad una riduzione non inferiore a 3 e non superiore a 5 punti degli oneri contributivi dovuti dal datore di lavoro alla previdenza pubblica per i neo assunti. La misura sarà a carico dell’INPS e quindi non avrà effetti negativi sulla pensione futura;

si al cumulo

si amplierà progressivamente la possibilità di cumulare totalmente la pensione di anzianità ed i redditi di lavoro dipendente od autonomo, in funzione dell’anzianità contributiva e dell’età. L’abolizione non si estenderà ai dipendenti pubblici, che comunque non potranno lavorare oltre i 67 anni (70 per i dirigenti).

Per il pubblico impiego, il governo punta ad un’estensione graduale della riforma prevista per il settore privato;

parasubordinati

 

 

per i collaboratori aumenta l’aliquota contributiva dal 13% al 16,9% e dovrebbero anche migliorare alcune prestazioni come quelle per la maternità e per la disoccupazione. Sono esclusi dall’aumento gli amministratori, sindaci e revisori di società e coloro che sono iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria o già percepiscono trattamenti pensionistici;

fondi pensione

la previdenza integrativa sarà rilanciata, facendo leva sulla destinazione di tutto il TFR maturando ai fondi pensione. Il governo si impegna a garantire che il conferimento del TFR sia senza oneri per le imprese e sono in tal senso previste compensazioni in termini di accesso al credito, riduzioni del costo del lavoro ed eliminazione del contributo relativo al finanziamento del fondo di garanzia del TFR. Si punta, inoltre, alla concorrenza tra fondi contrattuali e fondi aperti.

 

SANITA’

La legge di riforma sanitaria è la 833/1978 e stabilisce che le prestazioni sanitarie sono garantite a tutti i cittadini (ognuno può scegliere il medico di fiducia ed il luogo di cura che più gli aggrada).

Con l’introduzione del S.S.N. (servizio sanitario nazionale) vengono aboliti i numerosi enti assistenziali, fino a quel momento esistenti e si unifica quindi l’assistenza in campo sanitario. Il cittadino diventa, quindi, titolare del diritto al servizio e non più semplice destinatario. Si garantisce l’uguaglianza e la gratuità del servizio agli indigenti, senza distinzione fra contribuenti che pagano di più e contribuenti che pagano di meno.

Il trattamento sanitario obbligatorio (TSO) viene applicato solo per legge, con il massimo rispetto per la dignità della persona e vengono, quindi, di riflesso, vietati esperimenti sulle persone.

Sono pure vietate le terapie non accettate. Particolare risalto ed importanza viene dato al concetto di “danno ambientale”.

A proposito del “TSO” è interessante ricordare una sentenza, emessa nel 2001, dalla corte di cassazione sull’intervento anche senza il consenso del paziente. Viene detto, infatti, che il chirurgo, che abbia ricevuto dal paziente il consenso solo per un piccolo intervento, se nel corso dell’operazione scopre un’altra patologia può asportare gli organi affetti, anche se non c’è alcuna urgenza e senza consultare il diretto interessato.

In sostanza, il servizio sanitario nazionale (SSN), attraverso le sue strutture, si prefigge di realizzare i seguenti obiettivi:

  • l’educazione sanitaria,

  • la prevenzione delle malattie,

  • la diagnosi, cura ed assistenza medica,

  • assistenza ospedaliera,

  • la riabilitazione,

  • l’igiene e la salute nel lavoro,

  • medicina scolastica,

  • assistenza farmaceutica,

  • vigilanza sulle farmacie,

  • vigilanza veterinaria,

  • la maternità e l’infanzia,

  • cura ed attenzione per gli anziani,

  • la salute mentale.

La struttura di base per il servizio sanitario è l’USL (detta ora ASL, perché dotata di personalità giuridica e propria autonomia organizzativa e contabile).

Il finanziamento è alimentato da contributi dei lavoratori e da stanziamenti di fondi da parte dello Stato.

I contributi vengono versati all’INPS, che provvede al pagamento delle indennità di legge. Fa parte, inoltre, dei compiti delle USL il provvedere all’aggiornamento del personale addetto ed a mantenere in piena efficienza e funzionalità tutte le strutture medico sanitarie pubbliche.

Tratteremo, quindi, tre aspetti del S.S.N. e precisamente:


Organizzazione

   il SSN è un settore della Pubblica Amministrazione e vi è, quindi, una amministrazione centrale ed una amministrazione locale.

Amministrazione Centrale

  • Ministero della Sanità, che si occupa di programmazione, attraverso il piano   sanitario nazionale, che viene fatto ogni tre anni, per   raggiungere determinati obiettivi e con fissazione   delle relative spese (quindi si parla di funzione di   proposta ed analisi). Altro compito è quello di   individuare le professioni sanitarie; mantenere   inoltre contatti e rapporti in materia sanitaria con   altri stati;  si occupa anche di politiche comunitarie   ed ha il delicato compito di vigilare sui farmaci;

  • Istituto Superiore di Sanità, che è un organo tecnico e scientifico e si occupa  dei laboratori per la ricerca, la cura e la  formazione del personale e si occupa di  sperimentazioni cliniche;

  • Istituto Superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (ISPESL), che     è un organo tecnico e scientifico, per garantire la salute nei posti di lavoro;

  • Commissione Unica del Farmaco, che predispone il formulario terapeutico;

  • Ministero dell’Ambiente, del quale si parla in altro capitolo.

 

Amministrazione locale

– la Regione organizza le ASL (ex USL – dal 1992) e predispone il piano   sanitario regionale ogni tre anni;

– la Provincia si occupa dell’igiene ambientale;

– il Comune, che si occupa di assistenza sanitaria ed ospedaliera, avvalendosi, appunto, delle ASL.

Le USL erano, in origine, solo strutture operative del comune e quindi organismi degli stessi. Quando l’USL è diventata ASL, non è più stata considerata espressione del comune, ma ente pubblico con propria personalità giuridica e con competenza territoriale quasi corrispondente a quella di una provincia. L’ASL ha, quindi, una sua autonomia organizzativa, patrimoniale, contabile e finanziaria.

Ogni ASL è cosi organizzata:

–  Distretto Sanitario di Base (che è un organo tecnico, che coordina i vari tipi di prestazione), controllato da un organismo che si chiama VRQ (formato da professionisti che si occupano di verifica e revisione della qualità dell’assistenza sanitaria e delle cure mediche),

–  Presìdi Sanitari (accento sulla “i” di presì..), che sono strutture che erogano servizi, non costituiti in aziende autonome (come gli ospedali),

Ogni ASL ha, inoltre, un direttore generale (con compiti di rappresentanza e gestione), un collegio di revisori (con compiti di controllo) ed un coordinatore dei servizi sociali.

