Le Sezioni Unite stabiliscono il termine di decadenza per la riproposizione ex art. 346 c.p.c.

Redazione 29/05/19
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di Alessia D’Addazio*

* Dottoranda in Diritto processuale civile presso l’università Sapienza di Roma

Sommario

1. Premessa.

2. Lo svolgimento del giudizio di merito che ha condotto alla pronuncia nomofilattica

3. La disciplina processuale applicabile ratione temporis e la sua irrilevanza nella cornice logica della sentenza delle Sezioni Unite

4. Percorsi logici dell’ordinanza interlocutoria e della sentenza delle Sezioni Unite

5. Osservazioni

1. Premessa

Con l’ordinanza interlocutoria 7 dicembre 2017, n. 29499, la Terza Sezione della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la questione se – nel sistema delle preclusioni introdotto dal D.L. n. 432/1995, convertito con L. n. 534/1995, in forza del combinato disposto degli artt. 346, 347, 166 e 167 cod. proc. civ. – la domanda di garanzia o di regresso condizionata all’accoglimento della domanda principale già respinta in primo grado debba essere riproposta all’appellato, a pena di decadenza, con la tempestiva costituzione in appello e, cioè, entro i termini stabiliti per la costituzione nei procedimenti davanti al tribunale oppure se, in mancanza di una barriera preclusiva, la riproposizione possa essere effettuata anche successivamente e fino alla precisazione delle conclusioni.

Il contrasto viene composto dalle Sezioni Unite con ampliamento del perimetro oggettivo delineato dall’ordinanza di remissione (limitata alla disciplina processuale previgente e alle sole domande di garanzia e regresso, con esclusione delle eccezioni) [1] con affermazione del seguente principio di diritto: “Nel processo ordinario di cognizione risultante dalla novella di cui alla L. n. 353 del 1990, e dalle successive modifiche, le parti del processo di impugnazione che costituisce pur sempre una revisio prioris istantiae nel rispetto dell’autoresponsabilità e dell’affidamento processuale, sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia (al di fuori delle ipotesi di domande e di eccezioni esaminate e rigettate, anche implicitamente, dal primo giudice, per le quali è necessario proporre appello incidentale: art. 343 c.p.c.), a riproporre ai sensi dell’art. 346 c.p.c., le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite, con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza, trattandosi di fatti rientranti già nel thema probandum e nel thema decidendum del giudizio di primo grado“.

La questione attinente al termine finale entro il quale la riproposizione ex art. 346 cod. proc. civ. può essere formulata è stata per lungo tempo variamente e difformemente risolta, con una spinta restrittiva fornita dalla dottrina, che ha per lo più escluso che la riproposizione potesse essere formulata nel corso del giudizio di appello financo in sede di precisazione delle conclusioni [2] , e un orientamento più estensivo invocato dalla giurisprudenza maggioritaria. Nell’ordinanza interlocutoria viene espressa la preferenza per la soluzione che consente la riproposizione entro la costituzione dell’appellato tempestivamente depositata, definita “maggiormente corrispondente al principio costituzionale della ragionevole durata del processo”, per mezzo del richiamo a varie argomentazioni che vengono in gran parte e sinteticamente riprese, per adesione o per scostamento, dalle Sezioni Unite, le quali, sulla scorta di un “contemperamento del principio del giusto processo inteso ad una più rapida decisione della causa con le altre garanzie”, giungono ad accogliere una soluzione restrittiva “a metà” rispetto a quella più restrittiva invocata dalla sezione rimettente, ammettendo che formulazione della riproposizione possa avvenire entro il primo atto difensivo dell’appellato e sino alla prima udienza in caso di costituzione tardiva, con esonero dall’obbligo del rispetto del termine di decadenza di venti giorni prima dell’udienza ex art. 350 c.p.c.

