Le sopravvenienze da stralcio della debitoria nel concordato preventivo e la clausola del ritorno a miglior fortuna

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a cura di Edoardo D’Andrassi e Francesca Ventimiglia

Introduzione

Il quarto comma dell’articolo 160 l.fall. prevede che la proposta di concordato c.d. liquidatoria deve assicurare il pagamento di almeno il venti per cento dell’ammontare dei crediti chirografari ed esclude la medesima applicazione per il concordato con continuità aziendale regolamentato dall’art. 186-bis l.fall. Al riguardo, autorevole dottrina ha rilevato come tale previsione normativa evidenzi chiaramente la volontà del legislatore di favorire i concordati che siano in grado di prospettare una prosecuzione dell’attività economica dell’impresa in crisi, ancorché richiedano un maggior sacrificio economico ai creditori[1], al fine di ottenere nuovamente l’equilibrio economico e finanziario. In tale prospettiva, nell’ambito dei concordati preventivi con continuità aziendale ruolo primario è rivestito dalle sopravvenienze attive, derivanti dalla riduzione dei debiti, ottenute in ragione della domanda di concordato prima e, definitivamente, all’omologa dello stesso. Nel presente contributo si intende analizzare nello specifico tale ultima fase ove, a seguito dell’omologa della domanda di concordato, devono essere iscritte nella contabilità aziendale le citate sopravvenienze da stralcio dei debiti.

Sebbene tale aspetto sia prevalentemente di carattere contabile, appare evidente come rappresenti un elemento essenziale nelle operazioni volte a risanare l’equilibrio economico, patrimoniale e finanziario delle imprese; infatti, la corretta contabilizzazione dell’operazione in parola incide fortemente sul bilancio delle aziende oggetto dell’operazione di risanamento.

Benché lo stralcio della debitoria di cui godono le aziende per effetto dell’omologa del concordato sia un evento ormai consolidato, ci si domanda se sia possibile applicare la normativa adottata da altri Stati Europei denominata “clausola di miglior fortuna” al fine di comprenderne i possibili vantaggi: in altre parole, ci si chiede se nei casi in cui l’impresa consegua dei risultati migliori rispetto a quelli previsti nel piano concordatario, sia se indicati all’interno dello stesso, i c.d. upside, sia per eventi non preventivati, tali maggior valori non debbano essere messi a disposizione del ceto creditorio. Sin da subito appare opportuno rilevare che tali eventuali maggiori risorse, da prassi, non vengono inserite tra le somme a disposizione dei creditori in quanto, trattandosi di “utili sperati”, potranno essere indicati nella proposta dei creditori solo laddove effettivamente realizzati e, in ogni caso, qualora il piano con continuità aziendale preveda che le somme così realizzate vengano messe a disposizione del soddisfacimento dei creditori.

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Il trattamento contabile delle sopravvenienze

L’OIC 19 rubricato “Debiti”, che ha sostituito (rispetto al trattamento della tematica in commento) il precedente OIC 6 denominato “Ristrutturazione del debito e informativa di bilancio”, statuisce il trattamento contabile da riservare alle sopravvenienze da stralcio (o più propriamente “insussistenze del passivo.

Sebbene l’argomento trattato dal principio contabile sia particolarmente vasto, la disciplina delle sopravvenienze trova specifica previsione nei paragrafi da 73 a 73C. In particolare, al paragrafo 73 viene imposto l’obbligo per le imprese di eliminare totalmente o parzialmente il debito dalla situazione patrimoniale e, conseguentemente, dal bilancio allorquando “l’obbligazione contrattuale e/o legale risulta estinta per adempimento o altra causa, o trasferita”. Inoltre, nel medesimo paragrafo viene indicato come l’estinzione del debito originario e l’emissione di un nuovo debito nei confronti della stessa controparte definisca l’eliminazione della debenza dal bilancio esclusivamente se i termini contrattuali del debito originario divergono in modo sostanziale da quelli del debito successivamente emesso. Laddove, invece, il debito subisca una “variazione sostanziale dei termini contrattuali”, ad esempio derivante dalla difficoltà finanziaria del debitore contabilmente, si dovrà procedere con l’eliminazione del debito originario e con la contestuale iscrizione di un nuovo debito.

