Le Sezioni Unite, nell’interesse della legge, affermano la reclamabilità ex art. 669-terdecies c.p.c. del provvedimento sospensivo reso dal giudice dell’opposizione all’esecuzione c.d. “preventiva” ai sensi dell’art. 615, primo comma (Cass., Sez. Unite, 23 luglio 2019, n. 19889)

Redazione 17/09/19
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di Marco Farina*

* Professore a contratto di Diritto Processuale Civile presso l’Università LUISS di Roma

Sommario

1. Premessa

2. I termini della questione

3. La soluzione delle Sezioni Unite

1. Premessa

Nel gennaio 2019, il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha richiesto alla Corte di Cassazione di enunciare, nell’interesse della legge ai sensi dell’art. 363 c.p.c., il principio di diritto cui avrebbe dovuto attenersi il Tribunale di Latina, in composizione collegiale, nel decidere su di un reclamo proposto, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 624 e 669-terdecies c.p.c., avverso l’ordinanza resa dal medesimo tribunale, in composizione monocratica, di rigetto dell’istanza di sospensione dell’efficacia del titolo esecutivo proposta ex art. 615, primo comma, penultimo periodo, c.p.c.

Il Tribunale di Latina, in composizione collegiale, aveva infatti dichiarato inammissibile quel reclamo ritenendo che la disposizione contenuta nell’art. 624, secondo comma, c.p.c. – nella parte in cui prevede che “contro l’ordinanza che provvede sull’istanza di sospensione, è ammesso reclamo ai sensi dell’articolo 669-terdecies” – dovesse applicarsi al solo caso di sospensione (del processo esecutivo) disposta dal giudice dell’esecuzione in caso di proposizione di opposizione all’esecuzione ai sensi del secondo comma dell’art. 615 c.p.c., ossia allorché l’esecuzione sia già iniziata.

Tale conclusione è ritenuta dal Procuratore generale presso la Corte di Cassazione nella sua richiesta formulata ex art. 363 c.p.c. non condivisibile, sia in ragione della non decisività dell’argomento letterale pur valorizzato dal giudice di merito, sia in ragione del fatto che la natura cautelare del provvedimento sospensivo reso dal giudice dell’opposizione all’esecuzione c.d. preventiva giustificherebbe, comunque, la diretta applicazione del reclamo (cautelare) di cui all’art. 669-terdecies c.p.c.

Su tale istanza, rimessa dal Primo presidente alle sezioni unite in ragione della particolare importanza della questione ai sensi di quanto previsto dal secondo comma dell’art. 363 c.p.c., la Corte ha infine emesso il 23 luglio 2019 la sentenza n. 19889 con la quale ha enunciato il seguente principio di diritto: “il provvedimento con il quale il giudice dell’opposizione all’esecuzione, proposta prima che questa sia iniziata ed ai sensi del primo comma dell’art. 615 cod. proc. civ., decide sull’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo è impugnabile col rimedio del reclamo ai sensi dell’art. 669-terdecies cod. proc. civ. al Collegio del tribunale cui appartiene il giudice monocratico – o nel cui circondario ha sede il giudice di pace – che ha emesso il provvedimento”.

Le Sezioni Unite, dopo aver rilevato l’ammissibilità della richiesta del P.G., hanno ritenuto che l’impugnabilità con il reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. del provvedimento (positivo o negativo) reso dal giudice dell’opposizione all’esecuzione c.d. preventiva sull’istanza di sospensione sia conclusione imposta sia dalla natura latamente cautelare di tale provvedimento, sia dal fatto che, pur a dispetto della sua non perfetta e per certi versi equivoca formulazione letterale dell’art. 624 c.p.c., detta norma esprimerebbe, comunque, un principio generale di reclamabilità dei provvedimenti del giudice che incidano sull’ordinario corso dell’esecuzione forzata già intrapresa o anche solo minacciata.

2. I termini della questione

Come noto, a seguito delle modifiche del codice di rito introdotte nel 2005, l’articolo 615, primo comma, penultimo periodo[1], c.p.c. prevede che “il giudice concorrendo gravi motivi, sospende su istanza di parte l’efficacia esecutiva del titolo”[2].

