Le disposizioni testamentarie punitive. Limiti e riflessioni

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 1.Preambolo.

Con il presente contributo si intende analizzare come l’autonomia testamentaria possa declinarsi in disposizioni di natura non già attributivo/liberale ma sanzionatorie e punitive. Sì partirà illustrando i principi costituzionali e sociali che presidiano la materia testamentaria e si procederà indagando fino a che punto l’autonomia negoziale possa spingersi in ambito testamentario.

Nel punto più qualificante del contributo si farà un’elencazione ed illustrazione delle varie disposizioni punitive ammissibili, se ne illustreranno l’ammissibilità ed i limiti con l’aiuto delle elaborazioni dottrinali e giurisprudenzali in materia nonché fornendo personali riflessioni.

Infine si trarranno delle conclusioni riepilogative della trattazione.

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2. L’autonomia testamentaria.

Con riguardo il negozio testamentario, si può notare come lo stesso sia espressione dell’autodeterminazione negoziale propria di ogni soggetto. Tale autodeterminazione trova diretta tutela dall’articolo 2 della Carta Costituzionale, nonché, più specificatamente sotto il piano negoziale – patrimoniale, dall’art. 42 Cost. Entrambi tali articoli, infatti, fondano la libertà testamentaria, che trova limiti ove si debba tutelare beni giuridici di pari rango, come la tutela successoria dei più stretti congiunti, la quale ultima costituisce attuazione del dettato programmatico previsto dagli articoli 29 e 30 della Costituzione (e che si concreta, pragmaticamente, nel riconoscimento di determinati diritti riservati ed intangibili).

Il sistema normativo che ne risulta è manifestazione di un compromesso di detti principi, dove se da un lato si tende ad attribuire ampia libertà al testatore, da altro lato si contempera tale libertà con interessi sociali ritenuti rilevanti come la tutela della famiglia e della filiazione. Tuttavia, non si può non notare come, a presidio della più ampia espressione del negozio testamentario, l’elaborazione dottrinale tenda a dare preminenza all’esplicarsi della volontà nel testamento rispetto ad altri negozi giuridico patrimoniali. Ciò vuoi per ossequio all’ultimo atto di autodeterminazione del soggetto, vuoi perché il testatore dispone comunque unilateralmente dei propri beni (tendenzialmente con spirito liberale).

Alla luce di quanto detto, la tesi più diffusa[1] in dottrina ritiene che al negozio testamentario sia riconosciuta l’ampia autonomia negoziale prevista dall’art 1322 c.c.. Non si può tacere, inoltre, che una tesi più recente ed autorevole,[2] ritiene addirittura che l’autonomia testamentaria, nel suo esplicarsi, non troverebbe le limitazioni di cui all’articolo 1322 c.c. In altre parole, l’articolo suddetto, essendo norma limitativa, non si applicherebbe analogicamente al testamento, pertanto, il giudizio sull’ammissibilità delle disposizioni testamentarie non sconterebbe il sindacato di meritevolezza proprio dei contratti e degli atti negoziali inter vivos, ma solo una valutazione di non illeicità. In base a quanto fin qui asserito, ne consegue un’ampia autonomia ed ammissibilità di disposizioni testamentarie atipiche, finanche punitive, purché conformi alle norme ed ai principi dell’ordinamento, primo tra tutti quello di relatività degli effetti, a presidio dell’intangibilità della sfera giuridica di terzi in relazioni a disposizioni sfavorevoli. Con riguardo a tale ultimo principio, la più recente elaborazione ermeneutica ha provveduto ad una rivisitazione dello stesso in chiave moderna ed adattiva alla velocità degli scambi economici del tempo odierno. Il dogma della relatività degli effetti è stato quindi rielaborato[3], passando da un assoluta intangibilità della sfera giuridica di terzi ad una ammissibilità di effetti giuridici a prescindere dal consenso del terzo, purché non sfavorevoli e/o onerosi. Alla stregua di ciò si è ritenuto ammissibile, ad esempio il pagamento traslativo[4], nonché il contratto a favore di terzo con effetti reali[5].