Il par. 73, inoltre, precisa che gli effetti dell’eliminazione contabile del debito si realizzano alla data in cui l’accordo tra le parti diviene efficace; in caso di concordato preventivo ex art. 161 l.fall. tale data corrisponde all’omologa da parte del Tribunale.

La differenza tra il valore del debito originario e il valore del “nuovo” (minor) debito genera un componente positivo di reddito (che deve essere rilevato in Conto Economico secondo quanto indicato nel paragrafo “ulteriori precisazioni sul procedimento di contabilizzazione”).

Ai fini della rilevazione contabile del componente positivo di reddito risultante dalla differenza tra il debito originario e il “nuovo” debito, l’OIC 19 stabilisce due distinti trattamenti in base alla modalità di contabilizzazione del debito: i) secondo il criterio del costo ammortizzato; ii) secondo altri criteri.

Nel caso di cui al punto sub i), il citato principio contabile nazionale, al paragrafo 73B, prevede che con l’eliminazione del debito dalla situazione patrimoniale aziendale, il valore di rilevazione del nuovo debito debba essere effettuata sulla base del principio del costo ammortizzato[2] e, pertanto, è soggetto all’attualizzazione. La differenza tra il valore del nuovo debito nella situazione patrimoniale e quello del debito originario rappresenta un utile o, a contrario, una perdita da iscriversi nel conto economico rispettivamente tra i proventi o tra gli oneri finanziari. Si rappresenta, al riguardo, che i costi di transazione devono essere rilevati in conto economico, a seconda dei casi, come porzione dell’utile o come parte della perdita di esercizio.

Laddove venga utilizzato un differente criterio per la contabilizzazione del nuovo debito, l’impresa dovrà iscrivere un componente positivo di reddito pari alla differenza tra il valore di iscrizione iniziale del nuovo debito e l’ultimo valore contabile del debito originario successivamente eliminato, tra i proventi finanziari. È opportuno rilevare che i costi di transazione vanno rilevati in contabilità nell’esercizio in cui si gode del beneficio[3].

Con riferimento all’impiego del costo ammortizzato il documento “Aspetti contabili della ristrutturazione dei debiti alla luce del nuovo OIC 19” redatto dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, in estrema sintesi indica che allorquando interviene l’eliminazione del debito dalla situazione patrimoniale di un’impresa, il valore di iscrizione iniziale della passività che lo sostituisce deve seguire le regole di rilevazione iniziale dei debiti soggetti ad attualizzazione. Invece, per le imprese che non applicano tale criterio di contabilizzazione, il citato documento indica che “la riduzione dell’ammontare del debito da rimborsare genera un provento finanziario come differenza tra il valore di iscrizione iniziale del nuovo debito e l’ultimo valore contabile del debito originario. In tutti e due i casi la differenza tra il valore di iscrizione iniziale del nuovo debito e l’ultimo valore contabile del debito originario costituisce un componente di reddito dell’esercizio in cui si verificano gli effetti della ristrutturazione del debito, da rilevare fra i proventi o, con meno probabilità, fra gli oneri finanziari”.

L’applicazione dell’OIC 19 in sede di concordato preventivo con continuità aziendale omologato appare indubbia, infatti:

  • si è verificato l’evento (e. l’omologa del concordato) al decorrere del quale è necessario, secondo la normativa di riferimento (OIC 19), eliminare il debito c.d. stralciato mediante la rilevazione di un componente positivo di reddito in Conto Economico;
  • l’obbligazione contrattuale per la parte stralciata può definirsi estinta. Infatti, anche nei casi di concordati c.d. misti ove è prevista la continuità aziendale ma allo stesso tempo la cessione di taluni cespiti non strategici alla prosecuzione dell’attività con l’omologazione del concordato l’impresa torna in bonis e sarà obbligata a dare esecuzione a quanto stabilito nel piano[4]. In altri termini, la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, alle quali gli scriventi ritengono di uniformarsi, indicano che l’effetto esdebitativo del concordato si verifichi con l’omologa[5]. Difatti con il decreto di omologazione del concordato preventivo in continuità, il governo dell’impresa viene restituito all’organo gestorio e ciò costituisce, sul piano formale, come si desume del resto dalla rubrica dell’art. 181 della legge fallimentare, la “chiusura della procedura” (concorsuale). A tal proposito la giurisprudenza di legittimità ha affermato che dalla data di emissione del decreto di omologazione la procedura concordataria non può più essere considerata pendente salvo il caso in cui un creditore assente avanzi istanza di risoluzione ex 186 l.fall. (Cass., VI, 10 febbraio 2016, n. 2695), specificando altresì che, conclusa la procedura concordataria, le pretese dei singoli creditori o del debitore stesso che concernono l’esecuzione del concordato, danno luogo a dispute che sono sottratte all’autorità del giudice delegato e che rientrano nella competenza di un ordinario giudizio di cognizione da promuovere innanzi al giudice competente (così Cass., I, 14 giugno 2016, n. 12265[6]). È bene precisare che il piano, a norma dell’art. 184 l.fall., acquisisce efficacia anche nei confronti dei creditori che non abbiano espresso alcun voto oppure si siano espressi con voto contrario[7];
  • i termini contrattuali del debito originario differiscono in maniera sostanziale da quelli del debito emesso. Al riguardo, si precisa che l’OIC 19 non indica parametri quantitativi atti ad indentificare una “modifica sostanziale”, laddove, l’IFRS 9 statuisce che possa parlarsi di difformità sostanziale allorquando il valore attualizzato dei flussi finanziari secondo i nuovi termini si scosti come minimo del 10% dal valore attualizzato dei restanti flussi finanziari della passività finanziaria originaria. Ebbene, ai fini della determinazione della sostanzialità sarà opportuno, adeguandosi alla regolamentazione contabile internazionale, procedere ad attualizzare i flussi finanziari. Giova evidenziarsi però come in tutti i casi in cui nel piano concordatario sia prevista una soddisfazione dei crediti chirografari molto contenuta, la sostanzialità potrebbe essere in prima istanza valutata sulla base delle indicazioni del piano in quanto lo stralcio dei debiti previsto conduce a un valore del debito che si discosta, nella maggior parte dei casi, di oltre il 10% rispetto al valore originario.

Sgomberato il campo circa l’obbligatorietà per le società per le quali viene omologata la proposta concordataria di rilevare un componente positivo di reddito derivante dallo stralcio del debito concordatario, è opportuno soffermarsi sulla circostanza di prevedere lo stralcio nel caso in cui nel piano concordatario siano considerati degli upside che potrebbero consentire, al loro realizzarsi, un maggior soddisfacimento dei creditori.

Ebbene, l’esistenza di maggiori attivi potenziali, sebbene indicati e quantificati nel piano concordatario, non costituisce di per sé un esimente dal rilevare un componente positivo di reddito connesso allo stralcio dei citati debiti. Tale affermazione sembra confermata dalla normativa fallimentare che non richiede all’attestatore del concordato di esprimere un proprio giudizio su tali upside in considerazione del fatto che non rientrano nel piano e non influenzano la manovra economica e finanziaria. In tale prospettiva, non effettuare lo stralcio della debitoria a fronte di eventuali maggiori ricavi non “verificati” appare quantomeno azzardato. Inoltre, non è da sottacere la circostanza per la quale in sede di esecuzione del concordato si possono verificare anche elementi negativi non adeguatamente valutati in sede di proposta che potrebbero bilanciare i potenziali maggior valori derivanti dagli upside.

 

La clausola di miglior fortuna

Analizzata la regolamentazione da applicarsi in sede di concordato con continuità aziendale alle sopravvenienze derivanti da stralcio della debitoria chirografaria, appare opportuno verificare se nel nostro ordinamento, in presenza di upside di piano, si possa ritenere applicabile la clausola del “ritorno a miglior fortuna”. Tale clausola prevede una rinuncia al credito in condizioni sospensive che vengono meno qualora le condizioni del debitore migliorino, salvo, ovviamente, il rispetto di tutti gli altri termini di piano. Inoltre, si vuole comprendere quali potrebbero essere gli impatti derivanti dall’introduzione della citata clausola. Sebbene sia agilmente rilevabile come nel nostro ordinamento non esista una clausola del “ritorno a miglior fortuna”, Paesi a noi vicini quali la Francia e la Svizzera la utilizzano e, in tale prospettiva, atteso il rinvio dell’entrata in vigore della maggior parte delle previsioni del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, tale previsione potrebbe essere in futuro applicata nella nostra disciplina[8]. In aggiunta, è doveroso rappresentare che negli ultimi anni diverse imprese italiane, specialmente di grandi dimensioni, hanno integrato la proposta ai creditori con gli Strumenti Finanziari Partecipativi prevedendo, in taluni casi, un rimborso integrale del credito, sebbene dilazionato nel tempo.

