Le nullità selettive al vaglio delle Sezioni Unite

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Commento all’ordinanza di remissione n. 23927/2018

Il caso

Con l’ordinanza n. 23927/2018 la Prima Sezione della Corte di Cassazione, ancora una volta, ha ritenuto necessario rimettere la causa al primo Presidente affinché valutasse la sua eventuale assegnazione alle Sezioni Unite per dirimere il contrasto, presente in giurisprudenza, circa la contrarietà a buona fede delle c.d. nullità selettive.

Il contenzioso giunto- nella vicenda oggetto di commento- sino al Giudice di Legittimità aveva preso le mosse dal giudizio promosso dall’attore avverso la propria banca al fine di ottenere “la nullità o in subordine l’annullamento o la risoluzione  dei contratti di investimento in obbligazioni argentine stipulati dalle parti in data 4 maggio 1999 e 26 agosto 1999” nonché “la condanna della convenuta alla restituzione delle somme investite, pari ad euro 145.052,13, oltre interessi e rivalutazione monetaria”.

Il Tribunale, accertata la carenza di legittimazione dell’attore limitatamente alla parte della domanda avente ad oggetto le obbligazioni argentine del 4 maggio, poiché sottoscritte dalla di lui madre, provvedeva a dichiarare la nullità, per difetto della forma prescritta ai sensi dell’art. 23 d.lgs. 58/1998, degli ordini di acquisto sottoscritti in data 26 agosto 1999 e delle precedenti operazioni finanziarie del 18 ottobre 1996 e del 25 agosto del 1998. Conseguentemente, la Banca veniva condannata alla restituzione della somma di euro 100.802,03, oltre agli interessi legali, ricevuta dall’attore in esecuzione del rapporto dichiarato nullo. Nella medesima sentenza, tuttavia, il Tribunale, in accoglimento della domanda riconvenzionale della convenuta, condannava l’attore a restituire la somma di euro 284.830,82, oltre ad interessi legali, rappresentando la stessa l’ammontare delle cedole riscosse a causa delle operazioni eseguite in forza del contratto quadro dichiarato nullo.

Sussistendo un rapporto di dare- avere tra le parti, il Tribunale provvedeva, così, a compensare i suddetti importi, con conseguente condanna dell’attore a corrispondere la differenza a favore dell’intermediaria.

Appellata la sentenza di primo grado, la Corte d’Appello, “rilevata l’assenza di una formale domanda della banca di pagamento di quanto dovutole dall’investitore”, confermava la parte della sentenza relativamente alla compensazione tra gli importi rispettivamente spettanti alle parti e revocava la condanna dell’attore al pagamento del residuo a favore della banca.

Avverso tale sentenza veniva promosso un ricorso per Cassazione da parte dell’attore. La Corte d’Appello, ad avviso del ricorrente, aveva errato nel ritenere che la nullità di cui all’art. 23 del d.lgs. 58/1998, una volta eccepita dall’investitore, “si ripercuota su tutte le operazioni eseguite in base all’atto negoziale viziato” comportando finanche la restituzione di tutti i titoli compravenduti ancora nella disponibilità dell’investitore. Secondo la difesa dell’attore, al contrario, essendo la previsione di cui all’art.23 d.lgs.58/1998 posta a tutela esclusiva del’investitore, a quest’ultimo sarebbe attribuito il potere di selezionare il rilievo della nullità limitatamente ai soli contratti, attuativi del contratto quadro nullo per difetto di forma,dai quali si sia ritenuto pregiudicato. Di conseguenza, sarebbe precluso alla banca domandare, in via riconvenzionale, che la pronuncia di nullità dispieghi i propri effetti verso tutte le altre operazioni poste in essere tra le parti in ragione dell’atto nullo.

Le nullità selettive alla luce della disciplina codicistica e della giurisprudenza di legittimità

Il punto centrale dell’ordinanza di remissione in esame è rappresentato dalla questione relativa all’ammissibilità, nel nostro ordinamento, delle c.d. nullità selettive tramite le quali dovrebbe ritenersi accordato all’investitore il potere di domandare che la pronuncia del giudice colpisca solo alcuni dei rapporti posti in essere tra le parti in esecuzione del contratto quadro dichiarato nullo.

Per comprendere la portata della questione risulta necessario ripercorrere brevemente la disciplina dettata dal codice civile in materia di nullità del contratto, anche alla luce dei recenti orientamenti della giurisprudenza della Corte di Cassazione.