Il legislatore, dunque, non solo non disciplina in alcun modo la forma del provvedimento con cui il giudice della opposizione preventiva è chiamato a decidere sulla istanza di sospensione, ma neppure specifica quali siano le regole procedimentali applicabili ad esso e, dunque, il suo regime di impugnabilità, revocabilità o modificabilità.

Diversamente, l’articolo 624 c.p.c. – contenuto nel capo I del Titolo VI del libro terzo del codice dedicato alla “sospensione del processo” – dopo aver previsto, al primo comma, che “se è proposta opposizione all’esecuzione a norma degli articoli 615 e 619, il giudice dell’esecuzione, concorrendo gravi motivi, sospende, su istanza di parte, il processo con cauzione o senza”, dispone, al secondo comma, che “contro l’ordinanza che provvede sull’istanza di sospensione è ammesso reclamo ai sensi dell’art. 669-terdecies”.

Poiché il primo comma dell’art. 624 c.p.c., pur richiamando genericamente l’opposizione all’esecuzione, fa poi, però, riferimento al giudice dell’esecuzione[3], non sembra possibile riferire direttamente la previsione contenuta nel secondo comma del medesimo articolo 624 c.p.c. in punto di reclamabilità exart. 669-terdecies c.p.c. pure al caso del provvedimento reso sull’istanza di sospensione (non del processo esecutivo ma della efficacia esecutiva del titolo) da parte del giudice dell’opposizione preventiva proposta ai sensi del primo comma dell’art. 615 c.p.c.

In ragione di ciò, è sorto nella giurisprudenza di merito un contrasto relativo al se il rimedio del reclamo cautelare di cui all’art. 669-terdecies c.p.c. (che pareva) letteralmente previsto per il caso di provvedimento di sospensione (del processo esecutivo) pronunciato dal giudice dell’esecuzione una volta proposta opposizione all’esecuzione c.d. successiva ai sensi del secondo comma dell’art. 615 c.p.c. potesse, nondimeno, estendersi, in via diretta[4] o, comunque, per analogia[5] anche alla contigua ipotesi del provvedimento di sospensione dell’efficacia esecutiva pronunciato dal giudice dell’opposizione all’esecuzione preventiva.

Per alcuni giudici di merito[6] tale estensione era da negare sia in ragione della impossibilità di riferire direttamente la disposizione di cui al secondo comma dell’art. 624 c.p.c. anche al caso del provvedimento reso sulla istanza di sospensione (dell’efficacia esecutiva del titolo) da parte del giudice dell’opposizione all’esecuzione ex art. 615, primo comma, c.p.c., sia in ragione della impossibilità di ritenere applicabile il rimedio del reclamo cautelare ex art. 669-terdecies c.p.c. ad ipotesi di provvedimenti in senso lato cautelari previsti e disciplinati, peraltro, dal codice di rito (e non anche, invece, dal codice civile o da leggi speciali)[7].

La non impugnabilità con il reclamo ex art. 669- terdecies c.p.c. del provvedimento reso dal giudice dell’opposizione all’esecuzione c.d. preventiva, secondo questo primo orientamento dei giudici di merito, doveva reputarsi del tutto conforme a quanto previsto, più o meno espressamente, con riferimento a quei provvedimenti inibitori resi dal giudice innanzi al quale sia proposta impugnazione avverso un provvedimento dotato di provvisoria efficacia esecutiva: in tali casi, tanto l’art. 351 c.p.c. con riferimento alla inibitoria della provvisoria esecutività della sentenza di primo grado, quanto l’art. 373 c.p.c. in punto di sospensione dell’esecuzione della sentenza d’appello impugnata per cassazione – così come gli articoli 648 e 649 c.p.c. – prevedono espressamente che il provvedimento venga reso dal giudice con ordinanza non impugnabile e tale regime, in mancanza di apposita e divergente disciplina, avrebbe dovuto dirsi applicabili anche alla sospensione dell’efficacia esecutiva del documento azionato come titolo esecutivo ai sensi del primo comma dell’art. 615 c.p.c.

