L’ammortamento alla francese

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SOMMARIO: 1.Il Linguaggio Giuridico. 2. Artt. 821, 1283, 1194 c.c.; art. 120 TUB: NATURA GIURIDICA. 3. ESIGIBILITA’ – SCADENZA degli interessi. 4. L’art. 120 TUB. 5. Funzione economica del contratto di conto corrente. 5 . Funzione economica del contratto di conto corrente 6. Le rimesse: caratteri essenziali. 7. Gli effetti delle annotazioni in conto corrente. 8. Compensazione tra i vari crediti e saldo. 9. Nell’ammortamento alla francese il fenomeno della capitalizzazione degli interessi si genere su interessi scaduti o su interessi maturati?10. Una visione storica. 11. Dove si annida la capitalizzazione. 12. Le conseguenze in caso di nullità della patto sugli interessi. 13. L’art. 1424 c.c.: La conversione del contratto nullo. 14. Natura degli interessi. 15. La misura degli Misura. 16. Decorrenza degli interessi. 17.  Volume

  1. Il Linguaggio Giuridico

È  opportuno, oggi più che mai, fare attenzione all’uso del linguaggio, al fine di evitare un uso improprio di sinonimi che tali non sono, poiché ogni vocabolo si riferisce ad un istituto giuridico ben definito con i propri contenuti, i propri limiti e le conseguenze di ordine processuale.

Sussistono nel linguaggio (a)giuridico alcuni binomi che devono essere sciolti ovvero:

  1. anatocismo – capitalizzazione
  2. maturazione – esigibilità (scadenza)

Quanto al primo binomio la distinzione tra anatocismo capitalizzazione è rintracciabile sia nel codice civile che nel TUB.

Il concetto di capitalizzazione, ha una portata, direi assorbente, rispetto a quello di anatocismo.

L’art. 120 tub (precedente le riforme apportate  dall’art. 4, comma 2, D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141, come modificato dall’art. 3 D.Lgs. 14 dicembre 2010, n. 218 e dall’art. 1, comma 629, L. 27 dicembre 2013, n. 147 e, successivamente, così modificato dall’art. 17-bis, comma 1, D.L. 14 febbraio 2016, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 aprile 2016, n. 49) demandava al CICR le modalità e criteri per la produzione di interessi su interessi nelle operazioni poste e non di interessi su interessi scaduti come invece è stabilito dall’art. 1283 c.c.; ma non solo.

La delibera CICR 9.02.2000, in modo, direi sorprendente, salvo che nel preambolo, utilizza sempre il termine capitalizzazione, chiaramente non nella accezione di sinonimo, con il preciso scopo di disciplinare un fenomeno matematico con riflessi giuridici molto più ampi di quelli rilevabili dall’art. 1283 c.c.

Anche l’art. 821, come altrettanto noto  ci insegna che I frutti civili si acquistano giorno per giorno, in ragione della durata del diritto.

            Una interessante sentenza della Corte di Cassazione del 1964, la n. 191, fa presente che in tema di maturazione degli interessi, il periodo preso come base per il calcolo di essi è il giorno : i frutti civili si acquista giorno per giorno.

            Dal momento che l’art. 1284 c.c. stabilisce che il saggio degli interessi legali è il cinque per cento in ragione di anno, laddove occorre determinare l’importo degli interessi stessi per un periodo inferiore all’anno, bisogna dividere l’importo degli interessi annuali per il numero dei giorni che compongono l’anno e moltiplicare il quoziente per il numero dei giorni da considerare.

Già la Corte del 1964 concepiva il calcolo degli interessi nella forma semplice.

L’art. 1283 c.c. si pone in assoluta assonanza con la disciplina di cui agli artt. 820 e 821, infatti pone un divieto di anatocismo, ovvero di calcolo degli interessi sugli interessi scaduti, cioé di quei frutti che si sono separati dalla materia che li ha prodotti, che nel caso che ci interessa prende il nome di capitale.

L’art. 1283, prevede tuttavia una deroga: gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi.