Tali considerazioni possono agevolmente estendersi anche al testamento, con le ulteriori seguenti argomentazioni. Anzitutto, sulla scorta delle motivazioni fatte dalla tesi più permissiva in ordine all’autonomia testamentaria, è opportuna una soluzione ermeneutica che tenda di avallare il più possibile le ultime volontà espresse nel testamento. In secondo luogo, con riguardo il fenomeno successorio nel complesso, si deve prender atto della sua necessarietà, onde non disperdere nel nulla rapporti giuridici passivi ed attivi. In particolare, in relazione all’erede, esso è, nel bene o nel male, continuatore dei rapporti giuridici del de cuius. Con riguardo il legatario si può notare come, a fronte dell’automatismo (ex art 649 c.c.) della disposizione, lo stesso tuttavia risponda nei limiti della cosa legata (art. 671 c.c.) ed ha, al pari dell’erede, il potere comunque di rifiutare il lascito a lui indirizzato.

3. Le disposizioni punitive. Tipi.

Ciò detto, circa l’ampiezza negoziale nel testamento, il quale quindi può esplicarsi in disposizioni atipiche e finanche di natura sanzionatoria e punitiva, occorre delineare il concetto e la nozione di queste ultime.

La concezione tradizionale[6] fa rientrare in tale definizione le disposizioni con cui il testatore intende esercitare una coazione psicologica sull’istituito per indurre costui all’adempimento di una particolare volontà espressa dallo stesso nel testamento dietro comminatoria di un determinato svantaggio patrimoniale e/o pena per l’eventualità di una trasgressione a tale volontà. Come è stato notato[7] la funzione coercitiva di codeste clausole testamentarie si attua in una duplice direzione: da un lato assolvono ad una funzione preventiva perché con il prevedere un certo svantaggio, patrimonialmente valutabile, a carico dell’istituito, esercitano una pressione psicologica sulla volontà di quest’ultimo; dall’altro svolgono una funzione repressiva e sanzionatoria per l’ipotesi in cui l’istituito non si adegui e quindi non esegua quanto voluto dal de cuius.

Tuttavia, non sembra essersi presa in considerazione una concezione ancora più lata di dette disposizioni.

In altre parole, la tesi tradizionale ricollega l’effetto svantaggioso/punitivo ad una mancata attuazione della volontà del testatore. Volendo analizzare il fenomeno in una portata più ampia, tuttavia, si dovrebbe ricomprendere in tale definizione anche disposizioni che hanno come scopo esclusivo quello sanzionatorio di un determinato soggetto. A parere di chi scrive, dunque, nel suo significato più ampio, le disposizioni punitive ricomprendono sia quelle con cui si vuole esercitare una pressione psicologica affinché il beneficiario della disposizione faccia/non faccia qualcosa, sia quelle puramente e semplicemente punitive (si pensi alla diseredazione).

Ciò detto, si passano in rassegna le ipotesi più rilevanti, senza pretesa di esaustività.

3.1. Legato in sostituzione di legittima.

Una tra le più classiche disposizioni che può perseguire un intento sanzionatorio è il legato in sostituzione di legittima. Con esso, ai sensi dell’art 551 c.c., il testatore attribuisce con disposizione particolare un bene ad un legittimario in luogo della quota a quest’ultimo riservata. Stante l’automaticità del legato all’apertura della successione (e salvo il potere del legatario di rinunciare al legato e di agire in riduzione) è evidente come il lascito in esame ben può prestarsi ad un intento punitivo, senza contare che lo stesso, secondo la teoria prevalente[8], può essere gravato da un onere o da una condizione. In tale ultima prospettiva, è evidente come l’effetto punitivo possa essere ancora più marcato qualora un legato sostitutivo si combini ad altro strumento coercitivo (si pensi ad un termine per accettare/rifiutare il legato stesso minore di quello di legge, c.d. termine ex voluntate testatoris) Inoltre, qualora il legato venga accettato, autorevole dottrina[9] ritiene come sia intimamente collegato allo stesso un effetto diseredativo, con la conseguenza che il legatario in sostituzione non possa beneficiare di un eventuale chiamata all’eredità come erede legittimo.