Per altra giurisprudenza di merito[8], al contrario, l’esclusione del rimedio del reclamo ex art. 669-terdecies avverso il provvedimento reso dal giudice della opposizione all’esecuzione preventiva sulla istanza di sospensione proposta ai sensi del primo comma dell’art. 615 c.p.c. non poteva in alcun modo giustificarsi al lume, se non altro, della evidente ed ingiustificata asimmetria che si sarebbe così venuta a verificare: pur in ipotesi di assoluta coincidenza di ragioni fondanti l’opposizione e, quindi, in presenza di un giudizio funzionale al provvedimento inibitorio/sospensivo del tutto identico che potrebbe essere formulato sia dal giudice della opposizione a precetto che dal giudice dell’esecuzione cui sia proposta opposizione all’esecuzione ai sensi del secondo comma dell’art. 615 c.p.c., solo nel secondo caso le parti avrebbero a disposizione una possibilità di contestazione innanzi ad un diverso giudice.

[1] L’ultimo periodo del primo comma dell’art. 615 c.p.c. è stato inserito nel 2015 per specificare che “se il diritto [a procedere ad esecuzione forzata] è contestato solo parzialmente, il giudice provvede alla sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo esclusivamente in relazione alla parte contestata“.

[2] Prima della modifica dell’art. 615, primo comma, c.p.c. introdotta con il D.L. 35/2005, si riteneva che il giudice della opposizione preventiva potesse inibire l’inizio dell’esecuzione forzata nell’attesa della definizione del giudizio di merito mediante la pronuncia di un provvedimento cautelare di urgenza ex art. 700 c.p.c., nei casi, però, in cui l’inizio della esecuzione potesse arrecare un pregiudizio irreparabile al debitore.

[3] Al quale, come tutti sanno, è inizialmente proposta l’opposizione all’esecuzione c.d. successiva, ossia proposta ai sensi del secondo comma dell’art. 615 c.p.c. dopo che l’esecuzione sia iniziata.

[4] Per effetto di una lettura autonoma del secondo comma dell’art. 624, siccome cioè volto a disciplinare forma e regime di impugnabilità del provvedimento che decida, in genere, sulla istanza di sospensione (dell’efficacia esecutiva del titolo ai sensi del primo comma dell’art. 615, o del processo esecutivo ai sensi dell’art. 624, primo comma, c.p.c.).

[5] Per effetto della eadem ratio che sarebbe possibile individuare al fondo delle due pur distinte ipotesi e che dovrebbe individuarsi nella natura latamente cautelare di entrambi i provvedimenti sospensivi che ne giustificherebbe, appunto, la comune disciplina in punto di reclamabilità con l’apposito strumento di contestazione dei provvedimenti cautelari somministrato dall’art. 669-terdecies c.p.c.

[6] Oltre alla decisione del tribunale di Latina del 9 ottobre 2018 cui si riferiva la richiesta del P.G., si sono pronunciati nel senso della inammissibilità del reclamo, tra gli altri, Trib. Fermo, 28 gennaio 2019, Trib. Milano 10 novembre 2015, Trib. Napoli 7 aprile 2015, Trib. Savona 16 ottobre 2012, Trib. Lamezia Terme 26 marzo 2009, Trib. Milano 28 maggio 2008, Trib. Venezia 31 ottobre 2006.

[7] Secondo tale lettura, quindi, esclusa la diretta applicazione del secondo comma dell’art. 624 c.p.c. anche al caso del provvedimento reso sulla istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo ai sensi del primo comma, penultimo periodo, dell’art. 615 c.p.c., l’inammissibilità del reclamo ex art. 669-terdecies doveva predicarsi in casu sia perché la sospensione non possiede natura, funzione e struttura cautelare, sia perché l’art. 669-quaterdecies c.p.c. estende, con il limite della compatibilità, le norme del procedimento cautelare uniforme – anche quella sul reclamo – ai provvedimenti cautelari tipici (sequestri, denunce e provvedimenti di urgenza) e a tutti gli “altri provvedimenti cautelari previsti dal codice civile e dalle leggi speciali” e, dunque, non può servire per individuare la disciplina applicabile ad un provvedimento che, seppur latamente cautelare, è disciplinato dal codice di rito.

[8] Trib. Vallo della Lucania 11 luglio 2017, Trib. Latina 2 novembre 2016, Trib. Castrovillari 4 novembre 2014, Trib. Torino 31 agosto 2012, Trib. Catanzaro 17 maggio 2011, Trib Nola 18 dicembre 2008, Trib. Genova 5 aprile 2007, Trib. Bologna 13 giugno 2006, Trib. Roma 2 novembre 2006.

