L’efficacia probatoria di un SMS

Redazione 22/01/20
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di Roberto Bonatti*

* Ricercatore dell’Università di Bologna

Sommario

1. L’efficacia probatoria dell’SMS approda in Cassazione: l’applicabilità dell’>art. 2712 c.c. secondo le ordinanze n. 5141/19 e n. 19155/19

2. Il rapporto tra art. 2712 c.c. e art. 20 codice amministrazione digitale e l’importanza interpretativa di quest’ultimo

3. Il disconoscimento del documento informatico privo di sottoscrizione e i suoi effetti

4. Anche il documento informatico non sottoscritto può essere prova scritta nel procedimento monitorio

1. L’efficacia probatoria dell’SMS approda in Cassazione: l’applicabilità dell’art. 2712 c.c. secondo le ordinanze n. 5141/19 e n. 19155/19

Era inevitabile che, prima o poi, anche la Cassazione si trovasse a che fare con le nuove tecnologie: rimasta immune al processo telematico, ancora di fatto inattivo davanti al giudice di legittimità, è tuttavia sempre più frequente che essa si trovi a dover prendere posizione su questioni sostanziali o processuali che abbiano attinenza con l’uso di nuove tecnologie. Anzi, può addirittura apparire strano che si sia dovuto attendere fino al 2019 per le prime pronunce (n. 5141/19 e n. 19155/19), a quanto consta, che abbiano affrontato il tema dell’efficacia probatoria dell’SMS, uno dei più datati strumenti offerti dai nuovi mezzi di comunicazione, oggi forse anche superato dall’immediatezza di una e-mail o da applicazioni più efficaci dello stesso SMS.

Che un SMS sia dotato di efficacia probatoria nel processo civile pare osservazione ovvia: la capacità di un SMS di dimostrare fatti e comportamenti non è certo diminuita dalla natura tecnologica dello strumento. Il punto è piuttosto dare risposta al quesito strettamente connesso con quell’ovvietà, e cioè quale sia la disciplina processuale dell’SMS come mezzo di prova e, correlativamente, quale sia l’efficacia probatoria da attribuire ad esso.

Questa domanda è obiettivamente molto meno semplice da affrontare. La ragione è principalmente dovuta al fatto che le norme del codice sono state pensate per i mezzi di prova per così dire tradizionali e che anzi sono rimasti gli unici mezzi di prova disponibili per molti decenni. È dunque indispensabile compiere un’operazione interpretativa delle norme che si profila talvolta abbastanza complicata, al fine di adattare la ratio delle stesse a mezzi di prova che presentano profili obiettivamente nuovi e non sempre compatibili con il testo letterale delle norme stesse.

La via interpretativa ritenuta legittima dalla Cassazione è stata indicata in due recenti ordinanze, pronunciate a pochi mesi di distanza l’una dall’altra. Questa, in sintesi, la posizione della Suprema Corte: un SMS è una riproduzione meccanica, nella specie delle riproduzioni informatiche, che ricade nel disposto dell’art. 2712 c.c.; essa pertanto fa prova dei fatti e delle cose che vi sono rappresentati, salvo il disconoscimento ad opera della parte contro cui esso è prodotto. Tale disconoscimento, peraltro, non può avvenire né con formule di stile né in modo generico, perché in questi casi il mezzo di prova mantiene la sua capacità dimostrativa e il giudice può porlo alla base della propria decisione. Infine, anche nel caso di una contestazione chiara, circostanziata ed esplicita, che consista cioè nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta, il giudice può comunque trarre elementi di convincimento dalla riproduzione contestata, dal momento che tale contestazione non produce gli effetti del disconoscimento di una scrittura privata (a norma dell’art. 215, comma 2, c.p.c.); cosicché, la riproduzione informatica contestata può essere accertata come conforme all’originale dal giudice, anche attraverso altri mezzi di prova comprese le presunzioni.

2. Il rapporto tra art. 2712 c.c. e art. 20 codice amministrazione digitale e l’importanza interpretativa di quest’ultimo

Questa interpretazione pare a mio avviso obbligata ed ha l’indubbio merito di offrire una risposta chiara e univoca al problema posto, ed inoltre di attribuire un effetto utile all’SMS ai fini del raggiungimento della prova nel processo. Essa presenta nondimeno qualche perplessità nell’individuazione delle norme applicabili alla fattispecie.