Gli scriventi ritengono che l’applicazione della “clausola di miglior fortuna” e, in generale, di strumenti che consentano di mitigare i danni patiti dai creditori e di non avvantaggiare l’impresa che presenti la domanda di concordato potrebbero rappresentare un punto di svolta per la disciplina concordataria. Infatti, laddove non fosse prevista la distribuzione al ceto creditorio dei possibili upside previsti nel piano, nei casi in cui al termine del periodo di previsione esplicita questi si verifichino, la società con la proposta concordataria avrebbe il duplice vantaggio di stralciare la debitoria all’omologa del concordato e di non distribuire ai creditori le ulteriori somme incassate. Occorre sul punto rilevare come i danni patiti dai creditori sociali siano spesso di portata rilevante e in molti casi possano condurre a gravi situazioni di squilibri economico finanziario atteso il mancato incasso dei crediti vantati e, allo stesso tempo, alla diminuzione dei volumi di fatturato legata alla situazione di crisi dell’impresa cliente.

In tale prospettiva, ci si chiede se la “clausola di miglior fortuna” possa essere applicata in via analogica in ragione del fatto che l’OIC 11, par. 4, prevede che sia possibile ricorrere ad altri principi nel caso in cui quelli emanati dall’OIC non contengano una disciplina per fatti aziendali specifici.

Nel caso di specie, però, come ampiamente rappresentato, l’OIC 19 regolamenta il trattamento contabile da riservare alle sopravvenienze da stralcio e, in tale prospettiva, con l’omologa del concordato l’obbligazione, e quindi il debito preconcordatario, può ragionevolmente ritenersi estinta. In altre parole, il debito oggetto di stralcio cessa di rappresentare una passività per la società proponente il concordato in quanto sostituita da una nuova. Ad ogni buon conto, è doveroso rilevare che, nei casi in cui i piani prevedano espressamente la possibilità di destinare un eventuale surplus finanziario ai creditori chirografari, nel caso – meramente ipotetico – di overperformance del piano (ossia, nel caso in cui per effetto degli upside la società produca un excess cash flow), le imprese potranno valutare tempo per tempo, con il consenso dei Commissari Giudiziali, la possibilità di effettuare idonei accantonamenti da destinare alla soddisfazione del ceto creditorio verificandone il conseguente trattamento contabile.

L’adozione della “clausola di miglior fortuna”, invece, consentirebbe di uniformare il trattamento dei creditori – a prescindere dalla previsione in merito alla distribuzione di eventuali surplus – e di redistribuire le attività che l’impresa è stata in grado di generare, anche grazie ai sacrifici, non sempre esclusivamente di carattere monetario, patiti dai creditori.

A parere degli scriventi, pertanto, si ritiene che – sebbene sia auspicabile che il Legislatore tenga in considerazione la possibilità di prevedere “la clausola di miglior fortuna” al fine di ripartire nella filiera le eventuali overperformance del piano e di mitigare gli effetti negativi che l’indotto subisce per effetto dell’omologa di una domanda di concordato preventivo – al momento, le aziende siano obbligate a rilevare la sopravvenienza derivante dallo stralcio del debito e a non mantenere nella contabilità aziendale debenze che potrebbero venire soddisfatte per effetto del realizzarsi degli upside. Con l’attuale normativa, infatti, la scelta di onorare o meno il debito preesistente deriva esclusivamente da valutazioni “di convenienza” effettuate dall’imprenditore e condivise dai Commissari Giudiziali.

Conclusioni

Nel presente elaborato, dopo aver analizzato il trattamento contabile che regolamenta l’iscrizione delle sopravvenienze derivanti dallo stralcio dei debiti all’interno delle procedure di concordato preventivo e, in particolare, di quelle in continuità aziendale, si è ipotizzato l’impiego di una clausola, prevista per taluni Stati europei, denominata “di miglior fortuna”, volta a salvaguardare le pretese creditorie originarie dei creditori della società proponente la domanda di concordato.