La pronuncia delle Sezioni Unite in esame si colloca nel solco di una giurisprudenza di legittimità molto attenta negli ultimi anni a circoscrivere e definire i meccanismi di funzionamento degli istituti che governano il giudizio di appello [3] . Tra questi, la riproposizione ha occupato un ruolo non marginale, per via degli incerti confini che la separano dall’istituto dell’appello incidentale, della tormentata e rischiosa nozione di “giudicato interno”, poi corretta da quella, più equilibrata, di “preclusione processuale”, della difficoltà esegetica dell’espressione “non accolte” di cui all’art. 346 c.p.c., e del dubbio sull’identificazione del termine di decadenza per la sua formulazione. Così, dal 2016 al 2019 si sono susseguiti tre interventi delle Sezioni Unite che hanno risolto alcune delle problematiche interpretative connesse a tale istituto [4] . L’intervento del 2016, sottolineando l’irrilevanza della qualificazione dell’appello quale revisio prioris istantiae ovvero novum judicium per il profilo oggetto di esame, ha precisato che “al concetto di riproposizione deve ritenersi estraneo ogni profilo di deduzione di una critica alla decisione impugnata”, essendo limitato ad una proposizione al giudice di appello di domande od eccezioni così come esse sono state poste in primo grado (conclusosi con rituale assorbimento di tali domande ed eccezioni) e con conseguente riconducibilità all’onere di impugnazione incidentale, in caso di vittoria in primo grado, anche delle eccezioni che siano state implicitamente, ma “chiaramente ed inequivocamente”, rigettate [5] . L’anno successivo le Sezioni Unite, riconfermando l’adesione alla tesi riduttiva dell’art. 346 c.p.c. nel senso di escludere la riproposizione in tutti i casi in cui le domande ed eccezioni non siano state legittimamente assorbite (con onere di impugnazione in caso di pretermissione della domanda o eccezione e di implicito rigetto delle stesse) nonché la natura dell’appello quale revisio prioris istantiae [6] , hanno individuato il campo di operatività del potere-dovere di rilievo d’ufficio delle eccezioni di cui all’art. 345 cpv., c.p.c., sulla premessa che sull’eccezione non esaminata in primo grado non si forma il giudicato ex art. 329 cpv., c.p.c., così affermando che il rilievo d’ufficio dell’eccezione in senso lato da parte del giudice investito del giudizio di appello concorre o con l’onere di impugnazione incidentale, qualora il convenuto (o l’attore che abbia formulato eccezione in senso lato avverso la domanda riconvenzionale ex adverso spiegata) sia soccombente in primo grado, o con l’onere di riproposizione, in caso di sua totale vittoria.

Di qui la terza pronuncia, su cui ci si sofferma brevemente a riflettere in questa sede, che, specificando ancora una volta la natura dell’appello quale revisio prioris istantiae (e confermando in obiter dicta taluni dei principi di recente affermazione appena richiamati) vira la propria angolatura sul profilo temporale del termine di decadenza previsto per la riproposizione. Con stile piano, talvolta frettoloso, le Sezioni Unite giungono in poche pagine a fornire una soluzione sicuramente ragionevole, fedele agli auspici della dottrina e ancora una volta allo stendardo della ragionevole durata del processo quotidianamente invocato dalle pronunce di stampo nomofilattico, ma anche, forse, espressiva di una ormai conclamata tendenza alla creazione giurisprudenziale della regula iuris.

[1] Come auspicato da Godio, La riproposizione ex art. 346 c.p.c. ritorna alle SS. UU.: v’è un termine di decadenza anteriore all’udienza di p.c. (e se sì, quale?), nota a Cass. civ., ord. 7 dicembre 2017, n. 29499, in Corr. giur., 2018, 2, 235 ss.

[2] A titolo esemplificativo, Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Torino, 2017, 445; Attardi, Le nuove disposizioni sul processo civile, Padova, 1991, 151; Luiso, Diritto processuale civile, II, Milano, 2013, 389.

[3] Tra le più rilevanti, v. Cass. civ., Sez. Un., 4 maggio 2017, n. 10790 in tema di prova nuova ammissibile in appello secondo il ristretto canone di cui all’art. 345, comma 1, c.p.c.; Cass. civ., Sez. Un., 19 aprile 2016, n. 7700, relativa al rapporto tra riproposizione e appello incidentale nelle domande di garanzia; Cass. civ., Sez. Un., 16 novembre 2017, n. 27199 con riferimento alla corretta interpretazione dei canoni di specificità prescritti dagli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012 e Cass. civ., Sez. Un., 12 maggio 2017, n. 11799 sulla possibilità di rilievo officioso da parte del giudice dell’impugnazione delle eccezioni in senso lato, in caso di previa formulazione da parte del convenuto nei gradi precedenti e relativo assorbimento o rigetto o mancato rispetto della gradazione di eccezioni formulata dal convenuto.

[4] Cass. civ., Sez. Un., 19 aprile 2016, n. 7700; Cass. civ., Sez. Un., 12 maggio 2017, n. 11799 e Cass. civ., Sez. Un., 21 marzo 2019, n. 7940, oggetto del presente esame. Più risalente ma di fondamentale importanza in relazione al profilo del rapporto tra proposizione e appello con riferimento all’eccezione di giurisdizione respinta in primo grado ma con vittoria nel merito, v. Cass. civ., Sez. Un., 16 ottobre 2008, n. 25246 (intervenuta una settimana dopo la “storica” Cass. civ., Sez. Un., 9 ottobre 2008, n. 24883, che ha annullato l’operatività dell’art. 37 c.p.c., sostanzialmente abrogandone la parte in cui prescrive la rilevabilità del difetto di giurisdizione “in ogni stato e grado”).