2. Prestazioni

Prevenzione

(controllo su ciò che è nocivo per la salute)

  • scarichi inquinanti,

  • risanamento ambientale (luoghi di lavoro),

  • prevenzione delle epidemie,

  • igiene pubblica (alimenti e rifiuti);

cura

  • medico di famiglia,

  • analisi di laboratorio,

  • visite specialistiche,

  • assistenza farmaceutica (ticket),

  • trattamento delle malattie mentali,

  • consultori familiari (interventi curativi, assistenza alla donna in gravidanza ed al nascituro, prevenzione tumori); 

riabilitazione

recupero dei malati con menomazioni fisiche, psichiche e sensoriali; 

medicina legale

  • accertamenti sui lavoratori che si assentano per malattia,

  • accertamenti sullo stato di incapacità lavorativa; 

interventi  socio sanitari

  • tossicodipendenze e creazione dei “SERT”, servizi per tossicodipendenti),

  • AIDS e sieropositivi da HIV,

  • Handicap,

  • malattie mentali (centri di salute mentale).

3. Professioni

Vi sono, prima di tutto ed ovviamente, le tradizionali professioni sanitarie del medico chirurgo, dell’odontoiatra, del veterinario, del farmacista, del biologo, per le quali occorre la laurea e l’iscrizione all’Ordine.

Per tutte le altre professioni, occorre ora fare riferimento alla nuova normativa, che sancisce il superamento del mansionario (simbolo di una cultura prescrittiva, che relegava di fatto gli addetti nel recinto del mestiere).

La normativa sancisce, pure, l’equivalenza dei titoli, anche ai fini della prosecuzione degli studi, con libera circolazione in Europa.

A definire i contenuti della professione infermieristica, d’ora in avanti, sarà il profilo professionale (dignità adulta, quindi, e pienamente responsabile delle proprie scelte e dei propri atti).

Vediamo dunque il contenuto di questa nuova ed importante legge:

Legge 26 febbraio 1999 n. 42

disposizioni in materia di professioni sanitarie

articolo 1

definizione delle professioni sanitarie

La denominazione “professione sanitaria ausiliaria” nel testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934 n. 1265, e successive modificazioni, nonché in ogni altra disposizione di legge, è sostituita dalla denominazione “professione sanitaria”.

Dalla data di entrata in vigore della presente legge sono abrogati il regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 14 marzo 1974 n. 225, ad eccezione delle disposizioni previste dal titolo V, il decreto del Presidente della Repubblica 7 marzo 1975 n. 163, e l’articolo 24 del regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1968 n. 680, e successive modificazioni.

Il campo proprio di attività e di responsabilità delle professioni sanitarie di cui all’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 502, e successive modificazioni ed integrazioni, è determinato dai contenuti dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione post base, nonché degli specifici codici deontologici, fatte salve le competenze previste per le professioni mediche e per le altre professioni del ruolo sanitario, per l’accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea, nel rispetto reciproco delle specifiche competenze professionali.

articolo 2

attività della commissione centrale

per gli esercenti le professioni sanitarie

Alla corresponsione delle indennità di missione ed al rimborso delle spese sostenute dai membri della commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie designati dai comuni centrali delle federazioni nazionali degli ordini e dei collegi, ai sensi dell’articolo 17, terzo comma, del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946 n. 233, provvedono direttamente le federazioni precedente.

articolo 3

modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 175

Alla legge 5 febbraio 1992, a 175, sono apportate tutte le modificazioni, qui di seguito elencate:

  • all’articolo l, comma l, dopo le parole “sugli elenchi telefonici” sono aggiunte le seguenti: “sugli elenchi generali di categoria e attraverso giornali e periodici destinati esclusivamente agli esercenti le professioni sanitarie”,

  • all’articolo 2, dopo il comma 3, è aggiunto il seguente: “le autorizzazioni di cui al comma 1 sono rinnovate solo qualora siano apportate modifiche al testo originario della pubblicità”,

  • all’articolo 3 comma l, le parole “sono sospesi dall’esercizio della professione sanitaria per un periodo da due a sei mesi” sono sostituite dalle seguenti: sono assoggettati alle sanzioni disciplinari della censura o della sospensione dall’esercizio della professione sanitaria, ai sensi dell’articolo 40 del regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 5 aprile  1950 numero 221,

  • all’articolo 4, comma l, dopo le parole: “sugli elenchi telefonici” sono inserite le seguenti: “e sugli elenchi generali di categoria”,

  • all’articolo 5, comma 4, le parole: “sono sospesi dall’esercizio della professione sanitaria per un periodo da due a sei mesi”, sono sostituite dalle seguenti: “sono assoggettati alle sanzioni disciplinari della censura o della sospensione dall’esercizio della professione sanitaria, ai sensi dell’articolo 40 del regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 5 aprile  1950 numero 221”,

  • all’articolo 5, dopo il comma 5, sono aggiunti i seguenti: “Le inserzioni autorizzate dalla regione, per la pubblicità sugli elenchi telefonici, possono essere utilizzati per la pubblicità sugli elenchi generali di categoria e, viceversa, le inserzioni autorizzate dalla regione, per la pubblicità sugli elenchi generali di categoria, possono essere utilizzate per la pubblicità sugli elenchi telefonici. Le autorizzazioni, di cui al comma l, sono rinnovate solo qualora siano apportate modifiche al testo originario della pubblicità,

  • dopo l’articolo 9, è inserito il seguente articolo 9/bis: “Gli esercenti le professioni sanitarie, di cui all’articolo l, nonché le strutture sanitarie, di cui all’articolo 4, possono effettuare la pubblicità nelle forme consentite dalla presente legge e nel limite di spesa del 5 per cento del reddito dichiarato per l’anno precedente”.

articolo 4

diplomi conseguiti in base alla normativa anteriore a quella di attuazione

dell’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni

Fermo restando quanto previsto dal decreto legge 13 settembre 1996, a 475, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 novembre 1996, a 573, per le professioni di cui all’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni e integrazioni, ai fini dell’esercizio professionale e dell’accesso alla formazione post base, i diplomi e gli attestati conseguiti in base alla precedente normativa, che abbiano permesso l’iscrizione ai relativi albi professionali o l’attività professionale in regime di lavoro dipendente o autonomo o che siano previsti dalla normativa concorsuale del personale del servizio sanitario nazionale o degli altri comparti del settore pubblico, sono equipollenti ai diplomi universitari, di cui al citato articolo 6, comma 3, del decreto legislativo a 502 del 1992 e successive modificazioni e integrazioni, per l’esercizio professionale e l’accesso alla formazione post base.