In effetti, nel contesto normativo attuale, a mio parere appare riduttivo avere fondato il ragionamento interpretativo esclusivamente su di una norma, l’art. 2712 c.c., che si occupa delle riproduzioni (meccaniche o informatiche non importa), anziché richiamare anche le norme specifiche relative al documento informatico contenute nel codice dell’amministrazione digitale (c.a.d., d.lgs. n. 82 del 7 marzo 2005). Quest’ultimo contiene infatti una definizione precisa di documento informatico, individuato come il documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti (art. 1, comma 1, lett. p). L’omissione appare rilevante perché è oggi attraverso questa disposizione che il documento informatico può essere senza dubbio considerato una riproduzione anche a norma dell’art. 2712 c.c.[1]: la definizione offerta dal c.a.d., infatti, è la medesima contenuta nella norma del codice civile (ora appositamente estesa anche alle riproduzioni informatiche).

Tuttavia, l’art. 2712 c.c. è applicabile all’SMS e ad ogni altro documento elettronico (privo di sottoscrizione informatica) soltanto attraverso il richiamo contenuto nell’art. 1, comma 1, lett. p) del c.a.d.; diversamente, infatti, sarebbe lecito dubitare che della sua natura di “riproduzione”. La riproduzione è per sua definizione una rappresentazione di fatti o atti, compiuti nella realtà materiale con altra forma (verbale, visiva, documentale). Essa, in sostanza, presuppone la diversità tra la fonte (verbale, visiva, documentale appunto) e il mezzo di prova (la sua riproduzione)[2].

Nel caso del documento informatico ed ovviamente anche dell’SMS, invece, non vi è alcuna distinzione tra fonte e mezzo di prova perché il fatto o l’atto da provare è incorporato nel documento informatico e ne rappresenta il suo contenuto oggettivo. Di conseguenza, non ha molto senso parlare di riproduzione informatica di atti o fatti, dato che il mezzo di prova è in questo caso un documento informatico privo di sottoscrizione digitale ed il suo contenuto non è la riproduzione di fatti o atti, bensì il testo scritto dal suo autore (ancorché non vi abbia apposto alcuna firma, neppure digitale)[3].

Ecco allora che il corretto ragionamento interpretativo deve necessariamente muovere dall’art. 1, comma 1, lett. p) del c.a.d. ed affermarne in via preliminare l’identità con il contenuto dell’art. 2712 c.c.: sennonché, questa necessaria premessa rimane implicita in entrambe le pronunce in commento, nessuna delle quali si cura di un ancorché rapido riferimento alle norme del c.a.d.

Prima della posizione della Cassazione, una parte della dottrina aveva in effetti addirittura dubitato dell’applicazione dell’art. 2712 c.c. al documento informatico privo di sottoscrizione digitale, ancorché fin dalla versione originale dell’art. 1 del c.a.d. esso era comunque definito come rappresentazione di fatti e atti giuridicamente rilevanti e nonostante proprio il c.a.d. avesse modificato l’art. 2712 c.c. al fine di includere nel suo campo di applicazione le riproduzioni informatiche[4].

L’interpretazione dubitativa aveva fatto leva sulla diversa disciplina riservata al documento informatico non sottoscritto dall’art. 20, comma 1 bis, del c.a.d.[5] in base al quale il valore probatorio del documento informatico privo di sottoscrizione di qualsiasi tipo può essere valutato liberamente dal giudice in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità[6]. Questa disposizione è chiaramente più favorevole all’uso anche processuale del documento informatico, dal momento che l’efficacia probatoria è sempre rimessa al giudice, a prescindere dall’eventuale disconoscimento opposto dalla parte contro cui è prodotto come invece indicato dall’art. 2712 c.c.

Si tratta peraltro di interpretazione fatta propria anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione stessa, la quale – proprio utilizzando gli artt. 20 e 21 del c.a.d. – ha distinto l’efficacia probatoria del documento informatico sottoscritto con firma c.d. forte (ossia con firma elettronica avanzata, firma elettronica qualificata o con firma digitale) da quella del documento informatico privo di sottoscrizione: nel primo caso, l’efficacia probatoria è quella della scrittura privata a firma autografa ex art. 2702 c.c., in base alla quale essi fanno piena prova fino a querela di falso della provenienza e delle dichiarazioni di chi li ha sottoscritti. Ai documenti informatici privi di sottoscrizione, invece, non può essere riconosciuto lo stesso valore legale dei primi, dal momento che ad essi può riconoscersi esclusivamente una funzione identificativa ma senza possibilità di attribuire efficacia di prova legale né alla provenienza (l’SMS, come una mera e-mail, può essere stato inviato da un soggetto diverso del titolare dell’utenza) né al suo contenuto (che potrebbe essere stato modificato da terzi durante il procedimento di trasmissione del messaggio) e neppure alla sua ricezione da parte del destinatario[7].