[5] Consolo – Godio, Un ambo delle Sezioni Unite sull’art. 345 (commi 2 e 3). le prove nuove ammissibili perché indispensabili (per la doverosa ricerca della verità materiale) e le eccezioni (già svolte) rilevabili d’ufficio, nota a Cass. civ., Sez. Un., 4 maggio 2017, n. 10790 e Cass. civ., Sez. Un., 12 maggio 2017, n. 11799, in Corr. giur., 2017, 11, 1416. V. altresì Consolo, Breve riflessione esemplificativa (oltre che usi totalmente adesiva) su riproposizione e appello incidentale, nota a Cass. civ., Sez. Un., 19 aprile 2016, n. 7700, in Corr. giur., 2016, 7. Invero appartiene alla successiva pronuncia Cass. 16 novembre 2017, n. 27199 l’espressione “l’art. 346 c.p.c. con l’espressione eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado (…) intende riferirsi all’ipotesi in cui l’eccezione non sia stata dal primo giudice ritenuta infondata nella motivazione né attraverso un’enunciazione in modo espresso, né attraverso un’enunciazione indiretta, ma chiara e inequivoca“.

[6] Par. 5.1. Cass. civ., Sez. Un., 16 novembre 2017, n. 27199.

2. Lo svolgimento del giudizio di merito che ha condotto alla pronuncia nomofilattica

La fattispecie sostanziale sottesa alla pronuncia in esame trae origine da un incidente sciistico che aveva coinvolto due minori in gita scolastica, con conseguenti lesioni riportate da uno dei due. I genitori del minore rimasto ferito convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Verona i genitori dell’altro minore che aveva cagionato le lesioni per ottenere il risarcimento del danno. I convenuti allora chiamavano in causa l’Istituto Scolastico che aveva organizzato la gita, invocandone la responsabilità per omessa vigilanza ai sensi dell’art. 2048 c.c., unitamente a due compagnie assicurative. L’Istituto Scolastico, a sua volta, chiamava in causa la propria compagnia assicurativa per essere manlevato in caso di condanna. A seguito del rigetto in primo grado della domanda degli attori, questi ultimi proponevano appello dinanzi alla Corte d’appello di Venezia. Gli appellati provvedevano, dunque, a riproporre le rispettive domande di manleva con comparsa depositata il 25 ottobre 2006, cioè meno di venti giorni prima dell’udienza fissata per l’8 novembre 2006. A definizione del giudizio di appello, la Corte d’appello di Venezia, in riforma della sentenza impugnata, accoglieva la domanda degli attori mentre dichiarava inammissibile, in quanto tardivamente proposto, l’implicito appello incidentale svolto dagli appellati con riferimento alle domande di manleva svolte in primo grado. Avverso tale pronuncia, dunque, gli originari convenuti proponevano ricorso per cassazione. Di qui la rimessione alle Sezioni Unite da parte della Sezione Terza, la quale, dopo aver affermato l’erroneità della qualificazione, operata dalla corte d’appello di Venezia, dell’attività svolta dagli appellati quale implicito appello incidentale anziché di riproposizione, in ragione dell’assorbimento delle domande di manleva svolte in primo grado, ha ritenuto, comunque, indispensabile stabilire se le domande dei ricorrenti fossero state tempestivamente riproposte in appello, atteso che la suddetta riproposizione era contenuta nella comparsa di costituzione e risposta ex art. 347 c.p.c. depositata oltre il termine di 20 giorni dall’udienza ex art. 350 c.p.c.

3. La disciplina processuale applicabile ratione temporis e la sua irrilevanza nella cornice logica della sentenza delle Sezioni Unite