Altra norma che entra in gioco nel rapporto capitale ed interessi è l’art. 1194 c.c. che prevede un ordine ben preciso nell’imputare i pagamenti, prima agli interessi piuttosto che al capitale: anche tale norma evidenzia una chiara coerenza nella disciplina codicistica.

Se gli interessi vengono pagati per primi, naturalmente questi non potranno produrne di nuovi.

In realtà, l’art. 1194 vuole che il capitale si pagato per ultimo proprio perché lo stesso possa continuare a produrre interessi, dal momento che questi ultimi non possono, e ciò per favorire il creditore!

Quanto sin qui esposto chi scrive, ritiene possa portare ad una prima scissione del binomio capitalizzazione interessi: è adesso il momento di dare una qualificazione tecnica delle norme esaminate ovvero, l’art. 821 c.c., l’art. 1283 c.c., l’art. 1194  c.c., l’art. 120 TUB, la Delibera CICR 9.02.2000.

  1. Artt. 821, 1283, 1194 c.c.; art. 120 TUB: Natura giuridica

Ebbene, sia l’art. 821, che 1283 (con le precisazioni di seguito verranno date) che l’art. 1194 c.c. sono norme dispositive  e non imperative, pertanto le parti possono derogarvi.

È giusto precisare che l’art. 1283 c.c. è una norma che ha una particolarità: la norma ci dice quando gli interessi scaduti possono produrre interessi, ovvero, solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi. (salvo usi contrari che qui non interessa affrontare): in tutti gli altri casi non è possibile.

Dunque tecnicamente la norma non può dirsi imperativa, dal momento che prevede una possibilità (complessa) in cui gli interessi scaduti possono produrre interessi, ma ne limita la derogabilità, derogabilità ammissibile, oltre che per la fattispecie complessa descritta dalla norma,  solo in presenza di usi (non negoziali) contrari.

Diversamente, l’art. 120 c. 2 TUB, è norma imperativa, imperatività che viene trasmessa alla delibera CICR 9.02.2000: e non solo,  è norma speciale rispetto alle citate norme che hanno natura generale, da qui il noto brocardo: lex specialis derogat generali.

            Utilizzando le analisi appena fatte, dobbiamo adesso porci una domanda, a mio avviso determinante: nell’ammortamento alla francese il fenomeno della capitalizzazione degli interessi si genere su interessi scaduti o su interessi maturati?

E qui si rende necessario sciogliere il secondo binomio, frutto di malintesi: maturazione – esigibilità (scadenza).

  1. Esigibilità-scadenza degli interessi

Indubbiamente, diversamente da quanto sostenuto da alcuni giudici, il concetto di maturazione è un termine giuridico, così come l’esigibilità, ma da esso ben distinto.

Ancora una volta dobbiamo partire dall’art. 821 c.c., anzi, in questo caso dall’art. 820 c. 3: Sono frutti civili quelli che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia. Tali sono gli interessi dei capitali (c. 1282, 1815), i canoni enfiteutici (c. 957 ss.), le rendite vitalizie (c. 1872 ss.) e ogni altra rendita, il corrispettivo delle locazioni (c. 1571 ss.); nell’art. 821 c. 2 si legge: I frutti civili si acquistano giorno per giorno, in ragione della durata del diritto.

Nelle due norme, saltano all’evidenza i termini ritraggono e acquistano: anche qui si assiste ad una assoluta coerenza del sistema.

I frutto esiste nel momento in cui non solo è maturato ma nel momento in cui può essere ritratto, quindi sganciato da ciò che lo ha prodotto: il suo venire ad esistenza non ne determina, tuttavia, la relativa esigibilità, che è demandata all’autonomia contrattuale: sarà una convenzione a determinare i tempi di consegna del frutto: in altri termini la scadenza per il relativo pagamento.

Appare interessante al caso la Cass. civ., sez. I, 24-05-2005, n. 10896:  Tali frutti civili si acquistano giorno per giorno in ragione della durata del diritto (art. 821, 3º comma, c.c.), a far data dalla domanda di divisione, quale momento d’insorgenza del debito di restituzione (pro quota) del bene medesimo (art. 1148 c.c.).