3. La soluzione della Sezioni Unite

Le Sezioni Unite ritengono di dover aderire alla tesi che ammette la reclamabilità ex art. 669- terdecies c.p.c. del provvedimento che accolga o rigetti l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva reso dal giudice dell’opposizione all’esecuzione proposta ai sensi dell’art. 615, primo comma, c.p.c., ossia prima che l’esecuzione sia iniziata.

Tale conclusione viene fatta derivare (i) dalla osservazione per cui il tenore testuale dell’art. 624 non è di ostacolo alla diretta applicabilità del suo secondo comma anche all’ipotesi del provvedimento inibitorio reso dal giudice della opposizione all’esecuzione c.d. preventiva, (ii) dal rilievo da assegnare, in ogni caso, alla funzione cautelare in senso proprio, ancorché connotata dalla peculiarità dell’azione di cognizione cui accede e, quindi, sui generis che deve riconoscersi al provvedimento inibitorio ex art. 615, primo comma, penultimo periodo, c.p.c. con conseguente applicabilità del rimedio del reclamo cautelare ex art. 669- terdecies c.p.c. in difetto di norma derogatoria esplicita che ne impedisca, cioè, in modo espresso la impugnabilità.

Quanto al primo aspetto, nella pronuncia si fa notare come dall’originaria versione del primo comma dell’art. 624 c.p.c. sia stato espunto il riferimento al solo secondo comma dell’art. 615 che prima vi compariva, sicché il senso di tale modifica starebbe proprio nel rendere chiaro che l’istanza di sospensione cui allude il secondo comma dell’art. 624 c.p.c. non è solo quella su cui decide il giudice dell’esecuzione cui sia proposta opposizione all’esecuzione ex art. 615, secondo comma, c.p.c. ma anche quella su cui decide qualsiasi giudice cui sia proposta una opposizione all’esecuzione, preventiva o successiva.

Né, a parere della Corte, potrebbe essere di ostacolo ad una applicazione diretta del secondo comma dell’art. 624 c.p.c. alla ipotesi della sospensione disposta dal giudice della opposizione a precetto il fatto che la norma sia inserita nel Titolo VI del libro III dedicato alla sospensione (e alla estinzione) del processo (esecutivo); l’articolo 624, infatti, esprimerebbe la codificazione di un “principio generaledi immediata controllabilità dei provvedimenti di alterazione della normale consecuzione delle fasi del processo esecutivo, tra cui considerare quella, ad esso prodromica ma immancabile, tra notificazione del precetto ed inizio del processo esecutivo in senso stretto“.

In definitiva, l’inibitoria dell’inizio dell’esecuzione forzata minacciata con il precetto interverrebbe in una fase che, in senso lato, può considerarsi facente parte del processo esecutivo complessivamente inteso, con conseguente inesistenza dell’ostacolo frapposto dalla collocazione della norma nel capo che contiene disposizioni relative alla sospensione del processo esecutivo già iniziato

Quanto al secondo argomento, diciamo così, funzionale, nella pronuncia si rileva che la sospensione pronunciata dal giudice dell’opposizione all’esecuzione c.d. preventiva mira ad anticipare l’effetto finale proprio dell’azione di cognizione cui accede quale misura interinale – ossia la declaratoria di inesistenza (in tutto o in parte) del dritto di procedere ad esecuzione forzata – sicché a detto provvedimento deve riconoscersi natura cautelare con conseguente applicabilità in via immediata dell’art. 669-terdecies c.p.c.[9].

Da tale conclusione, tuttavia, la Corte non fa discendere una applicazione generalizzata, seppur con il limite della compatibilità, dell’intero rito cautelare uniforme, ritenendo al contrario che la sola norma applicabile di questo rito uniforme è proprio quella in tema di reclamabilità “essendo la sospensione anche pre-esecutiva compiutamente regolata in ogni altro aspetto” dalle norme speciali applicabili nell’ambito del microsistema o sottosistema del rito processuale dell’esecuzione civile.

