Legge europea 2013, come cambia il regime di accesso al pubblico impiego

Redazione 22/08/13
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Lilla Laperuta

Si estende l’accesso ai posti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche ai familiari di cittadini dell’Unione europea, ai soggiornanti di lungo periodo, ai rifugiati e ai titolari dello status di protezione sussidiaria. La previsione è contemplata dall’articolo 7 della L. 6 agosto 2013, n. 97, recante disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea (G.U. n.194 del 20-8-2013) finalizzata a rimediare ai rilievi mossi dalla Commissione europea nell’ambito dei casi EU Pilot 1769/11/JUST e 2368/11/HOME.

Il sistema “precontenzioso” EU PILOT, sembra utile ricordare, dal 2008 rappresenta  lo strumento principale di comunicazione e cooperazione grazie al quale la Commissione, mediante il Punto di contatto nazionale  (rappresentato in Italia dalla struttura di missione presso il Dipartimento Politiche UE della Presidenza del Consiglio), trasmette le richieste di informazione agli Stati membri al fine di assicurare la corretta applicazione della legislazione UE e prevenire possibili procedure d’infrazione.

Si ricorre a tale strumento quando per la Commissione la conoscenza di una situazione di fatto o di diritto all’interno di uno Stato membro è insufficiente al punto da impedirle  di avere un quadro chiaro sulla avvenuta corretta applicazione del diritto europeo e in tutti i casi che potrebbero essere risolti senza la necessità di ricorrere all’apertura di una vera e propria procedura di infrazione.

Ebbene, nell’ambito del citato caso EU Pilot 1769/11/JUST, la Commissione europea ha rilevato la non conformità dell’art. 38, co. 1, D.Lgs. 165/2001 (Testo unico sul pubblico impiego), alla direttiva 2004/38/CE (relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri), nella parte in cui non prevede la possibilità di accedere ai posti di lavoro presso le pubbliche amministrazioni italiane per i cittadini di Stati terzi che siano familiari di cittadino dell’Unione europea. La Commissione ha infatti ricordato che con l’entrata in vigore della direttiva citata i cittadini di uno Stato terzo che siano familiari di un cittadino dell’Unione e che siano titolari del permesso di soggiorno o del diritto di soggiorno hanno lo stesso diritto dei lavoratori migranti dell’Unione di accedere ai posti alle dipendenze della amministrazioni pubbliche dello Stato membro ospitante e che, ai  sensi dell’articolo 45, paragrafo 4, del TFUE, come interpretato dalla Corte di giustizia, gli Stati membri hanno il diritto di riservare ai cittadini nazionali solo quegli impieghi presso la pubblica amministrazione che implicano, in modo diretto o indiretto, la partecipazione all’esercizio dei pubblici poteri e alle mansioni che hanno ad oggetto la tutela degli interessi generali dello Stato o delle altre autorità pubbliche.

Ora, stante le surriferite osservazioni, l’art. 38, co. 1, D.Lgs. 165/2001 è stato modificato dalla nuova legge europea al fine di garantire l’accesso ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell’interesse nazionale, non solo ai cittadini dell’Unione ma anche ai «loro familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente». Ancora, è stata implementata la formulazione dell’art. 38 con l’aggiunta di un ulteriore comma affinché  le disposizioni in materia di accesso al pubblico impiego che riguardano i cittadini dell’Unione si applichino anche ai cittadini di Paesi terzi che siano titolari del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo o che siano titolari dello status di rifugiato ovvero dello status di protezione sussidiaria.

Questo perché, in riferimento al caso EU Pilot 2368/11/HOME, la Commissione ha lamentato la non compatibilità dell’ordinamento nazionale alla direttiva 2003/109/CE, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, nella misura in cui lo stesso non riconosce al cittadino di uno Stato terzo, che sia soggiornante di lungo periodo, lo stesso diritto di accedere al pubblico impiego previsto per i cittadini nazionali e i cittadini di uno Stato membro dell’Unione. Con riguardo ai titolari dello status di protezione sussidiaria, l’articolo 25, comma 2, D.Lgs. 251 del 2007 di attuazione della direttiva 2004/83/CE garantisce la possibilità di accedere al pubblico impiego solo agli aventi lo status di rifugiato e non anche ai titolari dello status di protezione sussidiaria. In base all’articolo 26, paragrafo 3, della direttiva appena richiamata, gli Stati membri autorizzano invece i beneficiari dello status di protezione sussidiaria ad esercitare un’attività dipendente o autonoma nel rispetto della normativa generalmente applicabile alle professioni e agli impieghi nella pubblica amministrazione, non appena sia stato loro riconosciuto lo status di protezione sussidiaria. Ai sensi della predetta norma e alla luce di quanto ribadito dalla Corte di giustizia (causa C-149/79; causa C-290/94), al titolare dello status di protezione sussidiaria deve essere dunque garantito lo stesso accesso al pubblico impiego riconosciuto ai cittadini dello Stato interessato, salvo nel caso di attività che implicano la partecipazione all’esercizio di pubblici poteri o che abbiano ad oggetto la tutela di interessi generali dello Stato.

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