L’ordinanza interlocutoria si sofferma poi, anche nell’ottica di circoscrivere la materia devoluta all’esame delle Sezioni Unite, sulla disciplina processuale applicabile alla causa ratione temporis e segnala l’opportunità di verificare se la disciplina processuale applicabile alla causa – vale a dire quella vigente all’indomani della riforma del 1995 (D.L. 18 ottobre 1995, n. 432, conv. con mod. dalla L. 20 dicembre 1995, n. 534) che ha irrigidito la dinamica del processo con l’introduzione del meccanismo delle preclusioni processuali, ma antecedente alla successiva riforma del 2005 (D.L. 14 marzo 2005, n. 35, conv. dalla L. 14 maggio 2005, n. 80), che ha abolito l’udienza di comparizione di cui all’art. 180 c.p.c. (unificandola all’udienza di trattazione ex art. 183 c.p.c.) e modificato l’art. 167 c.c., introducendo l’obbligo di formulare tempestivamente, ossia nel termine di cui all’art. 166 c.p.c., a pena di decadenza, le eccezioni di rito e di merito non rilevabili d’ufficio – sia tale da prescrivere una barriera preclusiva per l’onere di riproposizione delle domande nei confronti dell’appellante o di altri appellati. In tale senso, dunque, la sezione rimettente si guarda bene dal formulare una richiesta più ampia di quella necessaria a risolvere la fattispecie sostanziale rimessa al suo esame [7] , escludendo dal perimetro oggettivo della remissione le eccezioni in senso stretto e la disciplina processuale applicabile a seguito della riforma del 2005. È ciò, da un lato perché ciò che era stato erroneamente dichiarato inammissibile dalla sentenza d’appello impugnata era un presunto appello incidentale riferito a una domanda di manleva già posta in primo grado, che andava invece qualificato come riproposizione (stante il rituale assorbimento compiuto dal giudice di primo grado); dall’altro lato, perché la disciplina processuale applicabile ratione temporis era tale da escludere le eccezioni in senso stretto dalla decadenza di cui agli artt. 166 e 167 c.p.c., essendovi una doppia barriera preclusiva che consentiva di formulare le eccezioni in senso stretto sino alla memoria successiva all’udienza di prima comparizione ex art. 180 c.p.c., entro venti giorni prima dell’udienza di trattazione. Sotto tale profilo, quindi, l’ordinanza espressamente avverte che “difettando nel secondo grado un termine intermedio tra le udienze di comparizione e di trattazione, la barriera preclusiva del primo grado non era compatibile con l’appello e, perciò, le eccezioni potevano essere riproposte ex art. 346 c.p.c. fino all’udienza di precisazione delle conclusioni” e poi puntualmente avverte che, a seguito della riforma del 2005, siffatta differenza non è più percepibile e pertanto anche per le eccezioni in senso stretto deve ritenersi applicabile la barriera preclusiva della comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata [8] .

Con riferimento a tale profilo, la pronuncia delle Sezioni Unite amplia i confini tracciati dall’ordinanza di remissione includendo le eccezioni nel perimetro del principio di diritto che viene affermato e allo stesso tempo “svilisce” l’argomento inerente all’evoluzione della disciplina processuale delle preclusioni focalizzato dall’ordinanza interlocutoria, la quale, appunto, ha fondato la suggerita soluzione “iper-restrittiva” sull’applicazione all’appello delle barriere preclusive individuate dall’art. 167 c.p.c. per il giudizio di primo grado prima e dopo la riforma ad opera del D.L. 35/2005, da ammettersi sulla base del rinvio operato dall’art. 347 c.p.c. e previa valutazione di compatibilità secondo quanto disposto dall’art. 359 c.p.c.

In effetti, le Sezioni Unite hanno, seppure senza troppo fragore e dispendio di parole, negato la possibilità di traslare in appello tali preclusioni, non ravvisando alcuna compatibilità (nel senso individuato dall’art. 359 c.p.c.) tra i termini di decadenza per le domande ed eccezioni in primo grado e la riproposizione in appello, così concretamente tralasciando la valutazione dell’evoluzione normativa dei termini di decadenza in primo grado per le domande e le eccezioni suggerita dalla sezione rimettente quale chiave interpretativa per la soluzione della questione. La decadenza per la riproposizione viene così spostata ad un momento posteriore (primo atto difensivo non oltre la prima udienza di comparizione) rispetto al termine individuato dall’art. 167 c.p.c., sul presupposto che l’attività di riproposizione vada inscritta nella categoria delle “mere difese” [9] e non in quella delle eccezioni, così escludendo una sua qualificazione “ontologicamente avvicinabile a quella di formulazione di riconvenzionali o eccezioni in senso stretto” [10] e dunque la ratio dell’applicazione analogica degli artt. 166 e 167 c.p.c. In tale discontinuità tra ordinanza interlocutoria e soluzione nomofilattica si erge quindi una enorme differenza di vedute. Il generico richiamo nell’incipit dell’enunciazione del principio di diritto alla “novella di cui alla L. n. 353 del 1990, e (…) successive modifiche” rende manifesto l’allontanamento delle Sezioni Unite dall’approccio adottato dall’ordinanza interlocutoria nell’indagare il diverso operare dei termini di decadenza nell’evoluzione diacronica della disciplina processuale, all’esito della quale il procedimento di primo grado è risultato governato da rigidi meccanismi di preclusioni, da estendersi – sempre a detta dell’ordinanza interlocutoria – al giudizio di appello con riferimento agli istituti disciplinati da eadem ratio.

[7] Come caldeggiato dal Primo Presidente della Corte di cassazione con decreto del 14 settembre 2016, v. Godio, La riproposizione ex art. 346 c.p.c. , cit., sub nota 4, 236.

[8] Godio, La riproposizione ex art. 346 c.p.c. , cit., sub nota 8, 237.

