L’assegno di divorzio: indicazioni per il giudizio di merito

Redazione 12/11/19
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Con la sentenza n. 18287 dell’11 luglio scorso, le Sezioni Unite hanno cassato con rinvio la decisione della Corte di Appello di Bologna, la quale aveva esonerato l’ex marito dal versamento dell’assegno divorzile in applicazione dei principi espressi dalla prima sezione nella sentenza 11504 del 2017 (la ex moglie era stata ritenuta economicamente autosufficiente), sul rilievo che la Corte di Appello aveva omesso di verificare se l’attribuzione dell’assegno potesse essere giustificata in funzione “perequativo-compensativa”.

La Corte ha enunciato il principio di diritto per cui: “Ai sensi della L. 898 del 1970, art. 5, comma 6, dopo le modifiche introdotte con la L. n. 74 del 1987, il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto”.

I criteri che devono essere adottati per il giudizio di merito

Le lettura della sentenza delle Sezioni Unite chiama ad interrogarsi su quali indicazioni possano essere ricavate per il giudizio di merito.

Il problema interpretativo posto dal comma 6 dell’art.5 della legge di divorzio, come modificato dalla legge 6 marzo 1987, n. 74, riguarda il significato da attribuire al termine “adeguati”, in riferimento ai mezzi di cui il richiedente dell’assegno deve essere privo, e, in secondo luogo, gli elementi dei quali il giudice deve tener conto.

La Corte afferma, prima, che “l’art. 5 comma 6°, attribuisce all’assegno funzione assistenziale, riconoscendo al coniuge il diritto all’assegno quando non ha mezzi adeguati”, poi che, “il parametro dell’adeguatezza contiene in sé una funzione equilibratrice e non solo assistenziale”, poi ancora che “la funzione assistenziale dell’assegno di divorzio si compone di un contenuto perequativo-compensativo che discende direttamente dalla declinazione costituzionale del principio di solidarietà e che conduce al riconoscimento di un contributo che, partendo dalla comparazione delle condizioni economico patrimoniali dei due coniugi, deve tener conto non soltanto del raggiungimento di un grado di autonomia economica tale da garantire l’autosufficienza secondo un parametro astratto ma, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare …”, poi, ancora di “elemento contributivo-compensativo [che] si coniuga senza difficoltà a quello assistenziale” e, infine, nel formulare il principio di diritto, nuovamente di “funzione assistenziale ed al pari compensativa e perequativa”.

Il fondamento di questa preminenza delle funzioni perequativa e compensativa è individuato nei principi di solidarietà -intesa come solidarietà nelle scelte di vita e quindi anche come autoresponsabilità e libertà nel compimento di tali scelte che si riflettono poi nella situazione economica propria e dell’altra parte al momento della crisi della relazione coniugale-, e di pari dignità, radicati negli artt. 2, 3 e 29 della Costituzione.

Funzione perequativa e funzione compensativa

La funzione perequativa e funzione compensativa vengono spesso considerate come un tutt’uno, benchè le due debbano essere distinte. Difatti, la prima si correla all’esigenza di attribuire alla parte un assegno proporzionato al contributo da essa dato alla formazione del patrimonio comune e alla formazione della ricchezza dell’altro coniuge; mentre la seconda si correla, per un verso, alle occasioni professionali e di guadagno perse o non interamente sfruttate dall’avente diritto all’assegno, a causa dell’assunzione di un determinato ruolo endofamiliare e, per altro verso, alla possibilità di recuperare il pregiudizio professionale.

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La Corte di Cassazione, sesta sezione civile, nell’ordinanza n. 27771/2019 pronunciandosi sul ricorso di un uomo che, a seguito di scioglimento del matrimonio, era stato onerato del pagamento alla ex moglie di un assegno divorzile di 3.500 euro, somma poi ridotta di mille euro dal giudice d’appello.

Una decisione contestata in Cassazione sia dall’ex moglie che dal marito i quali lamentano una violazione o comunque una non corretta applicazione dei criteri per la determinazione del quantum dell’assegno divorzile posti dall’art. 5, comma 6, della legge n. 898/1970.

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