3.2. Diseredazione e pretermissione con sostituzioni.

Altra disposizione testamentaria ormai sdoganata dalla giurisprudenza[10] e dalla dottrina[11] è quella con cui il testatore escluda dalla successione determinati soggetti (c.d. diseredazione).

Con riguardo agli effetti, la tesi prevalente[12] sull’’argomento lo assimila all’indegnità, con la conseguenza che ove sia presente una disposizione diseredatrice, la stessa possa fungere da presupposto per un eventuale rappresentazione. Alla luce di tale ricostruzione occorre dunque, a parere di chi scrive, qualora si voglia escludere un determinato soggetto nonché i suoi rappresentanti, occorre prevederlo espressamente.[13]

Di discussa ammissibilità è la diseredazione del legittimario, ove al riguardo la dottrina si divide circa gli effetti della stessa, ora ritenendo che la disposizione sia nulla ex art. 549.c.c.[14], ora ritenendo che la stessa sia riducibile[15]. A parere di chi scrive, se è vero che il tenore letterale dell’articolo 549 c.c. sembra essere rigoroso, tuttavia, in ossequio alla piena attuazione della volontà testamentaria e del principio di conservazione del negozio giuridico, bisogna ritenere la disposizione riducibile. In alternativa, altra soluzione ermeneutica sarebbe ritenerla non invalida tout court, ma mantenerne la validità in relazione alla quota disponibile.

Del resto, dato che “l’onere” di agire in riduzione spetta anche al legittimario pretermesso, non si veda come non possa spettare anche al soggetto diseredato, essendo in tale fattispecie ancora più decisa la volontà sanzionatoria del testatore.

Oltretutto, si pensi come il de cuius possa di fatto attuare una volontà diseredativa del legittimario con una pretermissione con in aggiunta una serie di sostituzioni a catena per gli eredi istituti (qualora non vogliano o possano accettare) fino ad arrivare in ultima istanza allo Stato.

In tale modo si eviterebbe che il soggetto pretermesso venga ad essere beneficiato del testamento a mezzo del fenomeno della successione legittima.

Infine, occorre dare atto della possibilità, normativamente prevista, della esclusione dalla successione del legittimario qualora vi siano determinati presupposti sanciti dall’articolo 448- bis del c.c.[16] A parere di chi scrive, tale ultima fattispecie si concreta in una ipotesi normativamente prevista di disposizione punitiva, concretandosi in una sorta di diseredazione tipizzata.

3.3. Clausola di decadenza e termine ex voluntate testatoris.

Funzione latamente sanzionatoria hanno anche la c.d. clausola di decadenza ed il c.d. termine ex voluntate testatoris.

La prima è la disposizione con cui si fa decadere il beneficiario dalla disposizione (solitamente) con il mezzo tecnico della condizione risolutiva, qualora impugni il testamento o singole disposizione nello stesso contenute.

Una clausola di tale contenuto è ritenuta ammissibile se fatta nei limiti dei diritti disponibili ed in quelli dell’intangibilità della legittima (ove una disposizione di talfatta sia a carico di un legittimario).

Per diritti indisponibili, la giurisprudenza[17] ritiene tali, ad esempio il diritto dell’istituito legittimario di agire in riduzione contro le disposizioni testamentarie lesive della quota di legittima a costui spettante; il diritto di impugnare il testamento per vizi di forma del testamento o per vizi della volontà del testatore o per casi di incapacità di testare o di ricevere; il diritto di un determinato beneficiario a titolo gratuito di far dichiarare l’invalidità di una istituzione che contrasta con un espresso divieto di legge.

In relazione all’intangibilità della legittima, si ritiene che una siffatta clausola possa gravare sulla quota disponibile, rimanendo impregiudicata la facoltà del legittimario di accettare (la sola quota di riserva) qualora incorra nella decadenza.

Con riguardo al termine ex voluntate testatoris, lo stesso consiste nella disposizione con cui il testatore appone un termine più lungo di quello legale per l’accettazione del lascito. E’ evidente la funzione coartante di tale termine, sopratutto qualora il chiamato sia messo nella situazione di dovere scegliere una disposizione piuttosto che un altra[18].