Le peculiarità del provvedimento inibitorio reso dal giudice dell’opposizione pre-esecutiva – che imporrebbero, cioè, di coniugare la sua natura cautelare con il sottosistema del processo esecutivo in cui esso si inserisce – dovrebbero, poi, anche giustificare la conclusione per cui i “gravi motivi” a cui il primo comma dell’art. 615 c.p.c. ricollega la possibilità di concedere il provvedimento di sospensione si identifichino (i) con la verosimile e/o plausibile fondatezza dell’opposizione (fumus boni iuris), e (ii) con il rischio di un pregiudizio per il debitore che “ecceda quello normalmente indotto dall’esecuzione”.

Da ultimo, le sezioni unite si preoccupano di precisare che la riconosciuta natura cautelare del provvedimento inibitorio non è di ostacolo a che su di esso possa pronunciarsi il giudice di pace nei casi in cui sussista la sua competenza (per valore) a conoscere di una opposizione all’esecuzione ai sensi del primo comma dell’art. 615 c.p.c.: l’indistinta previsione che campeggia in tale norma con riferimento al giudice tout court – da intendersi proprio come il giudice competente per materia e valore cui allude il precedente periodo del medesimo primo comma dell’art. 615 c.p.c. – deve considerarsi norma derogatoria e prevalente su quella, per ciò incompatibile, dettata dall’art. 669-quater, terzo comma, c.p.c. in punto di carenza di potestà cautelare, appunto, in capo al giudice di pace.

Precisano, allora, ulteriormente le Sezioni Unite che nel caso di provvedimento (positivo o negativo) reso dal giudice di pace ai sensi dell’art. 615, primo comma, penultimo periodo, c.p.c., il reclamo dovrà proporsi al collegio del tribunale del circondario in cui ha sede il giudice di pace adito, in base ad una interpretazione di sistema, per l’assenza istituzionale di un collegio nell’ufficio di quel giudice.

La pronuncia delle Sezioni Unite, al contrario, non scioglie i dubbi che si sono creati nella pratica quotidiana circa il corretto modo di operare del provvedimento inibitorio ex art. 615, primo comma, c.p.c. nei casi in cui – a seguito della proposizione della opposizione e della istanza di sospensione ma prima che su di essa il giudice abbia deciso – l’esecuzione forzata abbia comunque inizio.

Nella pratica, infatti, si discute sia in ordine al se in tali casi il giudice dell’opposizione a precetto conservi o meno il potere di emettere il provvedimento inibitorio richiestogli, sia in ordine al se, ammesso che il giudice dell’opposizione conservi questo potere, il suo (positivo) esercizio possa avere o meno l’effetto di caducare ex tunc l’esecuzione nel frattempo intrapresa incidendo il provvedimento di sospensione, appunto, sulla efficacia esecutiva tout court del documento azionato come titolo esecutivo.

Su tali questioni, invero, nella pronuncia delle sezioni unite si rinvengono indicazioni contrastanti anche se, in ultima analisi, l’affermazione per cui i poteri del giudice dell’opposizione pre-esecutiva e quelli del giudice dell’esecuzione iniziata sono “mutuamente esclusivi” di modo che “il giudice adito in tempo successivo deve ritenersi privo di potestas iudicandi anche sulle relative misure cautelari di competenza” e l’osservazione in virtù della quale “la sospensione pre-esecutiva si atteggia quale causa di sospensione esterna per la singola esecuzione comunque intrapresa, da riconoscersi senza formalità dal giudice dell’esecuzione (ai sensi dell’art. 623 e non pure – a meno che non la disponga anche per altri motivi a lui solo sottoposti – dell’art. 624 cod. proc. civ.”, indurrebbero a credere che la Corte reputi corretta la conclusione (di buon senso, ma non solo) per cui, proposta opposizione ai sensi del primo comma dell’art. 615 c.p.c., il giudice di tale giudizio non perde il potere di pronunciarsi sulla istanza di sospensione anche se nel frattempo sia iniziata l’esecuzione ma il suo provvedimento avrà, in questo caso, il più limitato effetto di sospendere il processo esecutivo comunque iniziato e non quello di caducarlo ex nunc.

[9] Occorrerebbe precisare, peraltro, che non si tratta di una applicazione immediata dell’art. 669-terdecies ma, diversamente, di una applicazione mediata dal disposto dell’art. 669-quaterdecies c.p.c. che, come visto in esordio però, reputa applicabili, con il limite della compatibilità, le norme del procedimento cautelare uniforme “agli altri provvedimenti cautelari previsti dal codice civile e dalle leggi speciali”.

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