[1] La norma ha in sostanza avuto il merito di codificare le tesi della migliore dottrina, che si erano formate prima dell’introduzione del d.P.R. n. 513/97: v. MONTESANO, Sul documento informatico come rappresentazione meccanica nella prova civile, in Dir. Informaz. e informatica, 1987, p. 23 ss.; VERDE, Per la chiarezza di idee in tema di documentazione informatica, in Riv. Dir. Proc., 1990, p. 715 ss.; FRANCESCHELLI, Computer, documento elettronico e prova civile, in Giur. It., 1988, IV, p. 314 ss.; G.F. RICCI, Aspetti processuali della documentazione informatica, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1994, p. 863 ss.

[2] Ad esempio: la riproduzione audio di una conversazione tra due soggetti è il mezzo di prova di ciò che essi si sono detti ma la fonte resta il dialogo orale in quel dato contesto di luogo e di tempo (tanto che l’esistenza ed il contenuto della conversazione possono essere provati anche per testimoni). Oppure: la riproduzione fotografica di un luogo è il mezzo con il quale è possibile dimostrare lo stato esistente in un dato momento ma la fonte della prova resta il luogo (tanto che lo stato dei luoghi può essere dimostrato anche con altri mezzi di prova, come ad esempio l’ispezione). Il vantaggio delle riproduzioni è sostanzialmente duplice: quello di consentire la rappresentazione fedele di fatti e atti (nel senso che non è mediata dall’interpretazione o dalla descrizione fatta da un altro soggetto) e quello di permettere la duplicazione di tale rappresentazione, nel caso in cui sia utile la ripetizione di essa in più contesti di tempo e di luogo.

[3] MERONE, Il disconoscimento delle prove documentali, Torino, 2018, p. 202

[4] FINOCCHIARO, Ancora novità legislative in materia di documento informatico: le recenti modifiche al Codice dell’amministrazione digitale, in Contr. e impresa, 2011, p. 495 ss., spec. p. 500.

[5] Nel testo introdotto dal d.lgs. 4 aprile 2006, n. 159, successivamente sostituito dall’art. 13, comma 1, lettera b), del d.lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, dall’art. 17, comma 1, lettera c), del d.lgs. 26 agosto 2016, n. 179 e dall’art. 20, comma 1, lettera a), del d.lgs. 13 dicembre 2017, n. 217.

[6] MERONE, op. loc. cit., secondo il quale le scritture informatiche prive di sottoscrizione non abbiano la natura delle riproduzioni meccaniche e pertanto non possano essere ricondotte all’interno dell’art. 2712 c.c. e ricadono dunque esclusivamente all’interno dell’art. 116 c.p.c. come prove liberamente apprezzabili dal giudice; v. sul punto anche SILVESTRE, L’inattendibilità della “e-mail” tradizionale come documento informatico attestante la paternità del testo, nota a Cass. sez. lav. 8 marzo 2018, n. 5523, in Riv. It. Dir. Lav., 2018, 2, p. 590 ss.

[7] GRAZIOSI, Premesse ad una teoria probatoria del documento informatico, Riv. Trim. dir. Proc. civ., 1998, p. 514 ss.; FINOCCHIARO, Documento informatico, firma digitale e firme elettroniche, in ROSSELLO-FINOCCHIARO-TOSI (a cura di), Commercio elettronico, Torino, 2007, 982, ss.; GENTILI, Documento informatico e tutela dell’affidamento, Riv. Dir. Civ., 1998, II, 163 ss.; DE SANTIS, La disciplina normativa del documento informatico, in Corr. Giur., 1998, p. 392 ss.; PATTI, L’efficacia probatoria del documento informatico, Riv. Dir. Proc., 2000, p. 73 ss.

3. Il disconoscimento del documento informatico privo di sottoscrizione e i suoi effetti

La posizione della Cassazione assunta con le ordinanze in commento è comunque corretta nel suo risultato interpretativo. Lo conferma la correttezza della conclusione relativa alle conseguenze del disconoscimento: anche secondo il c.a.d., infatti, il disconoscimento di un documento informatico non sottoscritto non equivale, negli effetti, al disconoscimento di un documento (informatico) sottoscritto ed in particolare non risulta applicabile il meccanismo previsto dall’art. 215, comma 2, c.p.c.