Risolta, secondo la dottrina preferibile[19], l’ammissibilità di una disposizione di tale natura, la stessa si presta ad essere un insidioso strumento di pressione avverso il beneficiario del testamento.

3.4. Onere e condizione.

Alla stregua della clausola di decadenza, anzitutto, il testatore potrebbe subordinare o risolvere il lascito ad un fare o non fare qualcosa, con i mezzi tecnici ora dell’onere ora della condizione.

In relazione all’onere, lo stesso è un negozio che accede ad una disposizione ed assume natura di vera e propria obbligazione giuridica ex 1173 c.c., con tutte le relative conseguenze in caso di inadempimento, precisando quanto segue.

Anzitutto la platea dei legittimati attivamente al richiedere l’adempimento dell’onere è più ampia di quella della classica obbligazione contrattuale, ai sensi dell’art. 648 c.c.. In secondo luogo, la volontà del testatore può spingersi fino a rendere l’onere determinante con conseguente decadenza dal lascito del beneficiario istituito (sempre fermi i limiti di legittima), ove l’onerato non adempia. Particolare attenzione merita l’ambulatorietà dell’onere, espressa dagli articoli 676 c.c. e 577 c.c., in base al quale lo stesso “transita”  da un chiamato ad un altro.

Qualora voglia porsi un onere in capo ad un soggetto, senza coinvolgere i chiamati al lascito successivi, una soluzione pratica sarebbe che il testatore precisi tale richiesta, derogando all’ambulatorietà. Una disposizione di sifatta natura, a parere di chi scrive, è da ritenersi pienamente ammissibile stante l’ampia autonomia negoziale che presidia la volontà del de cuius.

Con riguardo la condizione apposta ad una istituzione di eredità la stessa, ai fini della sua ammissibilità, sconta il limite, già visto, della intangibilità della quota di riserva (ove gravi su un soggetto legittimario) ed il limite di origine giurisprudenziale[20] della coattività della condizione stessa.

In relazione alla problematica della condizione coartante, la stessa sembra essere un rilevante confine alla volontà testamentaria in genere, ed in particolare ove tale volontà abbia connotazioni punitive. infatti, ai sensi dell’articolo 634 c.c. e 626 c.c. la condizione si ha come non apposta, salvo che sia stata la sola che ha determinato il testatore a disporre (nel qual caso inficia l’intera disposizione).

Vista l’ampia accezione che la recente giurisprudenza ravvisa in ordine al termine “coartante”, ricomprendendo in essa tutte le costrizioni che interferiscano liberamente nella determinazione dell’individuo in relazione a diritti costituzionalmente garantiti, sarebbe opportuno, quantomeno per le disposizioni al limite della coercizione,  per il testatore evitare tale strumento oppure precisare che esso sia motivo determinante l’intera istituzione. Altra soluzione sarebbe quella di ricorrere in luogo della condizione all’onere, visto che l’elaborazione giurisprudenziale attuale sembra essersi concentrata solo della costrittività della condizione.

A parere di chi scrive, tuttavia, è evidente come entrambe le fattispecie scontino la stessa problematica, ed infatti anche sul piano normativo si fa riferimento, oltre alla condizione anche all’onere illecito (art 647 c.c.)

Da notare inoltre, come l’apposizione dell’onere o della condizione trovi dei limiti intrinseci in relazione all’art 671[21] in tema di legato, ed all’articolo 484 c.c. [22], in tema di accettazione beneficiata, senza tacere i più volte ricordati limiti di intangibilità della quota di riserva. (artt. 549 e 563 c.c.)

3.5. La penale testamentaria.

Benché sia discussa in dottrina l’ammissibilità nonché la corretta definizione di penale testamentaria[23], la stessa sembra essere accolta dalla tesi prevalente, sulla scorta di diverse argomentazioni[24].

Riguardo i mezzi tecnici con cui porre in essere una disposizione del genere, si noti quanto segue.

Anzitutto la penale potrebbe accedere a disposizioni testamentarie come onere o sublegato di contratto. In tale ultimo caso, il meccanismo contrattuale viene recuperato dalla struttura stessa del legato, stante l’automaticità degli effetti dello stesso. Inoltre si ammette come il testamento possa essere fonte idonea ex art 1173 c.c. di obbligazioni contrattuali.

