L’appello nell’ordinamento penale

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L’appello nel diritto penale è noto anche come secondo grado, ed è l’istituto al quale si ricorre per appurare gli eventuali errori incorsi nel primo grado di giudizio.

Assolve dal lato tecnico sia la funzione di querela nei confronti di sentenze nulle oppure annullabili, sia di gravame di sentenze valide ma ingiuste in fatto e in diritto.

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La disciplina codicistica

L’appello è previsto e disciplinato nel codice di procedura penale all’articolo 593 e seguenti.

L’articolo 593 del codice di procedura penale prevede i seguenti casi di appello:

 Salvo quanto previsto dagli articoli 443, comma 3, 448, comma 2, 579 e 680, l’imputato può appellare contro le sentenze di condanna mentre il pubblico ministero può appellare contro le medesime sentenze solo quando modificano il titolo del reato o escludono la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato.

Il pubblico ministero può appellare contro le sentenze di proscioglimento. L’imputato può appellare contro le sentenze di proscioglimento emesse al termine del dibattimento, salvo che si tratti di sentenze di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso.

Sono in ogni caso inappellabili le sentenze di condanna relative a contravvenzioni per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda e le sentenze di proscioglimento relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda o con pena alternativa.»

(art.593 c.p.p.).

Questo articolo ha subito negli anni recenti continue modifiche, cambiando in modo netto dal 2006 al 2008 prima con l’opera legislativa della Legge Pecorella, poi con le decisioni pesanti della Corte Costituzionale che l’hanno quasi interamente riportato alla forma originale.

Le competenze

L’articolo 596 del codice di procedura penale stabilisce le regole per determinare quale giudice sia competente sull’appello proposto contro le sentenze di primo grado.

Prevede che:

Sull’appello proposto contro le sentenze pronunciate dal tribunale, dal pretore e dal giudice per le indagini preliminari presso la pretura decide la corte di appello.

Sull’appello proposto contro le sentenze della corte di assise decide la corte di assise di appello.

Salvo quanto previsto dall’articolo 428, sull’appello contro le sentenze pronunciate dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale, decidono, rispettivamente, la corte di appello, e la corte di assise di appello a seconda che si tratti di reato di competenza del tribunale o della corte di assise.

In relazione alle sentenze emesse dal giudice di pace, la competenza spetta al Tribunale ordinario in composizione monocratica.

I termini

I termini per appellare sono quelli previsti dalle disposizioni delle impugnazioni all’articolo 585 del codice di procedura penale, ed è previsto, come nel processo civile, l’appello incidentale, precisamente dalle disposizione dell’articolo 595 del codice di procedura penale.

Stando al quale:

La parte che non ha proposto impugnazione può proporre appello incidentale entro quindici giorni da quello in cui ha ricevuto la comunicazione o la notificazione previste dall’articolo 584.

L’appello incidentale è proposto, presentato e notificato a norma degli articoli 581, 582, 583 e 584.

L’appello incidentale del pubblico ministero produce gli effetti previsti dall’articolo 597 comma 2; esso tuttavia non ha effetti nei confronti del coimputato non appellante che non ha partecipato al giudizio di appello. Si osservano le disposizioni previste dall’articolo 587.

L’appello incidentale perde efficacia in caso di inammissibilità dell’appello principale o di rinuncia allo stesso.

Si può notare, anche dalle stesse disposizioni, una particolarità dell’appello incidentale in penale.

La legge rende efficaci gli effetti previsti per l’impugnazione del Pubblico Ministero.

La possibilità di reformatio in peius vietata da parte dell’ordinamento, in caso di impugnazione dell’imputato (art. 597, comma 2 c.p.p.).

 

I poteri del giudice

Una questione da sempre controversa in dottrina è quella relativa agli effettivi poteri di cognizione del giudice d’appello, che sono definiti dall’articolo 597 del codice di procedura penale.

Il comma 1 pone dei limiti al potere cognitivo del giudice:

L’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti.

La disposizione è stata in passato motivo di dibattito sull’effettivo potere di cognizione del giudice. Ci si chiedeva se il potere del giudice si esaurisse nei confini della domanda proposta dall’impugnante o se potesse superare la domanda stessa.

È opinione consolidata che in realtà il giudice abbia pieni poteri cognitivi come il giudice di primo grado, limitati esclusivamente ai capi o ai punti della sentenza impugnati, indipendentemente da quello che richiede la domanda d’impugnazione.

I poteri di cognizione del giudice d’appello non sono sempre uguali.

Si diversificano a seconda che l’impugnazione sia stata proposta dall’imputato (art.597, comma 3 cp.p.) o dal Pubblico Ministero (art. 597, comma 2 c.p.p.), anche in caso di appello incidentale del secondo.

Nel caso d’impugnazione del Pubblico Ministero, il giudice non ha limiti se non quelli stabiliti dal comma 1:

Quando appellante è il pubblico ministero:

a) se l’appello riguarda una sentenza di condanna, il giudice può, entro i limiti della competenza del giudice di primo grado, dare al fatto una definizione giuridica più grave, mutare la specie o aumentare la quantità della pena, revocare benefici, applicare, quando occorre, misure di sicurezza e adottare ogni altro provvedimento imposto o consentito dalla legge;

b) se l’appello riguarda una sentenza di proscioglimento, il giudice può pronunciare condanna ed emettere i provvedimenti indicati nella lettera a) ovvero prosciogliere per una causa diversa da quella enunciata nella sentenza appellata;

c) se conferma la sentenza di primo grado, il giudice può applicare, modificare o escludere, nei casi determinati dalla legge, le pene accessorie e le misure di sicurezza.

 

Si pone  più impegnativo l’appello proposto dall’imputato:

Quando appellante è l’imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l’imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici, salva la facoltà, entro i limiti indicati nel comma 1, di dare al fatto una definizione giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado.

Questo principio è chiamato divieto di reformatio in peius.

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