Con decreto del ministro della sanità, d’intesa con il ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, sono stabiliti, con riferimento all’iscrizione nei ruoli normativi regionali, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 1979 n. 761, allo stato giuridico dei dipendenti degli altri comparti del settore pubblico e privato e alla qualità e durata dei corsi e, se del caso, al possesso di una pluriennale esperienza professionale, i criteri e le modalità per riconoscere come equivalenti ai diplomi universitari, di cui all’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modificazioni e integrazioni, ai fini dell’esercizio professionale e dell’accesso alla formazione post base, ulteriori titoli conseguiti conformemente all’ordinamento in vigore anteriormente all’emanazione dei decreti di individuazione, dei profili professionali. I criteri e le modalità definiti dal decreto, di cui al presente comma, possono prevedere anche la partecipazione ad appositi corsi di riqualificazione professionale, con lo svolgimento di un esame finale. Le disposizioni previste dal presente comma non comportano nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato, né degli enti di cui agli articoli 25 e 27 della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni.

Il decreto, di cui al comma 2, è emanato, previo parere delle competenti commissioni parlamentari, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. In fase di prima applicazione, il decreto di cui al comma 2 stabilisce i requisiti per la valutazione dei titoli di formazione conseguiti presso enti pubblici o privati, italiani o stranieri, ai fini dell’esercizio professionale e dell’accesso alla formazione post base per i profili professionale di nuova istituzione, ai sensi dell’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni e integrazioni.

Ricordiamo:

  • il codice deontologico degli infermieri, del febbraio 1999,

  • il decreto 14 settembre 1994, n. 739, del ministero della sanità, che istituisce il regolamento, concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’infermiere,

  • il decreto ministeriale del 24 luglio 1996 del ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica sull’ordinamento didattico del corso di diploma universitario per infermiere.

Decreto n. 402 del novembre 2001

convertito in legge dal Parlamento nel dicembre dello stesso anno.

Secondo la nuova normativa, gli ospedali e le strutture, che non hanno abbastanza infermieri, si possono rivolgere agli ex dipendenti andati in pensione, che possono tornare a lavorare con una regolare assunzione; inoltre, è previsto il cumulo dello stipendio alla pensione, senza alcuna detrazione.

Per gli infermieri, che già lavorano in un ospedale, sono state introdotte le prestazioni aggiuntive, ossia una serie di prestazioni di libera professione, che l’infermiere può svolgere all’interno dell’ospedale, al di là dei suoi turni di lavoro e degli eventuali straordinari necessari a coprire la carenza di organico. Con la nuova legge si aprono anche maggiori possibilità di carriera e di riconoscimento professionale per gli infermieri.

I diplomi conseguiti con la vecchia normativa vengono riconosciuti ed equiparati a quello ottenuto con la laurea.

I vecchi titoli potranno essere utilizzati per iscriversi ai master di specializzazione post laurea breve, a patto che l’infermiere abbia conseguito la maturità quinquennale di scuola superiore. La possibilità di specializzarsi, per ottenere miglioramenti ai fini della carriera, potrà convincere gli infermieri impiegati a continuare a lavorare ed invogliare i giovani ad intraprendere la professione.

 

Dal quotidiano “Il Sole 24 Ore” del 19 ottobre 2000

Assistenza: dopo 110 anni si cambia

In prima linea le amministrazioni locali e più spazi alla collaborazione con i privati Il Senato approva in via definitiva la riforma dei servizi sociali. L’obiettivo è l’intervento personalizzato.

Roma. Assistenza, 110 anni dopo si cambia. Dal 2001 si scommette sui “servizi personalizzati” in aggiunta agli aiuti economici e si promette di abbandonare l’assistenzialismo e la carità di Stato. Con queste grandi parole d’ordine ha visto la luce la riforma dei servizi sociali. Una legge il cui iter era iniziato nel febbraio 1997 e che va a sostituire l’attuale sistema ancora regolamentato dalla “legge Crispi” de11890.

La parola passa ora alle amministrazioni locali, comuni in testa, cui spetterà il non semplice compito di dare concreta attuazione a quel “sistema integrato di interventi e servizi sociali “, che il provvedimento si propone di realizzare.

La nuova assistenza sociale potrà contare su una dote di tutto rispetto: oltre ai 40 mila miliardi già stanziati (oggi dispersi in una miriade di interventi settoriali, ma che con l’entrata in vigore della legge confluiranno in un unico “fondo sociale nazionale”), ci sono i 1.800 già attivi per gli interventi per l’infanzia, i disabili e le famiglie e si mettono in campo ulteriori 1.800 miliardi, che la legge stanzia per interventi immediati negli anni 2000, 2001 e 2002.

A tutto ciò si aggiunge il consistente patrimonio delle IPAB (istituzioni pubbliche di beneficenza e assistenza) stimato in 37 mila miliardi, che dovranno entrare a pieno titolo nella rete dei servizi sociali. A questo scopo la legge quadro delega il governo a varare un apposito decreto.

L’Italia dovrebbe, quindi, poter contare su un nuovo sistema di interventi sociali, programmati a livello nazionale e gestiti a livello locale.

Un sistema che promette di saper offrire risposte personalizzate ai diversi bisogni di assistenza: accanto ai tradizionali sussidi economici (dei quali la legge prevede un riordino), nasceranno servizi di assistenza domiciliare per gli anziani; servizi di sollievo per le famiglie che accudiscono un familiare non autosufficiente; percorsi di inserimento individuali per i disabili; chiusura graduale degli orfanotrofi a favore dell’affido familiare e delle “case famiglia”. Previste anche agevolazioni fiscali e tariffarie per i genitori single, per le giovani coppie con figli e per le famiglie di recente immigrazione o in temporanee difficoltà economiche.

Per fare tutto ciò, la legge mette in campo nuovi strumenti: da un riconoscimento inedito del ruolo del “no profit”, visto anche come volano dell’economia, alla collaborazione con soggetti privati che, purché accreditati, potranno entrare a far parte della rete dei servizi, fino ai “bonus” validi per l’acquisto di servizi, che i comuni potranno erogare a favore dei soggetti bisognosi.

La verifica delle condizioni economiche dei cittadini, che chiedono l’accesso ai servizi sociali, sarà effettuata secondo i criteri del riccometro.