Da notare, tuttavia, come, ove una penale sia apposta a carico di un legatario, la stessa sarebbe snaturata dalla propria funzione punitiva a causa degli anzidetti limiti che governano la materia, in quanto non potrebbe comunque superare il valore della cosa legata. Discorso diverso sarebbe da fare in caso di penale testamentaria che accede ad una istituzione di erede. In questo ultimo caso, salvi i limiti della legittima e la possibilità di accettare con beneficio di inventario, l’erede risponderebbe anche oltre  il valore della sua quota di eredità.

3.6. Hereditas damnosa.

La stessa pura e semplice istituzione di erede può avere funzione punitiva, ove nell’asse siano presenti solo debiti o gli stessi siano di importo superiore agli elementi attivi.

In tali casi, le uniche tutele per i chiamati all’eredità sono l’accettazione beneficiata, la rinunzia all’eredità o la decadenza dal diritto di accettare l’eredità per avvenuta prescrizione.

Ognuno di tali strumenti ha delle proprie peculiarità. Con riguardo l’accettazione beneficiata o la rinunzia, le stesse hanno il vantaggio di rendere il chiamato impregiudicato dall’eredità passiva a lui offerta in delazione, con definitività e certezza.

Lo svantaggio è che comunque tali atti hanno formalità e degli oneri connessi da rispettare. Per la rinunzia, il rispetto della forma scritta ai sensi dell’art. 519 c.c. e il pagamento dei connessi oneri fiscali; mentre per l’accettazione beneficiata le formalità di cui all’art 484 c.c. ed ugualmente connesse incombenze.

Nessuna formalità sconta il delato che decide di fare decorrere i termini di prescrizione del diritto di accettare, ma cosi facendo, tuttavia, sarebbe esposto ad un più ampio lasso di tempo in cui potrebbe incorrere in comportamenti concretanti accettazione tacita.

3.7. Conclusioni.

In conclusione, il testatore può avvalersi di ampi strumenti per attuare una volontà punitivo/sanzionatoria, nel senso più lato ed omnicomprensivo del termine, ciascuno dei quali sconta propri limiti.

Tra questi limiti, i principali sono quelli di intangibilità della quota di riserva, nonché quelli strutturali del valore della cosa legata e dell’accettazione beneficiata.

Un vero e proprio lascito ereditario economicamente negativo (e che può quindi prestarsi a finalità punitive) concretamente può avvenire  in caso di erede onerato al ricorrere di alcune condizioni.

Anzitutto lo stesso non deve essere soggetto legittimario. In secondo luogo, l’onere deve essere superiore al valore della quota ereditaria. Infine, non deve aver accettato con beneficio di inventario.

Altra ipotesi di lascito economicamente svantaggioso è qualora nell’asse ereditario vi siano solo poste passive.

In tali casi, il soggetto chiamato, anche qualora voglia rinunziare all’eredità, accettare con beneficio o far decorrere il termine di accettare la stessa, verrebbe ad essere messo in una condizione pregiudizievole, vuoi per le formalità connesse all’attività di rinunzia e di accettazione beneficiata, vuoi per il potenziale pericolo di compiere azioni che siano considerabili alla stregua di accettazione tacita di eredità.

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Note

[1]BIGLIAZZI-GERI, il testamento. Il profilo negoziale dell’atto, Milano,1976, p. 100; CRISCUOLI, le obbligazioni testamentarie, Milano, 1980, 159; PEREGO, Favor legis e testamento, Milano, 1970, p. 298.

[2] BONILINI, Autonomia negoziale e diritto ereditario, Riv. Not., 2000 pagg.17, 59, 63.

[3] DIENER, il contratto in generale, Milano 2015, pagg.705, 706; CARBONE, CARINGELLA, I principi del diritto civile, Roma, 2018, pagg. 181, 182.

[4]In giurisprudenza Cass. 21 dicembre 1987 n. 9500.

[5] GIRINO, Studi in tema di stipulazione a favore di terzo, Milano, 1965, 140 ss.