Anche l’art. 1284 c.c. parla di decorrenza degli interessi e la relativa debenza, che tuttavia resta legata alla convenzione tra i contraenti.

Al contrario l’art. 1283, presuppone un interesse scaduto, quindi maturato e che ha assunto una sua natura distinta dal capitale: non a caso gli interessi assumono la natura di obbligazione accessoria.

            Quello che sfugge nelle norme richiamate è la mancanza di una determinazione temporale chiara in cui il frutto è venuto ad esistenza e dunque assume la sua autonomia dal capitale.

            Nell’art. 820 c. 3 c.c. recita: Sono frutti civili quelli che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia: ma non dice quando si ritraggono, né indica dei parametri che ne consentano la determinazione.

In realtà, come potrebbe invece sembrare, non soccorre il comma 2 dell’art. 821 laddove recita:  i frutti civili si acquistano giorno per giorno.          Infatti il termine acquistano è diverso da ritraggono: il secondo temine, pare legato più ad una tradizione naturalistica (legata al frutto naturale), il primo, invece assume una natura più “positivistica” quindi di traditio e che finisce per assumere, a parere di chi scrive,  una funzione SUPPLETIVA:  stabilisce che i frutti civili si acquistano giorno per giorno, salvo diversa pattuizione.

L’art. 821 c.c., quindi non è una norma dispositiva in senso stretto (ed infatti viene detta suppletiva), poiché lascia all’autonomia contrattuale la possibilità di prevedere un tempo diverso dal giorno per giorno.

  1. L’art. 120 TUB

L’attuale formulazione dell’art. 120 TUB, in effetti utilizza un linguaggio più preciso:

Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che:

Adesso la norma non specifica più, né interessi su interessi scaduti (art. 1283 c.c.), né interessi su interessi, come stabiliva la precedente formulazione dell’art. 120 tub. Appare evidente la volontà del legislatore, già annunciata con la riforma del 2000, di disciplinare ogni ipotesi di capitalizzazione.

a) nei rapporti di conto corrente[1] o di conto di pagamento sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori, comunque non inferiore ad un anno; gli interessi sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, in ogni caso, al termine del rapporto per cui sono dovuti;

Viene usato il termine conteggio: termine ragioneristico che significa calcolare ed annotare così da creare le basi di calcolo degli interessi.

In realtà il conteggio va di pari passo con la maturazione: sono fasi “in itinere” che culminano nella esigibilità e dunque nel pagamento.

b) gli interessi debitori maturati, ivi compresi quelli relativi a finanziamenti a valere su carte di credito, non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora, e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale; per le aperture di credito regolate in conto corrente e in conto di pagamento, per gli sconfinamenti anche in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido:

Tale norma pone (finalmente) sotto la giusta luce il concetto di maturazione, e in deroga alla precedente formulazione dell’art. 120 TUB e della delibera CICR 9.02.2000,  esclude ogni forma di capitalizzazione degli interessi, anche di quelli moratori.

In definitiva, viene mantenuta integra ed unica la definizione di interessi indifferentemente dalla relativa funzione, sia essa corrispettiva, compensativa o moratoria.

1) gli interessi debitori sono conteggiati al 31 dicembre e divengono esigibili il 1° marzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati; nel caso di chiusura definitiva del rapporto, gli interessi sono immediatamente esigibili;

2) il cliente può autorizzare, anche preventivamente, l’addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili; in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale; l’autorizzazione è revocabile in ogni momento, purché prima che l’addebito abbia avuto luogo[2]. 

Gli interessi, dunque, devono essere pagati periodicamente.

Il legislatore si tiene fedele alla tradizione lasciando come base di calcolo l’anno.

Tale accorgimento consente di mantenere equivalente il TAN ed il TAE.

La particolarità della norma, che dio fatto apporta una modifica alla disciplina codicistica[3] è la parte della norma che prevede: l’addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili.

Infatti, i particolari elementi che costituiscono il contratto di conto corrente valgono a differenziarlo da altri contratti che, a prima vista, potrebbero risultare simili.