La nullità, disciplinata all’interno degli artt.1418 ss. c.c., rappresenta la più grave forma di invalidità che può colpire il regolamento negoziale posto in essere tra le parti. Pur essendo una categoria unitaria, la nullità viene tradizionalmente divisa in tre tipologie a seconda della causa da cui la stessa deriva. Nello specifico, si suole distinguere tra:

nullità virtuali, che si verificano nell’ipotesi in cui un contratto risulti essere contrastante con norme imperative;

nullità strutturali, se l’invalidità dell’atto deriva dalla mancanza di uno degli elementi di cui all’art.1325 c.c., ovvero dalla illiceità della causa, o se l’oggetto manchi dei requisiti essenziali, ed ancora, se il contratto risulti essere stato concluso per un motivo illecito comune ad entrambe le parti;

nullità testuali, che sono comminate espressamente in ragione della violazione di disposizioni di legge.

Nell’ipotesi in cui una parte abbia domandato la nullità parziale o di singole clausole, la sentenza che dichiara la nullità non travolge l’intero contratto, salvo che la parte colpita da nullità rappresenti un elemento essenziale di esso “ovvero si trovi in correlazione inscindibile con il rimanente regolamento di interessi” (Cass. 2340/1995). Allo stesso modo, nel secondo comma dell’art.1419 c.c., è stato espressamente escluso che la nullità dell’intero contratto possa derivare dall’invalidità delle singole clausole, nelle ipotesi in cui le stesse siano sostituite di diritto da norme imperative.

Essendo posta a presidio di interessi sovra-individuali, la nullità, salvo diversa disposizione di legge, può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse o rilevata d’ufficio da parte del giudice. Sia l’azione che l’eccezione risultano essere imprescrittibili.

In relazione al regime della legittimazione ad agire, occorre sottolineare come, di recente, si siano affermate, all’interno della legislazione speciale, delle nullità c.d. di protezione che, essendo dirette a tutelare gli interessi del soggetto debole di un rapporto contrattuale, possono essere fatte valere solo dalla parte a favore della quale sono state predisposte. Un tipico esempio di nullità protezione è proprio quello dell’art. 23 d.lgs. 58/1998 nel quale si prevede che la nullità del contratto, concluso con la banca o altro intermediario finanziario, possa essere fatta valere solo dal cliente.[1] L’interpretazione di tale disposizione è stata, ed è tuttora, come risulta dall’ordinanza di remissione in commento, oggetto di un particolare contrasto all’interno della giurisprudenza sotto due profili:

– il primo riguarda la possibilità di ritenere assolto l’onere formale quando il contratto, pur redatto per iscritto, risulti essere firmato dal solo investitore;

-il secondo, circa la conformità a buona fede delle c.d. nullità selettive.

La prima questione, a seguito delle ordinanze di remissione nn. 1238812389 e12390 del 2017 pronunciate  dalla Prima Sezione della Corte di Cassazione, è stata risolta dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 898/2018 nella quale è stato affermato il principio di diritto secondo cui “il requisito della forma scritta del contratto-quadro relativo ai servizi di investimento, disposto dall’art.23 del d.lgs. 24/2/1998, n. 58, è rispettato ove sia redatto il contratto per iscritto e ne venga consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente la sola sottoscrizione dell’investitore, non necessitando la sottoscrizione anche dell’intermediario, il cui consenso ben si può desumere alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti”.

In relazione, invece, alla contrarietà a buona fede delle c.d. nullità selettive, occorre precisare che già nelle ordinanze citate la Prima Sezione aveva sottoposto all’esame delle Sezioni Unite la questione relativa alla necessità di impedire che la nullità del contratto-quadro, derivante dall’assenza della sottoscrizione dell’intermediario, potesse essere impiegata dall’investitore, in modo opportunistico, abusando di una posizione di vantaggio conferita dalla legge ad altri fini. Le Sezioni Unite, nella sentenza 898/2018, non hanno assunto una precisa posizione sul punto, limitandosi ad affermare che “ove venga istituita dal legislatore una nullità relativa, come tale diretta a proteggere in via diretta ed immediata non un interesse generale, ma anzitutto l’interesse particolare, l’interprete deve essere attento a circoscrivere l’ambito della tutela privilegiata nei limiti in cui viene davvero coinvolto l’interesse protetto dalla nullità, determinandosi altrimenti conseguenze distorte o anche opportunistiche”.