I fondi integrativi previsti dall’ultima riforma sanitaria, infine, comprenderanno le spese sostenute dai cittadini per programmi assistenziali prolungati, mentre sarà esteso in tutto il paese il reddito minimo di inserimento, attualmente in sperimentazione in alcune aree.

In sintesi, le novità del riordino:

 

servizi alle famiglie

la rete dei servizi sociali dovrà privilegiare, tra l’altro, l’erogazione di assegni di cura ed altri interventi a sostegno della maternità e della paternità responsabili;

prestiti d’onore

i Comuni potranno concedere, in alternativa ai contributi in denaro, “prestiti sull’onore”, per sostenere coppie giovani, single con figli, gestanti in difficoltà e famiglie con difficoltà economiche che accudiscono persone non autosufficienti;

buoni servizio

i Comuni potranno prevedere la concessione di titoli, validi per l’acquisto di servizi erogati da soggetti accreditati, anche come sostitutivi delle prestazioni economiche;

livelli essenziali delle prestazioni

il provvedimento stabilisce quali sono i livelli essenziali di assistenza sociale, che dovranno essere garantiti in tutto il paese, anche se nel rispetto della programmazione locale;

reddito minimo di inserimento

al termine della sperimentazione in corso del reddito minimo di inserimento, il governo definirà le modalità per estendere questo istituto su tutto il territorio nazionale, riconducendovi altre misure di contrasto della povertà;

IPAB

Il governo è delegato, come abbiamo visto sopra, a rivedere la disciplina delle IPAD, in modo da garantirne l’autonomia.

 

Riforma sanitaria – fissati i livelli essenziali di assistenza

(LEA)

con la pubblicazione nella “Gazzetta Ufficiale”, supplemento ordinario n. 26, dell’8/2/2002, entra in vigore il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, che fissa i livelli essenziali di assistenza (LEA) assicurati dal servizio sanitario nazionale (SSN).

Il nuovo regime di pubblica assistenza dovrà, quindi, conciliare qualità ai cittadini e risparmio per le casse dello Stato. La definizione dei citati livelli è prevista dal decreto legislativo 502 del 1992 e dal decreto 347/2001, convertito in legge 405 del 16/11/2001.

L’obiettivo del decreto è quello, dunque, di ridurre gli sprechi, prevenire i conti in rosso della sanità, migliorare gli strumenti di erogazione ai cittadini ed assicurare alla collettività le prestazioni base, che non possono essere lasciate a carico dei singoli, né essere garantite solo ai più abbienti.

In conseguenza di quanto stabilito, pertanto, Il servizio sanitario nazionale lascerà del tutto a carico dei cittadini gli interventi di chirurgia estetica (tranne quella necessaria per incidenti, malattie o malformazioni congenite), le vaccinazioni non obbligatorie per soggiorni all’estero, le medicine non convenzionali (quali ad esempio la omeopatia) e diverse prestazioni di medicina fisica.

Sono a spese del cittadino anche tutte le certificazioni mediche (salvo quelle scolastiche). Vi è poi tutto un elenco di prestazioni parzialmente escluse dal “LEA(quali, ad esempio, l’assistenza odontoiatrica ed alcune forme di chirurgia rifrattiva con laser).

 

Le responsabilità del medico

Il codice civile e quello penale disciplinano la responsabilità del medico sulla base degli stessi principi che regolano la responsabilità per qualsiasi attività professionale. In materia di prestazioni professionali, l’articolo 2236 del codice civile esprime il principio secondo il quale il sanitario non risponde dei danni nei confronti dei terzi, quando ka prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà se non per dolo o colpa grave.

Oltre alle disposizioni comprese nei codici civile e penale, il medico deve rispettare un complesso di regole di autodisciplina e di comportamento finalizzate, fra l’altro, alla tutela del rapporto medico-paziente nel suo complesso ed alla salvaguardia dei pazienti da eventuali comportamenti illeciti dei medici.

Tali regole sono contenute nel “Codice di deontologia medica”, rispetto al quale è tenuto ogni medico iscritto all’Ordine professionale e la cui violazione comporta sanzioni determinate dal Consiglio di disciplina dell’Ordine professionale. Inoltre, è bene ricordare che il medico non è tenuto a garantire un risultato, ma è solo obbligato ad assicurare un comportamento idoneo a conseguire il risultato sperato, prestando la propria opera con la massima efficienza, tempestività e correttezza possibile. Una eventuale colpa personale del medico va vista secondo i criteri dell’imperizia, dell’imprudenza e della negligenza, come spesso ribadito dalla Corte di Cassazione.

Merita anche ricordare che il medico non è impotente rispetto a condizioni di lavoro inaccettabili. Infatti, il medico ospedaliero, quando gli venga ordinata o disposta una condotta che si discosti da corretti criteri di professionalità, può rifiutarne l’adempimento, confortato da precise leggi in proposito e dall’articolo 38 del codice di deontologia medica, che dice:

il medico, che presti la propria opera a rapporto di impiego o di convenzione nell’ambito di strutture sanitarie pubbliche o private…qualora si verifichi contrasto tra le norme deontologiche e quelle proprie dell’ente…per cui presta la propria attività professionale, deve chiedere l’intervento dell’Ordine dei medici, onde siano salvaguardati i diritti propri e degli assistiti”.

Ancora, merita di essere ricordato l’articolo 481 del codice penale che punisce “chiunque, nell’esercizio di una professione sanitaria, attesti falsamente in un certificato fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità”. La pena prevista è la reclusione fino ad un anno, oppure una multa da euro 51 ad euro 516 e tali pene si applicano congiuntamente se il fatto è commesso a scopo di lucro.

La Corte di Cassazione ha anche stabilito che un medico che prescriva un farmaco ad un paziente sconosciuto o non visitato commette un falso ideologico. Per la Cassazione la ricetta è un vero e proprio certificato destinato, non solo ad affermare che il paziente ha necessità e diritto di fruire del servizio farmaceutico, ma anche a provare che il medico ha effettivamente verificato, visitandolo, tale necessità.

D’altro canto, nella convenzione fra medici di base e servizio sanitario nazionale è previsto anche che “il medico può dar luogo al rilascio della prescrizione anche in assenza del paziente, quando, a suo avviso, ritenga non necessaria la visita”. Un pilastro importante dell’assistenza sanitaria di base è rappresentato dalla “guardia medica”, che garantisce un servizio a domicilio per situazioni che rivestono carattere di urgenza e che si verificano nelle ore notturne o nei giorni festivi. Quindi, se un medico del servizio di guardia medica, nonostante reiterati solleciti per una visita domiciliare urgente, interviene con un ritardo di circa due ore, senza che impegni personali od altri legittimi impedimenti giustifichino il ritardo, è responsabile di omissione di atti di ufficio.