[9] Nella sentenza si legge che “in mancanza di basi sistematiche che impongano di assimilare l’attività di riproposizione a quella di formulazione ex novo di domande ed eccezioni in appello (come previsto dall’art. 345 c.p.c., commi 1 e 2), non può operare il principio di preclusione, elaborato per selezionare le facoltà processuali esercitabili nella progressione del procedimento, secondo il punto di osservazione imposto dalla dialettica processuale del caso di specie, per cui la visuale elettiva dell’art. 346 c.p.c., sarebbe deviata in un ambito diverso da quello suo proprio, che va correttamente impostata sulla base della dicotomia difesa/eccezione ed altrettanto esattamente risolta nel senso della mera difesa. Diversamente si finirebbe con l’attrarre nella disciplina dell’appello incidentale anche la riproposizione di domande condizionate e/o di eccezioni non altrimenti esaminate dal primo giudice”.

[10] L’espressione è di Godio, La riproposizione ex art. 346 c.p.c. , cit., 238.

4. Percorsi logici dell’ordinanza interlocutoria e della sentenza delle Sezioni Unite

Nell’ordinanza interlocutoria viene richiamato un precedente della S.C. particolarmente espressivo dell’orientamento estensivo della giurisprudenza di legittimità maggioritaria [11] , teso a consentire la formulazione della riproposizione in qualsiasi momento del giudizio di appello, sino all’udienza di p.c.

Si tratta di Cass. civ., Sez. III, 10 agosto 2004, n. 15427 (alla cui lettura si rinvia), che, sul presupposto che la riforma del 1995 sia rivolta al solo giudizio di primo grado con esclusione dell’applicazione della disciplina riformata al giudizio di appello, ritenendo che la facoltà di formulare la riproposizione ex art. 346 c.p.c. (rimasto immutato a seguito della riforma del 1995) senza termini di decadenza non cagioni alcuna disparità tra appellante e appellato [12] , né tra convenuto in primo grado e appellato in grado di appello, ed escludendo che ciò cagioni una potenziale violazione del principio del contraddittorio [13] , ha affermato il seguente principio di diritto: “Per sottrarsi alla presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 cod. proc. civ., la parte vittoriosa in primo grado ha l’onere di riproporre, a pena di formazione del giudicato implicito, in modo chiaro e preciso le domande e le eccezioni (in senso stretto) respinte o ritenute assorbite, in qualsiasi momento del giudizio di secondo grado, fino alla precisazione delle conclusioni, non potendosi in alcun modo ritenere applicabile all’appello, neppure in parte o con adattamenti, il sistema di preclusioni introdotto per il primo grado (art. 167 e segg. c.p.c.) con la novella del 1995”.

L’ordinanza interlocutoria, precisando che oggetto della pronuncia del 2004 era una eccezione di prescrizione formulata in primo grado (e non una domanda di manleva come nel caso sottoposto al suo esame), ritiene condivisibile il risultato finale della sentenza citata con riferimento alla fattispecie sostanziale ivi dedotta in giudizio, seppure sul diverso presupposto teorico che in quel caso, essendo la disciplina applicabile ratione temporis sicuramente precedente alla riforma del 2005, la riproposizione delle eccezioni in senso stretto non soggiaceva ad alcuna preclusione temporale (essendo in primo grado le eccezioni soggette ad una preclusione diversa incompatibile con la struttura del giudizio di appello). Quanto, invece, agli argomenti adottati dalla S.C. nel 2004, l’ordinanza interlocutoria ne prospetta (e caldeggia) il superamento sulla scorta delle seguenti osservazioni:

-il richiamo contenuto nell’art. 347 c.p.c. alle forme e ai termini per la costituzione in primo grado non può ritenersi p>”almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione” senza pure richiamare l’art. 167 c.p.c. che discipp>

-prima della riforma del 1995, in mancanza di preclusioni previste in primo grado per la proposizione di domande riconvenzionap>exart. 167 c.p.c.) anche in ossequio al principio tantum devolutum quantum appellatum, che impone una celere definizione dell’oggetto dell’appello in un momento anteriore all’udienza exart. 350 c.p.c., nel rispetto della ragionevole durata del processo e delle esigenze di difesa delle parti;

-l’unione delle due udienze ex artt. 180 e 183 c.p.c. da parte della riforma del 2005 con conseguente fissazione di un’unica barriera preclusiva consentirebbe di escludere l’attuale esistenza di profip>”posto che il rinvio ex art. 347 c.p.c., comma 1, alle norme per la costituzione del convenuto ex artt. 166 e 167 c.p.c. consente una lettura simmetrica della discipp>;

-il sistema delle preclusioni è posto a presidio non solo delle esigenze di difesa delle parti ma anche “dell’ordine pubbp>, come comprovato dalla rilevabip>

-consentire la riproposizione ex art. 346 c.p.c. in un momento successivo alla costituzione del convenuto pregiudicherebbe il diritto di difesa delle altre parti del processo, posto che l’udienza ex art. 350 c.p.c. è destinata al compimento di altre e diverse attività (art. 343, comma 2, c.p.c.);

-inoltre, l’istituto del cd. “filtro in appello” di cui agp>bise 348- ter c.p.c. richiede una “completa esposizione di tutte le argomentazioni dei contendenti affinché il giudice possa immediatamente pronunciare, se del caso, l’ordinanza di inammissibip>.