Nello specifico, come dettagliatamente descritto dalla Prima Sezione nell’ordinanza n.23927/2018, intorno alla materia delle nullità selettive, possono distinguersi due diversi orientamenti:una parte della giurisprudenza ritiene che, essendo la nullità di cui all’art.23 d.lgs. 58/1998 posta a tutela esclusiva dell’investitore, la stessa possa essere fatta valere anche limitatamente ad alcuni degli ordini di acquisto, a mezzo dei quali sia stata data esecuzione al contratto viziato (Cass. sent. 8395/2016); secondo altra giurisprudenza, invece, dovrebbe considerarsi alla stregua di abuso del diritto la domanda formulata dall’investitore e finalizzata ad ottenere la dichiarazione di nullità solo di alcune operazioni compiute in esecuzione del contratto quadro privo della forma prescritta. In tal caso, infatti, l’azione dovrebbe ritenersi esclusivamente strumentale a “trasferire opportunisticamente sull’intermediario l’esito negativo di uno o più investimenti”.

Leggi anche:”Il contratto nullo e annullabile, le differenze e i caratteri”

Effetti della nullità selettiva: i rimedi esperibili dall’intermediario

Il contrasto presente in giurisprudenza circa il potere dell’investitore di “selezionare” il rilievo della nullità porta con se l’inevitabile corollario relativo agli effetti derivanti dalla stessa anche in relazione ai rimedi esperibili dall’ intermediario per tutelare le proprie ragioni. La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 20280/2018, ha espressamente affermato che “in materia di intermediazione finanziaria, allorché le singole operazioni di investimento abbiano avuto esecuzione in mancanza della stipulazione del contratto quadro, previsto dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 23, all’investitore, che chiede che ne sia dichiarata la nullità solo di alcune di esse, non sono opponibili l’eccezione di dolo generale fondata sull’uso selettivo della nullità e, in ragione della protrazione nel tempo del rapporto, l’intervenuta sanatoria del negozio nullo per rinuncia a valersi della nullità o per convalida di esso, l’una e l’altra essendo prospettabili solo in relazione ad un contratto quadro formalmente esistente”. Nella stessa sentenza gli Ermellini hanno, inoltre, sottolineato che “allorché sia dichiarata la nullità di un ordine di investimento, i cui effetti per i principi regolanti le nullità negoziali si estendono al negozio di acquisto effettuato dall’intermediario per dare esecuzione all’ordine ricevuto, l’intermediario e l’investitore hanno diritto di ripetere l’uno nei confronti dell’altro le reciproche prestazioni, sicché è legittimamente dichiarata la compensazione tra la somma che l’investitore abbia corrisposto all’intermediario ai fini dell’investimento e la somma che l’intermediario abbia riscosso per conto dell’investitore ed abbia corrisposto al medesimo a titolo di frutti civili”.

Al suddetto indirizzo si contrappone quello in virtù del quale sarebbe accordato all’intermediario esperire l’exceptio doli generalis, chiedendo al giudice di  disapplicare le norme positive nelle ipotesi in cui, a fronte di una condotta dell’investitore contraria a buona fede, la loro applicazione rigorosa dovesse risultare sostanzialmente iniqua.

Conclusioni

Spetta alle Sezioni unite assumere una posizione definitiva sull’argomento di modo da contemperare, così come ricordato dalla Prima Sezione, “l’esigenza di garanzia degli investimenti operati dai privati con i loro risparmi (art.47 cost.)” con quella di “tutela dell’intermediario per garantire la certezza dei mercati in materia di investimenti finanziari”. Nel fare questo, il massimo consesso di legittimità non potrà non tenere in debita considerazione il fatto che “il livello di tutela dell’investitore non professionista rappresenta uno dei criteri che può essere utilizzato per misurare il grado di evoluzione di un sistema giuridico moderno, nonché la capacità di governare in modo efficace ed efficiente i mercati.”[2]

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Note

[1] Art. 23, commi 1-3, d.lgs. 58/1998 : “1. I contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento, e, se previsto, i contratti relativi alla prestazione dei servizi accessori, sono redatti per iscritto, in conformita’ a quanto previsto dagli atti delegati della direttiva 2014/65/UE, e un esemplare e’ consegnato ai clienti. La Consob, sentita la Banca d’Italia, puo’ prevedere con regolamento che, per motivate ragioni o in relazione alla natura professionale dei contraenti, particolari tipi di contratto possano o debbano essere stipulati in altra forma, assicurando nei confronti dei clienti al dettaglio appropriato livello di garanzia. Nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto e’ nullo.)) ((73)) 2. E’ nulla ogni pattuizione di rinvio agli usi per la determinazione del corrispettivo dovuto dal cliente e di ogni altro onere a suo carico. In tal casi nulla e’ dovuto. 3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2 la nullita’ puo’ essere fatta valere solo dal cliente”.

[2] Andrea Bertolini, Problema di forma e sanzioni di nullità nella disciplina a tutela dell’investitore. Perequazione informativa o opportunismo rimediale?, in Responsabilità civile e previdenza n.11-2010, pagg. 2336 ss.

Ludovica Vergari

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