Il disconoscimento di un documento informatico non sottoscritto produce semplicemente l’onere per il giudice di verificare l’attendibilità del suo contenuto, impedendo comunque gli effetti previsti dalla non contestazione ex art. 115 c.p.c.; in altri termini, in presenza di un documento informatico privo di sottoscrizione è sempre necessario che il giudice compia un’operazione, anche soltanto in via presuntiva, volta a verificare l’attendibilità dello stesso, sotto il profilo della provenienza, del suo contenuto e di ogni altro elemento utile alla decisione. Il risultato positivo di questa verifica è ovviamente agevolato nel caso in cui la parte contro cui la prova è prodotta disconosca l’SMS: in questo caso, la presunzione non può fondarsi sul comportamento processuale dell’altra parte, ma deve necessariamente basarsi sulle caratteristiche intrinseche del documento informatico, specialmente quelle relative alla sicurezza, all’immodificabilità e alla integrità (art. 20 c.a.d.).

Ancorché il disconoscimento non privi di efficacia probatoria il documento informatico non sottoscritto (come invece accade per la scrittura privata scritta o per il documento informatico sottoscritto), se la parte contro cui è prodotto intende disconoscere la capacità probatoria del documento informatico stesso deve tuttavia seguire le regole, anche giurisprudenziali, previste per il disconoscimento. Anche questa parte della motivazione è condivisibile, non foss’altro perché non sarebbe ragionevole prevedere regole per il disconoscimento differenziate tra documento sottoscritto e documento non sottoscritto. Ecco spiegato, allora, perché il disconoscimento non può essere generico, non può avvenire mediante formule di stile contenute nelle conclusioni degli atti di parte, non può limitarsi all’allegazione della falsità o della manomissione del documento stesso; deve, invece, includere elementi di fatto specifici che inducano il giudice, anche solo in via presuntiva, a negare attitudine dimostrativa ad un documento obiettivamente inaffidabile o comunque non sufficientemente certo.

4. Anche il documento informatico non sottoscritto può essere prova scritta nel procedimento monitorio

Le posizioni espresse dalla Cassazione appaiono anche in grado di risolvere in senso positivo l’ulteriore, connesso e conseguente problema circa l’idoneità di un SMS, una e-mail, un messaggio WhatsApp e in generale di ogni documento informatico privo di sottoscrizione digitale a rappresentare prova scritta ex art. 634 c.p.c. nella fase monitoria del procedimento per ingiunzione di pagamento.

La giurisprudenza di merito si è già da qualche tempo interrogata sul problema, giungendo nella maggior parte dei casi a qualificare l’SMS come documento informatico privo di sottoscrizione ai sensi dell’art. 20 c.a.d.; di conseguenza, all’applicabilità di questa norma consegue anche la regola per la quale il giudice può ritenere che questo mezzo di prova integri il requisito della prova scritta, sempre valutando (anche in via presuntiva) le caratteristiche di sicurezza, integrità e non modificabilità dello stesso[8].

I maggiori disallineamenti giurisprudenziali, tuttavia, riguardavano la qualifica delle e-mail come documento informatico privo di sottoscrizione oppure come documento informatico munito di firma elettronica c.d. leggera (mediante la combinazione di username e password riconducibili esclusivamente ad un solo soggetto). Tanto che alcune sentenze di merito avevano motivato la natura di prova scritta ex art. 634 c.p.c. alle e-mail soltanto qualificando le stesse come documento informatico con sottoscrizione elettronica, e non invece come documento non sottoscritto[9]. Questa impostazione però avrebbe però complicato la valorizzazione come prova scritta per molti altri documenti informatici per i quali la corrispondenza tra username e password, o comunque una firma elettronica c.d. leggera, non è facilmente ipotizzabili come, appunto, gli SMS.

Ecco allora evidente l’importanza dei provvedimenti in commento e della corretta valorizzazione dell’art. 20 c.a.d.: la qualificazione di prova scritta, anche ex art. 634 c.p.c., non è riservata soltanto al documento informatico munito di sottoscrizione (anche c.d. leggera) ma è proprio anche del documento informatico privo di sottoscrizione, sebbene in questo caso questa qualifica non sia automaticamente riconosciuta dalla legge ma avvenga soltanto per via mediata nel libero apprezzamento del giudice.

[8] Corte App. Roma, sez. III, n. 1278 del 21 febbraio 2019. Per parte sua, la Cassazione ha avuto modo di precisare che la valenza di prova scritta, ed addirittura di prova legale, non può invece essere negata se il documento informatico rispetta le regole tecniche di produzione e conservazione e che la sfera discrezionale di libero apprezzamento del giudice si espande soltanto quando il documento informatico prodotto non rispetta tali regole tecniche (Cass. lav., n. 3912 del 11 febbraio 2019).

[9] Trib. Milano, sez. V, n. 11402 del 18 ottobre 2016.

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