Lo ha precisato la Corte di Cassazione, riconoscendo tuttavia una certa discrezionalità al medico di valutare il carattere di urgenza.

 

I MINORI

Con la legge di riforma del diritto di famiglia del 1975, è stato introdotto il principio secondo il quale il minore è soggetto di diritto e non più oggetto di protezione. E’ questa sicuramente una grande conquista sociale.

Sono numerosi i servizi a sostegno della famiglia e dei minori; vediamoli partitamente uno ad uno:

il consultorio familiare

per il sostegno alla donna ed al nascituro, per la prevenzione delle malattie, per gli interventi sanitari, psicologici e sociali;

asilo nido

per aiutare le madri lavoratrici, che abbiano figli in età fra i due mesi ed i tre anni. I finanziamenti sono statali;

centro giovani

sono centri di socializzazione, per prevenire le situazioni di disagio giovanili. Qui si dovrebbero fare esperienze culturali, sportive, ecc. e funzionano in tutto il periodo dell’anno;

centro estivo

ospitano minori dai 5 ai 14 anni e sono gestiti dai Comuni, tramite i quartieri, chiamati anche circoscrizioni).

In tali centri si cerca di favorire la socializzazione ed è stata introdotta la nuova figura dell’educatore di strada, che dovrebbe essere presente dove i giovani trascorrono il tempo libero (bar, pub, circoli, ecc.);

gruppo famiglia

nel quale non si può affidare o adottare. È una struttura che accoglie un piccolo gruppo di minori fino ai 10 anni e sono seguiti da adulti preparati;

comunità alloggio

nella quale si può affidare o adottare. Idem come sopra, con la differenza della possibilità di affidare o adottare;

istituto educativo assistenziale

comunità che accoglie fino a 50 minori. E’ considerato il servizio peggiore e l’ultima delle possibilità.

Gli interventi sostitutivi della famiglia sono:

l’affidamento, che è temporaneo

l’adozione, che è definitiva


Affidamento

è il collocamento presso una famiglia di un minore momentaneamente (ma potrebbe anche essere a tempo indeterminato), perché la famiglia di origine si trova in difficoltà.

  • l’affidamento è spontaneo (detto anche consensuale) quando è organizzato dai servizi sociali di base, o consultori, con il solo obbligo di informare la Magistratura per la convalida,

  • è disposto d’autorità dal Tribunale dei minorenni, se la famiglia di origine non ne vuole più sapere.

E’ previsto anche il solo affidamento diurno, quando non ci sono motivi di particolare gravità, ma solo difficoltà;

Adozione

l’adozione è stata regolata dalla legge numero 184/1983, che prevede si possano adottare i minori solo se siano stati dichiarati in stato di abbandono totale. (questa è una condizione irrinunciabile ed assoluta). L’abbandono può essere segnalata da chiunque al Tribunale per i minorenni presso il quale operano anche operatori sociali.

Il concetto di “abbandono” è molto complesso e la giurisprudenza considera ormai come situazione di abbandono anche le seguenti:

  • il bambino maltrattato, che vive in famiglia, ma è sempre picchiato e quasi mai per un motivo comprensibile,

  • il bambino trascurato, spesso segnalato dalla scuola perché trasandato, sporco, con i compiti mai eseguiti ed i cui genitori non si fanno mai vedere,

  • il bambino solo, spesso appartenente ad un ceto sociale medio alto, che passa molto tempo solo a casa, che diventa precocemente autonomo e che appare molto triste e con atteggiamenti da adulto.

Con l’adozione, il minore viene considerato dalla legge, a tutti gli effetti, figlio legittimo dei genitori adottivi ed interrompe ogni rapporto giuridico con i genitori naturali.

Condizioni per poter adottare:

  • la situazione economica e psicologica deve essere idonea,

  • la coppia che chiede di adottare deve essere sposata da almeno tre anni (niente adozioni per single e coppie di fatto, a meno che dopo tre anni di convivenza non decidano di sposarsi. In questo caso, quindi, viene riconosciuta la precedente convivenza di tre anni ai fini dell’adozione e questo è un passo avanti rispetto alla vecchia normativa),

  • chi adotta deve avere almeno 18 anni più del minore,

  • non avere più di 45 anni rispetto al minore (limite elevato di recente, perché in precedenza era di 40 anni). Il Tribunale per i minorenni si riserva, però, di decidere altrimenti e di non tenere conto di questi limiti di età, valutando caso per caso, qualora ritenesse che la mancata adozione del minore comporti al bambino o al ragazzo un danno serio e non altrimenti evitabile. La coppia può adottare anche più bambini con adozioni successive. E’ un titolo preferenziale l’aver già adottato o l’aver fatto richiesta di adozione del fratello o della sorella del minore di cui si richiede l’adozione,

  • occorre la dichiarazione di abbandono totale, che deve essere segnalata da chi esercita un pubblico servizio, sotto pena di denuncia penale per reato di omissione o rifiuto di atti d’ufficio (art. 328 del codice penale, che prevede la reclusione fino ad un anno o una ammenda sostitutiva di non meno di 206 euro (ex lire quattrocentomila).

Il Tribunale, accertato l’abbandono, dichiara aperto lo stato di adottabilità. Se il bimbo non ha compiuto 14 anni, deve solo essere sentito. Se ha compiuto 14 anni, occorre il suo consenso.

Prima della definitiva adozione, occorre un periodo di osservazione di un anno, che si chiama “pre adozione”.

Nota

per quanto riguarda l’affidamento condiviso, vedasi quanto espresso nel capitolo dedicato al matrimonio ed ai figli.

Le nuove regole dell’adozione:

(A)

Se il bambino è italiano

presentazione della domanda di disponibilità all’adozione ad un qualsiasi Tribunale dei minorenni. È possibile inoltrare la richiesta anche a più Tribunali contemporaneamente. La domanda ha validità di due anni e, allo scadere del termine, può essere rinnovata. Gli aspiranti genitori devono dimostrare di essere in possesso dei requisiti:

devono essere uniti in matrimonio da almeno tre anni, o con una convivenza precedente al matrimonio di almeno tre anni;

tra di loro non deve sussistere separazione personale, né di fatto;

devono avere almeno 18 anni, ma non più di 45 anni di differenza con l’adottato. L’adozione è possibile anche quando il limite massimo di età è superato da uno solo dei due coniugi in misura non superiore a dieci anni.