Le analisi effettuate hanno confermato che con l’attuale normativa, che non prevede la possibilità di onorare i debiti stralciati a seguito dell’omologa del concordato preventivo, la “clausola di miglior fortuna” non può essere applicata neanche in via analogica. La possibilità di soddisfare in misura superiore rispetto alla proposta i creditori sociali redistribuendo le maggiori somme ottenute dall’impresa proponente il concordato per effetto del realizzarsi dei previsti upside di piano dovrebbe essere considerata dal Legislatore nell’adeguamento del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza in quanto potrebbe consentire di perseguire lo scopo principale delle procedure concorsuali: il risanamento aziendale nel rispetto dei creditori sociali.

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Note

[1] Sandulli M., La rilevanza del livello di soddisfacimento dei creditori (le percentuali concordatarie), Sandulli M., D’Attorre G. (a cura di), La nuova mini-riforma della legge fallimentare, Giappichelli, Torino, 2016.

[2] Il criterio del costo ammortizzato è stato introdotto in Italia con il D.Lgs. n. 139 del 2015. Come indicato da Baldassera (Baldassera A., Profili critici relativi al criterio del costo ammortizzato per la valutazione dei debiti di finanziamento, Economia Aziendale Online –Business and Management Sciences International Quartely Review, Vol. 9.3, 2018, pp. 291-318), l’adozione di tale criterio di valutazione ha costituito una significativa innovazione, sia metodologica, in considerazione del ridotto utilizzo delle procedure finanziarie nella prassi contabile nazionale, sia teorica, attesa la logica valutativa peculiare del criterio. Con riferimento al primo punto, tuttavia, sono state rilevate le maggiori criticità. Infatti, il criterio del costo ammortizzato risulta incoerente per la logica – non finanziaria – degli altri criteri di valutazione. La dottrina, sul punto, ha rilevato che sarebbe opportuno, al fine di osservare i benefici di tale nuovo approccio, estendere il criterio finanziario al fine di armonizzare le diverse aree del bilancio e, conseguentemente, i postulati e i principi di redazione dello stesso. Sul punto, Quagli ha rilevato che l’applicazione di metodologie valutative nuove rispetto alla prassi nazionale non deve essere effettuata per singole poste bilancistiche quanto, piuttosto, mediante l’introduzione di un nuovo quadro concettuale in grado di rendere più finanziaria l’ottica dei prospetti di bilancio. Cfr. Quagli, A., Bilancio di esercizio e principi contabili, Giappichelli, Torino, 2017, p. 53.

[3] Cfr. IOC 19, par. 73C.

[4] Per approfondimenti sul tema si veda: Sandulli M., La rilevanza del livello di soddisfazione dei creditori, in (a cura di) Sandulli M., D’Attorre G., La nuova mini-riforma della Legge Fallimentare, Giappichelli, Torino, 2016, p. 112 e ss.

[5] Sul punto si vedano per tutti: Vitiello, Gli effetti del concordato, in Il Concordato Preventivo, a cura di Ambrosini- Demarchi-Vitiello, Zanichelli, 2009, p.219 e Mattii, Il concordato preventivo, a cura di Villanacci, Cedam, 2010, p.297 ss.

[6] Biamonte A., Decreto di omologazione del concordato: presupposto di chiusura della procedura e condizione di legittimità dell’ammissione ad agevolazioni, Diritto & Diritti, 2018.

[7] Sulle problematiche legate al voto nel concordato si vedano in senso più ampio: Ambrosini S., Problemi in tema di voto nel concordato preventivo, Fallimenti e Società”, 2017 e D’Attorre G. Il voto sulla proposta di concordato, Sandulli M., D’Attorre G. (a cura di), La nuova mini-riforma della legge fallimentare, Giappichelli, Torino, 2016. pp. 257-266.

[8] È doveroso rilevare, infatti, che il Decreto Liquidità ha modificato l’articolo 389 del CCII rinviando l’entrata in vigore della norma al 1.09.2021. Non è da sottacere che il differimento dell’entrata in vigore del CCII potrà consentire di allinearlo alla normativa di attuazione della Direttiva n. 1023/2019. È di tutta evidenza che il citato rinvio non può incidere sulle disposizioni normative già in vigore quali l’art. 375 (in tema di “Assetti Organizzativi”) e l’art. 379 (in tema di “Nomina degli Organi di Controllo”). Per maggiori informazioni si veda, al riguardo, Braga M., Codice della crisi d’impresa: entrata in vigore il 1° settembre 2021, Altalex, contributo consultabile su: https://www.altalex.com/documents/news/2020/06/30/codice-crisi-impresa-entrata-vigore-1-settembre-2021.

Edoardo D’Andrassi

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