Nell’ipotesi di conto corrente bancario manca infatti il requisito della  reciprocità.

La banca esegue solo gli ordini che le vengono impartiti dal cliente e gli accrediti che effettua sul conto non possono essere considerati delle vere e proprie rimesse poiché manca il trasferimento della somma dall’uno all’altro contraente e l’accreditamento a favore del remittente.

Inoltre, mentre l’effetto del conto corrente ordinario è, come si è visto, quello di rendere inesigibili i crediti, nel conto corrente bancario il credito del cliente è sempre disponibile [4].

Non sono, tuttavia, mancati autorevoli tentativi di riportare il conto corrente bancario allo schema generale del conto corrente ordinario.

Si è infatti sostenuto che nonostante le rimarchevoli differenze, vi è una certa identità di funzione, creare cioè una moneta scritturale capace di sostituire nei rapporti inter partes la moneta legale[5].

Sull’argomento si è pronunciata da ultimo la Suprema Corte, la quale, affermando che il correntista di conto corrente bancario può disporre in qualsiasi momento delle somme risultanti dal suo credito, che sono pertanto esigibili per tutta la durata del rapporto, stabilisce che in questa ipotesi, a differenza che nel conto corrente ordinario, nel quale i crediti sono inesigibili fino alla chiusura del conto, i saldi attivi di uno o più conti possono compensarsi con quelli passivi di altri conti in applicazione del principio generale di cui all’art. 1241, nonché in applicazione dell’art. 1853 (C. 6558/97)[6].

L’apertura di credito in conto corrente , contratto attraverso cui la banca si impegna a tenere una somma di denaro a disposizione del cliente e questo ha la facoltà di utilizzarla e reintegrarla con successivi versamenti, differisce dal conto corrente ordinario poichè difetta sia del requisito di reciprocità, dato che la banca non esegue pagamenti a titolo di restituzione, ma a titolo di prestito, sia della libertà e della facoltatività, visto che la banca non può eseguire i versamenti quando crede, ma solo su richiesta della parte[7].

Anche nel contratto di deposito bancario in conto corrente mancano i requisiti tipici del conto corrente ordinario, poiché la banca si impegna a restituire, su richiesta del cliente, le somme depositate[8].

Dalla inesigibilità dei crediti parte della dottrina deduce che la compensazione operi solo alla chiusura del conto e non anche volta per volta.

La tesi si fonda sul presupposto che l’unico credito esigibile alla scadenza del conto è il saldo, per ottenere il quale, durante il rapporto, si formano due masse creditorie che alla fine si compensano tra loro.

Non è, pertanto, possibile che la compensazione operi di volta in volta ad ogni successiva rimessa[9].

Coloro che, invece, ritengono il differimento nella riscossione in rapporto di mezzo a fine con la compensazione, ammettono la c.d. compensazione progressiva .

L’inesigibilità, infatti, sarebbe funzionale e troverebbe la sua ragione d’essere nel consentire la compensazione, non nel differirla[10].

Il 2° co. dell’art. 1823 stabilisce che il saldo è esigibile alla scadenza prevista e aggiunge che, qualora non ne venga richiesto il pagamento, esso si considera quale prima rimessa di un nuovo conto e il contratto si intende rinnovato a tempo indeterminato.

Interpretando la norma, si è ritenuto che la chiusura del conto non coincida con lo scioglimento del rapporto e che la facoltà delle parti di differire l’esigibilità dei crediti valga anche per il credito del saldo.

Se, però, la chiusura coincide con la scadenza del contratto, la mancata richiesta di pagamento rinnova tacitamente il contratto.

Altrimenti argomentando si arriverebbe a ritenere inesigibili i crediti a scadenze intermedie, ma ciò sarebbe in contrasto con il 1° co. dell’articolo in esame che parla di inesigibilità a chiusura del conto[11].

  1. Funzione economica del contratto di conto corrente

L’annotazione dei crediti e il differimento del loro pagamento comporta, indubbiamente, una semplificazione nell’adempimento delle reciproche obbligazioni.