I coniugi vengono sottoposti ad un colloquio dallo psicologo della ASL di zona, per verificare l’idoneità all’adozione. I carabinieri del luogo di residenza accertano la situazione personale della coppia. Il Tribunale può disporre un ulteriore colloquio dei coniugi con una equipe di esperti, composta da due giudici onorari. Gli accertamenti sull’idoneità della coppia vanno compiuti entro 120 giorni dalla presentazione della domanda.

A questo punto, la pratica per l’adozione può considerarsi completata. Una camera di consiglio, composta da due giudici togati e da due onorari, ha il compito di trovare il miglior abbinamento possibile tra gli aspiranti genitori adottivi ed i minori dichiarati in stato di abbandono. Per fare questo, potrà servirsi della banca dati relativa ai minori adottabili ed agli aspiranti genitori, che darà istituita entro 180 giorni dall’entrata in vigore della nuova legge.

Al termine della ricerca, un’equipe individua una terna di coppie idonee e le invita per un colloquio di ulteriore approfondimento e quindi formula la proposta di affido pre adottivo, che dura un anno, ai coniugi ritenuti più indicati. Esiste la possibilità di prolungare l’affido, se il minore ha bisogno di più tempo per inserirsi nella nuova famiglia.

Con la riforma, questo periodo non potrà essere prorogato oltre 24 mesi, salvo diversa decisione del Tribunale.

Una volta concluso l’affidamento, il Tribunale dichiara definitiva l’adozione, che crea un vincolo giuridico tra genitori e figli, del tutto equiparato dalla legge alla filiazione legittima.

L’adottato acquista il cognome paterno e, dopo la trascrizione allo stato civile, è vietato a chiunque di fornire informazioni sulle sue origini, e all’ufficiale dello stato civile e all’ufficio dell’anagrafe di fornire certificati in cui risulti il rapporto di adozione, con sanzioni penali in caso di trasgressione.

Raggiunti i 25 anni di età, l’adottato può chiedere informazioni sull’identità dei genitori biologici.

L’istanza deve essere presentata al Tribunale per i minori, che autorizza con decreto l’accesso alle notizie.

(B)

Se il bambino è straniero – (adozione internazionale)

con la legge 476/1998, l’Italia ha recepito la Convenzione dell’Aia del 1993, che regolamenta l’adozione internazionale. Punto centrale della legge è l’abolizione delle cosiddette adozioni fai da te. Alle coppie italiane, infatti, non è consentito utilizzare canali privati per concludere la procedura; è necessario appoggiarsi ad enti autorizzati, che fanno da tramite tra aspiranti genitori e Paese di origine del minore. La coppia, dunque, che è in possesso del decreto di idoneità, rilasciato dal Tribunale dei minorenni, deve rivolgersi ad uno di questi enti. L’ente contattato, poi, invia alla coppia l’elenco dei documenti necessari per mettersi in lista d’attesa. Raggiunto il turno nella lista d’attesa, viene fissato un incontro con gli operatori dell’ente.

Alcune associazioni richiedono il pagamento di una quota già in questa fase, altre forniscono il servizio gratuitamente. Esauriti i colloqui, la coppia viene convocata per la stesura di una relazione. Subito dopo, i coniugi scelgono, con l’aiuto di un responsabile dell’ente, il paese straniero al quale indirizzare la domanda di adozione ed i relativi documenti. Ultimata la preparazione dei documenti, con relative traduzioni e visti, la coppia consegna il dossier al responsabile del paese di adozione presso l’associazione. L’ente invia il dossier, tramite il proprio rappresentante, all’autorità centrale straniera per le adozioni.

Inoltre, informa la commissione per le adozioni internazionali presso il ministero per gli affari sociali, inviando copia della documentazione, per ottenere la richiesta di autorizzazione dell’ingresso del minore. Non appena, da parte dell’autorità straniera per le adozioni, arriva la proposta di abbinamento di un minore alla coppia, i coniugi vengono convocati dall’ente e ricevono la documentazione pervenuta riguardante il minore. La coppia parte per il paese estero e qui viene accolta dal rappresentante dell’associazione, che rimane il punto di riferimento per tutta la procedura, fino al ritorno in Italia con il minore.

Dopo l’incontro con il bambino, seguono una o più udienze presso il Tribunale estero di competenza.

Prima di entrare in Italia, la coppia deve fare tappa presso l’ambasciata italiana per il rilascio del visto e delle legalizzazioni necessarie per il rientro. L’associazione segue di solito anche la fase post adottiva, elaborando periodiche relazioni d’inserimento, secondo le indicazioni delle autorità straniere, e mantenendo stretti contatti con la commissione per le adozioni internazionali.

Nota

Cento e diecimila adozioni in 37 anni, dal 1967 al 2004 dunque, che hanno dato una nuova famiglia a bambini in difficoltà ed un figlio ad adulti che hanno deciso di diventare genitori in modo nuovo e che hanno cambiato il costume italiano e che, con l’adozione internazionale, hanno mutato volto e colori dell’Italia. Dal 1967, anno in cui le regole sulle adozioni sono state rivoluzionate, è dunque questo il bilancio numerico stimato in base ai dati ANFAA, l’associazione nazionale famiglie adottive ed affidatarie, che monitora il funzionamento dell’istituto. Secondo l’associazione, a tutto il 2002 sono stati più di 107.000 i minori italiani e stranieri adottati, e si prevede che per gli anni futuri tali numeri saranno destinati ad aumentare.

 

Adozioni in Italia dal 1995 al 2002

Fonte: elaborazione Anfaa su dati Istat

 

Anno

Istanze

Affidamenti preadottivi

Adozioni pronunciate

Adozioni particolari *

1995

7.824

904

882

593

1996

8.685

983

934

621

1997

9.148

1.075

978

516

1998

9.797

962

1.068

543

1999

10.788

938

1.000

545

2000

11.126

974

1.078

638

2001

12.901

930

1.290

655

2002

13.265

1.006

1.135

651

TOTALE

83.534

7.772

8.365

4.762

 

*Adozioni di:

  • parenti del minore

  • del figlio del coniuge

  • di bambini con handicap

  • quando è impossibile l’affidamento preadottivo

 

Adozioni di minori stranieri dal 1995 al 2003

Fonte: elaborazione su dati Istat, Anfaa e Commissione adozioni internazionali

 