[6] ANDREOLI, Le disposizioni testamentarie a titolo di pena, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1949, p. 331.

[7] DI MAURO, la condizione di non impugnare il negozio testamentario, Famiglia, persone e successioni, 2007, p. 1030.

[8] TAMBURRINO, voce successione necessaria, in Enc. Dir. Milano, 1990, vol .XLIII; IEVA, Manuale di tecnica testamentaria, Padova, 1996, p. 24.

[9] SANTORO PASSERELLI, legato privativo della legittima, in Riv. dir. civ., 1935  pagg. 280, 282.

[10]  Cass. 25 maggio 2012 n. 8352.

[11] BIN, la diseredazione – contributo allo studio del contenuto del testamento, ESI, 2011,p. 213 ss; BIGLIAZZI GERI, Appunti sulla diseredazione in Rapporti giuridici e dinamiche sociali – Principi, norme, interessi emergenti, Milano, 1998, p. 264; TRABUCCHI, L’autonomia testamentaria e le disposizioni negative, in Riv. dir. civ., 1970, pagg. 48, 49.

[12]  Cass. 23 novembre 1982 n. 6339; Cass. 14 dicembre 1996 n. 11195.

[13] Cfr. Cass., 17 ottobre 2018, n. 26062, secondo cui l’effetto della diseredazione ha natura meramente personale, consistendo nell’impedire la vocazione del soggetto escluso e non potendo estendersi anche alla stirpe del diseredato.

Tale pronuncia tuttavia ammette che il testatore potrebbe esplicitamente prevedere che vengano esclusi tutti i discendenti di una determinata persona.

[14]  BIGLIAZZI GERI, A proposito di diseredazione , in Corriere Giuridico, 12, 1994, p. 1503; D. RUSSO, La diseredazione, Torino, 1998, p. 200 e ss.

[15] SCALISI, Clausola di diseredazione e profili di modernità”, Studio n. 339-2012/c, Consiglio Nazionale del Notariato, p. 14; CAPOZZI, Successioni e Donazioni, I, Milano, 2015, p. 198; PORELLO, La clausola di diseredazione, in Il diritto di famiglia e delle persone, 2008, p. 984 e ss.; Cass. 12 marzo 1975, n. 296.

[16]A mente del quale:”Il figlio, anche adottivo, e, in sua mancanza, i discendenti prossimi non sono tenuti all’adempimento dell’obbligo di prestare gli alimenti al genitore nei confronti del quale è stata pronunciata la decadenza dalla responsabilità genitoriale e, per i fatti che non integrano i casi di indegnità di cui all’articolo 463 c.c. possono escluderlo dalla successione.”

[17] App. Roma, 28 aprile 1959; Trib. Brindisi, 21 aprile 1954; Trib. Reggio Calabria, 30 aprile 1977;  App. Milano, 4 maggio 1951; Cass. 5 maggio 1964, n. 1068.

[18] Si pensi al caso in cui un termine più breve per accettare o rinunziare sia apposto ad un legato in sostituzione di legittima.

[19] COVIELLO JR., il termine ex voluntate testatoris per l’accettazione dell’eredità, in Riv. dir. civ., 1957,I, p. 383.

[20]Cass. 15 aprile 2009 n. 8941.

[21]A mente del quale:”Il legatario è tenuto all’adempimento del legato e di ogni altro onere  a lui imposto entro i limiti del valore della cosa legata.”

[22] Difatti l’accettazione beneficiata evita la confusione del patrimonio dell’erede con quello del de cuius.

[23]TRIMARCHI, La clausola penale, Milano 1954, p. 154 ss.

[24] MARINI, Clausola penale, in Enc. giur. Treccani, VI, Roma 1988, p. 4 ss., Ove si rileva che la dottrina in genere e` orientata ad affermare l’ammissibilità della clausola penale testamentaria. Infatti, si precisa che la dottrina accoglie una nozione di disposizione testamentaria penale molto lata e comprensiva di fattispecie differenti, cosicché queste sono collegate fra loro da un generico denominatore sanzionatorio senza alcun riferimento alla loro disciplina.

Jacopo Lucarelli

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