Negli ultimi capoversi dell’ordinanza non manca quindi l’invito alle Sezioni Unite a fornire la “soluzione ermeneutica maggiormente corrispondente al principio della ragionevole durata del processo”. L’invito, come ci si poteva attendere, è stato strategicamente colto (seppure non fino in fondo) dalla sentenza del supremo consesso, che, sulla premessa che l’art. 346 c.p.c. introduce un effetto devolutivo e non automatico delle domande condizionate e delle eccezioni formulate in primo grado e rimaste assorbite dalla relativa pronuncia [14] e che, in assenza di riproposizione, in capo alle parti si verifica “una vera e propria decadenza, con formazione di giudicato implicito sul punto” [15] , discostandosi da alcune ragioni prospettate e dalla soluzione finale suggerita dall’ordinanza interlocutoria, ha così argomentato:

-l’art. 346 c.p.c. è formulato in maniera tale da escludere l’onere di riproposizione con riferimento alle “mere difese”, ossia all’attività di contestazione o negazione dei fatti costitutivi fatti valere dall’attore, e riguarda solo le domande ed eccezioni “sulle quap>, quando, cioè, la parte “sia rimasta totalmente vittoriosa nel merito”;

-quanto al termine per la riproposizione, da un lato vi è la necessità che essa avvenga “all’atto di costituzione nel giudizio di appello”, poiché, qualora si accogp>”un vulnus al diritto di difesa dell’appellante” (ovvero di altro appellato destinatario della riproposizione); dall’altro, invece, occorre valutare la compatibip>ratio della riproposizione delle attività di cui all’art. 167 c.p.c. che si precludono al convenuto con la tempestiva costituzione in giudizio in primo grado ai sensi degp>

-viene allora in rip>ex novo di fatti dotati di autonoma efficacia giuridica rispetto a quelp>i.e. eccezioni) o di diritti – logica questa che è posta alla base della ratio che governa il contenuto dell’art. 345 c.p.c., laddove prescrive un generale divieto di introduzione dei nova – ma va piuttosto inscritta nell’insieme di quelle attività che si traducono nella pura contestazione ovvero negazione dei fatti costitutivi e dei diritti ex adverso allegati, ossia nella categoria delle “mere difese”. Risolvendo in tal senso l’identificazione della riproposizione nella dicotomia eccezione/difesa, si prospetta altresì la sua collocazione temporale all’interno della dinamica processuale, che, quindi, non può coincidere con quella prescritta in primo grado per la formulazione di eccezioni in senso stretto e di domande riconvenzionap>

-tanto, quindi, conduce ad escludere la soluzione, prospettata dalla sezione rimettente, secondo cui la riproposizione debba avvenire nel termine di cui all’art. 167 c.p.c. di venti giorni prima dell’udienza indicata nell’atto di appello. Né l’invocazione dell’interesse pubbp>sexies c.p.c. e l’appellato, costituendosi tardivamente in udienza, formulasse la riproposizione di domande o eccezioni, la parte destinataria di tale riproposizione potrebbe richiedere un legittimo rinvio per controdedurre in merito[16] inducendo l’organo giudicante ad “acquisire conoscenza delle medesime difese per la eventuale trattazione orale dell’appello” in una successiva udienza;

-infine, le Sezioni Unite correttamente puntuap>bis c.p.c. svolta (in p>) nell’ordinanza interlocutoria, atteso che l’istituto del “filtro in appello” è rivolto alla individuazione di motivi di manifesta infondatezza dell’appello e al preventivo rigetto dello stesso, a mezzo di una dichiarazione di “inammissibip>”problema di potere-dovere decisorio” sulle domande o eccezioni riproposte[17].

[11] Con riferimento a posizioni di giurisprudenza più restrittive, vengono segnalate dall’ordinanza interlocutoria: Cass. civ. 27 aprile 2005, n. 8758; Cass. civ., sez. Lav., 27 gennaio 1987, n. n. 756; Cass. civ., sez. Lav., 16 luglio 1996, n. 6426.

[12] Viene sul punto richiamata la giurisprudenza di legittimità che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 345, comma 2, c.p.c. in relazione all’art. 3 Cost., per il diverso trattamento riservato all’appellante, che deve svolgere tutte le attività, ivi compresa la riproposizione, nell’atto di appello, e all’appellato, che può (ma non dopo la pronuncia oggetto del presente esame) formulare la riproposizione fino all’udienza di p.c., in ragione della diversa posizione processuale rivestita dalle parti e dei diversi oneri ricondotti a ciascuna di esse: Corte Cost., 22 aprile 1977, n. 1484 (invero il richiamo nella pronuncia è a Cass. civ., 1 febbraio 1995, n. 1141, che menziona quanto stabilito dalla Consulta).