Anno

Istanze

Decreti di idoneità

Affidamenti preadottivi

Adozioni

1995

5.370

4.002

2.222

2.806

1996

5.734

3.977

1.833

2.810

1997

6.440

4.493

1.987

2.505

1998

6.778

4.489

2.537

2.374

1999

7.586

5.170

2.595

2.265

2000

7.579

5.373

2.873

3.115

2001

7.887

6.331

—-

3.915

2002

7.193

5.790

—-

2.970

2003

—-

5.407

—-

2.760

TOTALE

54.567

45.032

14.047

25.520

 

Il sistema delle adozioni in alcuni Stati

Francia

la disciplina deriva dal Codice Civile, da un decreto del 1998 sui requisiti degli adottanti e dal Codice dell’azione sociale e delle famiglie. Sono oltre 20.000 le famiglie che ogni anno vengono dichiarate idonee all’adozione e sono 5.000 le adozioni che hanno effettivamente luogo, tenuto conto di quelle internazionali. L’adozione può essere richiesta sia da due coniugi non separati, sposati da più di due anni o aventi oltre 28 anni, e sia da un single di oltre 28 anni di età. Al Consiglio provinciale compete dichiarare idoneo un adottante. La procedura è rigida e complessa. Al termine, si ottiene un’idoneità che ha una durata di cinque anni, ma annualmente bisogna confermare la propria volontà. A seconda dei casi, l’adozione può comportare la raccolta del consenso dei genitori naturali ed anche di quello dell’adottato, che viene comunque sentito se ha più di 13 anni. Il “Tribunal de grande instance” è l’organo che pronuncia l’adozione.

Germania

non possono adottare un bambino congiuntamente le persone non sposate, ma solo una di esse può farlo. I coniugi invece possono adottare solo congiuntamente, eccetto il caso di adozione del figlio dell’altro, se uno dei due abbia compiuto 25 anni e l’altro 21. Se l’adottante ha già dei figli, il loro interesse sarà tenuto in debito conto. Tutti gli adottanti sono sottoposti ad un periodo di prova variabile in funzione di vari fattori, quale ad esempio l’età del bambino. Occorre sempre il consenso del bambino, che verrà espresso dal tutore nel caso in cui sia minore di 14 anni. Anche il consenso dei genitori naturali è necessario ed il padre, in determinate condizioni, può esprimerlo anche prima della nascita. A seconda dei casi il consenso può essere sostituito da quello del Tribunale per i minori. Il consenso è senza condizioni ed irrevocabile. L’iter per procedere ad una adozione prevede che si presenti domanda incondizionata al Tribunale per i minori. Dopo lunghe verifiche di carattere psicologico, fisico ed economico, il Tribunale emette il decreto di adozione. La procedura richiede intorno ai due anni.

Gran Bretagna

l’età dell’adottante deve essere di almeno 21 anni e non è richiesta una differenza minima con l’adottato. Gli enti in gioco sono le Corti di Contea ed i Consigli comunali o agenzie che operano con l’autorizzazione del Segretario di Stato per la sanità. Il magistrato pronuncia l’ordine di adozione con il quale rimuove tutti i diritti parentali dei genitori naturali, mentre l’esistenza dei requisiti necessari per adottare un bimbo è accertata dal Consiglio o dall’agenzia. Un assistente sociale si occuperà poi di raccogliere informazioni personali più approfondite. I single possono adottare ed anche i non sposati che, al contrario dei coniugi, non possono però farlo congiuntamente. L’essere omosessuale non è controindicazione all’adozione. Purtroppo è generalmente accettata una percentuale di insuccessi piuttosto elevata: il 20 %. Le cause più frequenti sono legate all’età elevata dell’adottato, ad una storia personale travagliata, alla separazione da fratelli o sorelle. La durata dell’iter varia a seconda delle difficoltà che possono sorgere, come l’opposizione dei genitori naturali, ma generalmente è poco sopra i due anni.

Spagna

il Codice Civile e la legge 1 del 2000, e le sue successive modifiche, contengono le regole. Gli organi competenti, dal punto di vista amministrativo, sono i servizi di protezione dei minori delle Comunità autonome e delle città autonome di Ceuta e Melilla. Un’equipe multi professionale del servizio di protezione dei minori si occupa di realizzare uno studio psico sociale sui potenziali adottanti, che permette di valutare la loro idoneità ad adottare e ad esercitare la potestà dei genitori. L’adozione viene poi sancita dal giudice competente. L’adottante, anche single, deve avere più di 25 anni. Nel caso di adozione congiunta dei coniugi è sufficiente che il requisito sia posseduto da uno di essi, ed avere almeno 14 anni in più rispetto all’adottato. Gli unici soggetti adottabili sono i minori di 18 anni non emancipati. Non è necessario l’intervento del giudice qualora il minore versi in particolari condizioni, ad esempio sia orfano e consanguineo o affine in terzo grado dell’adottante, oppure sia figlio del coniuge. La procedura richiede da 3 a 5 anni circa.

Stati Uniti d’America

chi vuole adottare un bambino può avvalersi di diversi canali. Il più comune è quello costituito dalla rete delle agenzie pubbliche di ogni singolo Stato. Esistono poi agenzie private con licenza statale ed, infine, in alcuni Stati è possibile rivolgersi ad avvocati o altre persone, che non necessitano di riconoscimento statale, che fungono da intermediari. Poiché ogni Stato adotta regole proprie, un apposito provvedimento federale, valido anche per le isole Vergini, disciplina le adozioni che prevedono il passaggio di un bambino da uno Stato all’altro. La procedura può durare anche due anni, con costi medi intorno ai 15.000 dollari. Proprio perché la disciplina non è uniforme, vediamo alcuni Stati di un certo rilievo. Nel New Jersey, l’adottante deve avere compiuto 18 anni ed avere almeno 10 anni più dell’adottato; mentre in Massachusetts è sufficiente essere più vecchi ed il minore sposato può adottare il figlio del coniuge.


LA VOLONTARIA GIURISDIZIONE

E’ un ricorso (inoltrato dal coniuge o dai parenti entro il 4° grado) al Tribunale del luogo di residenza per chiedere l’interdizione o l’inabilitazione di un familiare, che si trovi in particolari condizioni.

Interdetto

è colui che si trova in condizioni di abituale infermità di mente, tale da renderlo incapace di provvedere ai propri interessi. Sarà assistito da un “tutore”. Il fenomeno riguarda i maggiorenni o il minore emancipato (cioè colui che abbia un lavoro o sia sposato). Ricordiamo che i minorenni si trovano già, per l’età stessa, in situazione di incapacità assoluta.