Tale circostanza ha indotto parte della dottrina a ritenere che attraverso il conto corrente si realizzi una reciproca concessione di credito.

Si tratterebbe infatti di concedere, ciascuna parte al proprio debitore, una dilazione del pagamento dei debiti[12].

Questa tesi è stata ripresa anche dalla giurisprudenza quando afferma che il contratto di conto corrente ha il fine di evitare il pronto pagamento dei crediti esigibili che possono maturare a favore di ciascuna delle parti nel corso di una loro durevole relazione di affari, rendendone possibile una differita e globale compensazione.

Le parti, pertanto, si concedono contemporaneamente credito per le reciproche rimesse, considerandole inesigibili e indisponibili, con conseguente dilazione dei reciproci debiti e crediti fino alla chiusura del conto (C. 2208/66[13]; A. Napoli 23.4.56[14]; T. Napoli 31.1.80[15]).

In senso contrario si è invece sostenuto che il differimento del pagamento, proprio perché reciproco, non realizza una concessione di credito.

In realtà, esso assume un ruolo strumentale rispetto alla liquidazione per differenza che soddisfa, non solo l’interesse del debitore all’eventuale compensazione dei debiti con eventuali crediti a proprio favore, ma anche l’interesse del creditore che può utilizzare il credito in futuri rapporti da cui scaturisca a suo carico una obbligazione[16].

  1. Le rimesse: caratteri essenziali

È opinione condivisa che le rimesse, pur comportando, generalmente, una trasmissione di denaro, possono riguardare anche altri valori: beni, come ad esempio merci, o semplicemente crediti. In sostanza, qualsiasi rapporto giuridico da cui sorga un credito[17].

I caratteri delle rimesse vengono individuati nella facoltatività, libertà e reciprocità. In particolare si sostiene che la rimessa è facoltativa poiché le parti non si obbligano a concludere affari futuri, ma semplicemente ad annotare i crediti, se e in quanto quegli affari siano posti in essere. La rimessa non ha, pertanto, carattere di prestazione dovuta in forza del contratto di conto corrente[18].

Si dice, inoltre, che le rimesse siano libere nel senso che ciascuna parte può effettuarle quando crede, senza che vi sia alcuna causa e anche se risulta creditrice[19].

Questa affermazione è stata ritenuta, tuttavia, ingiustificata e si è affermato che essa, traendo spunto da quanto si verifica nel conto corrente bancario, implicherebbe l’assunzione di un impegno negoziale, quello di restituzione dell’altra parte, che va oltre il dettato normativo[20].

Si parla, infine, di reciprocità delle rimesse nel senso che se solo una delle parti si obbliga a fare credito all’altra, non si è nell’ambito del conto corrente.

E reciproche devono essere anche la facoltatività e la libertà [21].

Sono considerate caratteristiche essenziali del contratto di conto corrente la libertà e la reciprocità delle rimesse, nonché l’indisponibilità e l’inesigibilità del saldo fino alla chiusura del conto[22].

Se una sola delle parti esegue delle rimesse non si ha rapporto di conto corrente, ma un conto di gestione[23].

  1. Gli effetti delle annotazioni in conto corrente

Gli effetti delle rimesse in conto sono quelli di rendere i crediti inesigibili ed indisponibili .

Essi, pertanto, non possono venire richiesti alla loro scadenza naturale, né tantomeno possono essere ceduti a terzi[24].

L’indisponibilità determina anche l’impossibilità per il creditore del titolare del credito di compiere aggressioni su di essi[25].

L’art. 345 dell’abrogato codice di commercio riteneva che la annotazione di un credito nel conto producesse una novazione dell’obbligazione precedente nei rapporti tra rimettente e ricevente.

In conseguenza di ciò venivano meno le garanzie eventualmente costituite sul credito e si precludeva alle parti qualsiasi azione o eccezione ad esso relativa.

Attualmente è da escludere che si verifichi tale effetto novativo.