[13] Invero l’ordinanza interlocutoria elenca con precisione l’iter argomentativo della pronuncia del 2004, così a sommi capi articolato: l’art. 347 c.p.c. rinvia a “forme e termini” della costituzione e non alle decadenze prescritte nel giudizio di primo grado e pertanto il rinvio deve intendersi limitato all’art. 166 c.p.c. e non anche al successivo art. 167 c.p.c.; la riforma del 1995 ha innovato la disciplina del primo grado e non anche la disciplina dell’appello; non vi è disparità di trattamento tra appellante, tenuto ad inserire l’eventuale riproposizione che non discenda dall’attività difensiva svolta successivamente dall’appellato nel proprio atto di appello, e appellato, in grado di formulare la riproposizione in qualsiasi momento nel corso del giudizio di appello, attesa la diversità delle posizioni ricoperte dalle parti processuali.

[14] Invero nella sentenza si parla di “riproposizione delle domande e delle eccezioni respinte o ritenute assorbite” ma l’espressione “respinte” deve ritenersi non attuale alla luce delle pronunce Cass. civ., Sez. Un., 19 aprile 2016, n. 7700 e Cass. civ., Sez. Un., 12 maggio 2017, n. 11799, richiamate nel primo paragrafo.

[15] Espressione corretta nel prosieguo del provvedimento, ove si precisa che “la mancata riproposizione di una domanda non esaminata in primo grado non dà luogo a giudicato ma ad una preclusione processuale” nel senso di perdita di una facoltà processuale “estinta perché non esercitata nel rispetto di un termine perentorio, ovvero consumata perché già esercitata, ovvero ancora incompatibile rispetto ad altra attività processuale svolta in precedenza”.

[16] Non escludendosi, tuttavia, che tali controdeduzioni siano state già svolte in primo grado e che la parte possa, in ogni caso, richiamare le proprie argomentazioni ivi svolte.

[17] Del resto, come è ovvio, se l’appello viene rigettato alle porte della sua trattazione, mai si concretizzerà l’interesse dell’appellato alla riproposizione di domande o eccezioni assorbite in primo grado.

5. Osservazioni

Ricostruiti gli snodi argomentativi che hanno condotto il giudice della nomofiliachia a dipanare il dubbio in ordine alla disciplina temporale della riproposizione ex art. 346 c.p.c. nel senso di individuare un termine a metà strada tra la decadenza ex artt. 166 e 167 c.p.c. e l’orizzonte temporale libero predicato dalla giurisprudenza maggioritaria, emergono profili di particolare interesse e allo stesso tempo sorgono spontanei alcuni interrogativi.

Le Sezioni Unite scandiscono i caratteri che individuano ontologicamente il giudizio di appello: natura di revisio prioris istantiae ed effetto devolutivo non automatico relativo sia all’onere di formulazione specifica dei motivi di appello che alla necessità di riproposizione ex art. 346 c.p.c., al fine di una corretta individuazione dell’ambito della devoluzione al giudice di appello con riguardo alle parti della sentenza impugnate e alle domande ed eccezioni assorbite su cui dovrà pronunciare [18] .

Le Sezioni Unite impostano il tema di indagine sulla dicotomia eccezione/difesa e sui relativi riflessi che tali attività comportano al giudizio: la prima apporta nuovo materiale all’oggetto di cognizione del giudice (anche se non amplia il thema decidendum), la seconda, invece, limita i propri effetti all’interno del perimetro fattuale già delineato dall’attore (o dal convenuto che, formulando domanda riconvenzionale, faccia valere determinati fatti costitutivi). In questi termini, allora, l’effetto “innovativo” dell’eccezione è estraneo alla funzione della riproposizione, la quale attiene “pur sempre alla trattazione di circostanze già rientranti nel thema probandum e nel thema decidendum del giudizio di primo grado” ed in tal senso si avvicina alla struttura della difesa, avendo ad oggetto la richiesta, condizionata all’accoglimento dell’appello avversario, di “decisione su diritti od eccezioni già a suo tempo ritualmente introdotti in giudizio” (senza alcun apporto di stampo “innovativo” all’oggetto della cognizione del giudice d’appello). Secondo questa visuale esegetica, allora, il principio affermato conferisce al giudizio di appello una logica di funzionamento fedele al suo carattere effettivamente sostitutivo rispetto al giudizio di primo grado sfociato nella decisione impugnata [19] , nella misura in cui consente di cogliere e conservare una continuità di fondo delle attività difensive svolte dalle parti nel corso dell’intero processo. Così opinando, le Sezioni Unite rifiutano di assoggettare l’attività della parte appellata, priva di contenuto impugnatorio, di mera “perorazione della propria difesa” alle preclusioni dettate in primo grado per le attività “innovative” rispetto all’oggetto della cognizione (eccezioni) o della decisione (domande riconvenzionali) del giudice ed in tal senso acquisisce maggior senso la convinzione nel ribadire la natura dell’appello quale revisio prioris istantiae, allontanandola dalla precedente concezione di novum judicium [20] .