Inabilitato

è colui che abbia infermità di mente non gravi o che sia prodigo (cioè spende senza alcun criterio e con grave danno alla famiglia – si usa anche dire: scialacqua le proprie sostanze) o che abusi di sostanze alcoliche o stupefacenti. E’ anche il caso di chi sia sordomuto o cieco dalla nascita o dalla prima infanzia (salvo che non abbiano ricevuto una sufficiente educazione). Dovrà essere assistito da un “curatore”. Nel ricorso bisogna esporre i fatti ed indicare che si tratta di parentela stretta. A questo punto, Il Presidente del Tribunale ordina la comunicazione al “PM” (sigla di “Pubblico Ministero”, che rappresenta lo Stato), nomina il giudice istruttore (che dovrà seguire tutta l’operazione) e fissa la data di udienza per la comparizione degli interessati. Il giudice istruttore può farsi assistere da un consulente tecnico, può disporre i mezzi di prova che ritiene utili e può nominare, se lo ritiene opportuno, un tutore o un curatore provvisorio.

Il processo si chiude con una sentenza del giudice, che può essere impugnata (cioè contestata) da tutti coloro che parteciparono e da coloro (i familiari) che potevano proporre la domanda.

Per vendere uno o più beni dell’interdetto o dell’inabilitato, occorre sempre l’autorizzazione del tribunale, che ne decide pure le modalità.

Le principali differenze fra la “volontaria giurisdizione” ed un qualsiasi processo civile sono le seguenti:

  • non c’è contenzioso (cioè, non c’è lite di uno contro un altro),

  • c’è l’ingerenza del giudice in affari altrui (perché non deve solo ascoltare le parti che litigano e poi decidere, ma può anche entrare nella vita privata della persona da interdire o inabilitare, per meglio valutare e decidere),

  • ogni decisione (decreto) del giudice, durante il processo, può essere revocata o modificata,

  • la sentenza, contrariamente alla regola, può essere impugnata (cioè contestata) anche da chi non ha partecipato al processo (cioè i parenti stretti).

NORMATIVA PENALE

Abbandono di persone minori o incapaci

(articolo 591 del codice penale)

chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona, incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia o per altra causa, di provvedere a sé stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura, è punito con la reclusione da 6 mesi a 5 anni.

Alla stessa pena soggiace chi abbandona all’estero un cittadino italiano minore degli anni diciotto, a lui affidato nel territorio dello Stato, per ragioni di lavoro. La pena è della reclusione da 1 a 6 anni, se dal fatto deriva una lesione personale, ed è da 3 a 8 anni se ne deriva la morte. Le pene sono aumentate se il fatto è commesso dal genitore, dal figlio, dal tutore o dal coniuge, ovvero dall’adottante o dall’adottato.

Impiego di minori nell’accattonaggio – (articolo 671 del codice penale)

chiunque si vale, per mendicare, di una persona minore degli anni quattordici o, comunque, non imputabile, la quale sia sottoposta alla sua autorità o affidata alla sua custodia o vigilanza, ovvero permette che tale persona mendichi, o che altri se ne valga per mendicare, è punito con l’arresto da 3 mesi a 1 anno. Qualora il fatto sia commesso dal genitore o dal tutore, la condanna importa la sospensione dall’esercizio della patria potestà o dall’ufficio di tutore.

Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina

(articolo 571 del codice penale)

chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza e custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a 6 mesi. Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli articoli 582 e 583, ridotte ad un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da 3 a 8 anni.

Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli

(articolo 572 del codice penale)

chiunque, fuori dei casi indicati nell’art. precedente, maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da 1 a 5 anni. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da 4 a 8 anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da 7 a 15 anni; se ne deriva la morte, la reclusione da 12 a 20 anni.

Inosservanza dell’obbligo della istruzione elementare dei minori

(articolo 731 del codice penale)

chiunque, rivestito di autorità o incaricato della vigilanza sopra un minore, (240 codice civile, omette, senza giusto motivo, d’impartirgli o di fargli impartire l’istruzione elementare, è punito con l’ammenda fino a euro 6,20 (ex lire 12.000); importo ora rivalutato (vedasi anche il R.D.5 febbraio 1928 n. 557).

Omesso avviamento dei minori al lavoro – (articolo 732 del codice penale)

chiunque, rivestito di autorità o incaricato della vigilanza sopra un minore, che ha compiuto gli anni quattordici e deve trarre dal lavoro il proprio sostentamento, omette, senza giusto motivo, di avviarlo al lavoro, è punito con l’ammenda fino a euro 30,99 (ex lire 60.000); importo che periodicamente viene aggiornato e quindi rivalutato.

Somministrazione di bevande alcoliche a minori o a infermi di mente

(articolo 689 del codice penale)

l’esercente un’osteria o un altro pubblico spaccio di cibi o di bevande, il quale somministra, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, bevande alcoliche ad un minore degli anni sedici, o a persona che appaia affetta da malattia di mente, o che si trovi in manifeste condizioni di deficienza psichica a causa di un’altra infermità, è punito con l’arresto fino ad un anno. Se dal fatto deriva l’ubriachezza, la pena è aumentata. La condanna importa la sospensione dall’esercizio. (vedasi art. 6 legge 26/4/1934 n. 653 sulla tutela del lavoro della donna e dei fanciulli).

Circonvenzione di persone incapaci

(articolo 643 del codice penale)

chiunque, per procurare a sé o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di una persona minore (articolo 240 del codice civile), ovvero abusando dello stato di infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata, la induce a compiere un atto, che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso, è punito con la reclusione da 2 a 6 anni e con la multa da euro 206,58 ad euro 2.065,83 (da ex lire 400.000 ad ex lire 4.000.000.

Nota

Il Ministero della giustizia ha annunciato (nel 2001) che è pronto un provvedimento di riforma della giurisdizione che si occupa di minori e che prevede un nuovo ruolo per il magistrato che deve giudicare i giovani, per potenziare sempre di più la funzione rieducativa della pena e creare un rapporto diretto con le famiglie. Si vogliono abolire i tribunali per i minorenni ed a sostituirli saranno sezioni, specializzate per la famiglia e per i minori, che verranno istituite presso Tribunali e Corti di Appello. Saranno rivoluzionati sia il settore civile che quello penale. Tali sezioni saranno chiamate a decidere in materia di formazione e rettificazione degli atti di stato civile, per quanto riguarda i procedimenti di interdizione, inabilitazione, assenza e morte presunta e trattamenti sanitari obbligatori, che rientrino nella competenza dell’autorità giudiziaria. Inoltre, le sezioni si occuperanno anche di separazioni o di ricoveri di persone colpite da malattie psichiche.

 

 

Rovere Enzo

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