Lo si argomenta infatti, oltre che dal silenzio della legge, che non riproduce alcuna norma del tenore del citato art. 345, anche dalla esplicita previsione dell’esercizio di azioni o eccezioni relative all’atto da cui il credito deriva (v. sub art. 1827) e dalla possibilità che il credito sia assistito da garanzie reali o personali (v. sub art. 1828).

Il singolo credito non perde, perciò, la sua individualità, né si rompe il nesso causale con il negozio giuridico da cui ha origine[26].

Le parti, obbligandosi ad annotare in conto i crediti derivanti da reciproche rimesse, li considerano inesigibili e indisponibili fino alla chiusura del conto (T. Napoli 8.5.74[27], distinguendo tra conto corrente bancario e conto corrente ordinario).

L’assenza di ogni effetto novativo fa sì che le rimesse mantengano il loro carattere giuridico di veri e propri crediti (C. 2860/64)[28], conseguentemente le annotazioni in conto corrente non valgono a modificare la natura e la funzione dei singoli crediti, rimanendo ogni rapporto individuabile per i suoi caratteri sostanziali.

  1. Compensazione tra i vari crediti e saldo

Dalla inesigibilità dei crediti parte della dottrina deduce che la compensazione operi solo alla chiusura del conto e non anche volta per volta.

La tesi si fonda sul presupposto che l’unico credito esigibile alla scadenza del conto è il saldo, per ottenere il quale, durante il rapporto, si formano due masse creditorie che alla fine si compensano tra loro.

Non è, pertanto, possibile che la compensazione operi di volta in volta ad ogni successiva rimessa[29].

Coloro che, invece, ritengono il differimento nella riscossione in rapporto di mezzo a fine con la compensazione, ammettono la c.d. compensazione progressiva .

L’inesigibilità, infatti, sarebbe funzionale e troverebbe la sua ragione d’essere nel consentire la compensazione, non nel differirla[30].

Il 2° co. dell’art. 1823 stabilisce che il saldo è esigibile alla scadenza prevista e aggiunge che, qualora non ne venga richiesto il pagamento, esso si considera quale prima rimessa di un nuovo conto e il contratto si intende rinnovato a tempo indeterminato.

Interpretando la norma, si è ritenuto che la chiusura del conto non coincida con lo scioglimento del rapporto e che la facoltà delle parti di differire l’esigibilità dei crediti valga anche per il credito del saldo.

Se, però, la chiusura coincide con la scadenza del contratto, la mancata richiesta di pagamento rinnova tacitamente il contratto.

Altrimenti argomentando si arriverebbe a ritenere inesigibili i crediti a scadenze intermedie, ma ciò sarebbe in contrasto con il 1° co. dell’articolo in esame che parla di inesigibilità a chiusura del conto[31].

  1. Nell’ammortamento alla francese il fenomeno della capitalizzazione degli interessi si genere su interessi scaduti o su interessi maturati

            Innanzitutto, ritenere che l’ammortamento alla francese genera anatocismo implica un onere probatorio più complesso: dimostrare che gli interessi capitalizzati sono stati generati dagli interessi scaduti.

            Se ciò fosse vero, ovvero che la formula matematica che sviluppa il piano di a.f. genere interessi composti per effetto di interessi calcolati si interessi scaduti, GIURIDICAMENTE non sussisterebbe alcuna violazione per effetto dell’art. 1194 c.c.: venendo pagati, per imputazione prima gli interessi non vi sarebbe modo di generare capitalizzazione.

La conclusione appena rassegnata, non è tuttavia condivisibile laddove si ritenga che il fenomeno della capitalizzazione degli interessi si genera in corrispondenza delle scadenze delle rate, in quanto è opinione di chi scrive, che la capitalizzazione (in senso stretto) operi durante la maturazione degli interessi e non nel momento in cui questi vengono ritratti o acquistati

Sotto il profilo tecnico, per quanto compete alla formazione di chi scrive, bisogna, distinguere tra piano di ammortamento e piano di rimborso.

Il primo serve a quantificare quanta parte di ciascuna, singola rata rimborsa il capitale originariamente mutuato e quanto interesse ne paga.