Una volta tracciato questo itinerario teorico, affiancato dal corollario per cui la valutazione di compatibilità richiesta dall’art. 359 c.p.c. per mutuare i canoni procedimentali fissati per il primo grado deve essere risolta in modo negativo, ci si aspetterebbe che la soluzione fosse quella di adottare la disciplina prevista per l’attività di mera difesa, ossia la libera proposizione. Invece, le Sezioni Unite, richiamando ragioni che definirei, in fin dei conti, di buon senso, mascherate dalle più eloquenti espressioni di “legittimo affidamento” e “autoresponsabilità”, affermano una regola a metà tra le due opposte e lontane soluzioni prospettate: non la libertà di proposizione, ma neppure la stretta decadenza.

Se non v’è modo di rintracciare il termine per la riproposizione nelle norme stabilite per l’appello, né di mutuarle (ai sensi degli artt. 347 e 359 c.p.c.) dalle regole stabilite per il primo grado, ecco che il termine viene fornito dall’applicazione del principio della ragionevole durata del processo, e sostanzialmente ricavato dalla previa definizione della sede in cui effettuare la riproposizione (atto di costituzione o prima udienza, a seconda dei casi [21] ), con evidente propensione del giudice della nomofiliachia a spingersi sempre più oltre il confine dell’ermeneutica e verso i lidi della creazione giurisprudenziale della regula iuris.

In ultima analisi, la soluzione fornita non pare in sé irragionevole, anzi, merita di essere apprezzata sotto i profili della parità di trattamento delle parti e del principio della ragionevole durata del processo (con particolare riguardo ai giudizi di appello che patiscono tempi di definizione biblici); essa, però, rende manifesta l’ormai incontrollata tendenza del giudice di legittimità che, sotto l’egida del giusto processo, non indugia a sostituirsi al legislatore nella proclamazione della regola (e non solo della sua interpretazione).

[18] Con la dovuta precisazione che “oggetto della cognizione decisoria del giudice di secondo grado è direttamente la controversia già decisa dal giudice di primo grado (…) l’ampiezza della cognizione del giudice di appello, però, dipende dalla capillarità delle doglianze mosse avverso la sentenza di prime cure. L’effetto devolutivo non è, in altri termini, automatico, ma discende dai motivi di appello fatti valere“, Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Torino, 2014, 462-463.

[19] Ad eccezione delle ipotesi di appello rescindente di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c. e delle ipotesi di dichiarazione di inammissibilità a seguito del filtro di cui agli artt. 348- bis e 348- ter c.p.c. nonché dell’ipotesi (patologica) di estinzione del medesimo giudizio di appello (art. 338 c.p.c.).

[20] Del resto la formulazione dell’art. 346 c.p.c. “denota come, già nel sistema originario del codice del 1940 (…) uno dei tradizionali caratteri dell’appello, ossia il suo effetto devolutivo, non tanto potesse operare solo all’interno del capo di sentenza impugnato o di quelli rispetto ad esso dipendenti, ma pur in questo ambito sia stato discipinato in modo significativamente diverso e più stretto (…) quale effetto devolutivo non automatico in quanto subordinato ad una iniziativa selettiva e chiarificatrice di parte”, Consolo, di diritto processuale civile, II, Torino, 2014, 486.

[21] Se l’interesse di un appellato a riproporre domande od eccezioni sorge “in reazione” alla riproposizione svolta da altro appellato o da un appello incidentale proposto da altro appellato con comparsa di costituzione depositata tempestivamente ma dopo il deposito della comparsa da parte del primo, la riproposizione sarà allora consentita alla prima udienza ex art. 350 c.p.c. Laddove, invece, uno degli appellati proponesse appello incidentale in prima udienza ai sensi dell’art. 343, cpv., c.p.c. (in quanto il suo interesse all’impugnazione è sorto, a sua volta, da altra impugnazione incidentale svolta con comparsa di risposta ex art. 343, comma 1, c.p.c.) e da tale (secondo) appello incidentale sorgesse l’interesse di altra parte appellata alla riproposizione di domande o eccezioni, si dovrebbe ritenere preclusa, in capo a tale parte, secondo la soluzione fornita dalle Sezioni Unite, la possibilità di formulare siffatta riproposizione, non potendo procedervi in udienza di p.c.. Si ricreerebbe allora quel vulnus che ha condotto alla remissione e alla pronuncia de quo (v. per ipotesi esemplificative di tali casi, Godio, La riproposizione ex art. 346 c.p.c. , cit., sub nota 23, 240). Per evitare l’aporia, si dovrebbe pertanto consentire in tali ipotesi di formulare la riproposizione anche dopo la prima udienza (vale a dire, secondo la struttura del giudizio di appello, in udienza di p.c.).

Redazione

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