Il secondo serve a stabilire quante rate, di quale entità e con quale cadenza temporale servano, ad un tempo, a rimborsare una somma mutuata e remunerarla degli interessi corrispettivi.

Dal piano di ammortamento si può risalire al piano di rimborso per relationem; ma è l’interesse che scaturisce dalla somma delle rate, detta montante, in rapporto al capitale prestato, a determinare il tasso effettivo da questi determinato secondo questa semplice relazione: Interesse = somma delle rate (montante) – capitale mutuato.

Da quanto appena sostenuto  consegue che il tasso d’interesse effettivo i è dato dal rapporto tra l’interesse percepito o da percepire ed il capitale mutuato in funzione del tempo.

Il piano di ammortamento sovente è omesso nel contratto di mutuo, mentre è presente, oltre alla indicazione numerica del tasso dell’interesse corrispettivo, solo il piano di rimborso.

            In conclusione, gli elementi che determinano quale è il tasso d’interesse corrispettivo pattuito sono:

a) la misura espressa in cifre e

b) quella che è determinata dal piano di rimborso.

Poiché questa è la procedura stabilita dalle direttive, la quale però applica la formula dell’attualizzazione ad interesse composto, richiamiamo la formula che, risolta rispetto al tasso-incognita i, esprime tutti i costi di un credito: ove C è il capitale mutuato, t il tempo, k il numero della singola rata e  rappresenta la sommatoria che va dalla prima rata k = 1 sino all’ultima k = m, stabilita dalla convenzione con la quale si stabilisce la modalità di restituzione di un prestito con contemporaneo pagamento del corrispettivo.

Ovviamente, la formula appena indicata, noti tutti gli altri elementi, consente, al mutar dell’incognita, di conoscere il capitale prestato o l’entità della rata o il tempo t e qualsiasi altro elemento ivi presente.

Essa costituisce anche la base di partenza per costruire i piani di ammortamento dei mutui secondo il principio di proporzionalità ed i canoni della legge lineare degli interessi.

Argomento sorprendentemente trascurato in quasi tutti i libri di matematica finanziaria attualmente in uso.

Quella qui sopra rappresentata, infatti, è la formula dell’attualizzazione secondo il regime dell’interesse semplice, detto anche lineare o proporzionale, e segue la progressione aritmetica (1, 2, 3, 4, 5, …) stabilita dall’art. 821 c.c., al contrario dell’attualizzazione secondo il regime dell’interesse composto, detto anche legge esponenziale che segue la progressione geometrica (2, 4, 8, 16, 32, …).

Considerando l’interesse come la velocità con la quale si remunera un capitale, la formula è paragonabile al moto costante delle lancette dell’orologio, mentre la formula[32] è paragonabile all’accelerazione (variazione della velocità nell’unità di tempo) che un oggetto, lanciato dal ventesimo piano di un edificio, subisce per effetto della forza di gravità.

Il metodo dell’attualizzazione ci dice quanto vale al momento della stipula del contratto di mutuo un montante di rate che il mutuatario pagherà nel futuro.

Il termine che giustifica l’uguaglianza è il tasso d’interesse i che nel regime della linearità è il tasso realmente effettivo che esprime tutti i costi di un credito.

Come noto, gli elementi che si evincono dal piano di ammortamento, quali la parte di capitale che ciascuna rata rimborsa o la quota di interesse che ciascuna rata paga, sono di per sé del tutto inconferenti per stabilire la misura dei frutti convenuti o pretesi.

In altri termini. essi non sono di alcuna utilità per risolvere l’equazione per conoscere il tasso d’interesse effettivo i di un piano di rimborso.

  1. Una visione storica

Il Prof. A. Casano, già nel XIX secolo, dimostrava in modo assai esplicito che l’ammortamento a scalare, o a scaletta o annnuité, comunemente denominato «francese» (e modellato, come abbiamo visto, sull’imputazione prima agli interessi ex art. 1194 c.c.), comporta l’anatocismo: «Questo problema dell’annuità è presso noi conosciuto col nome di calcolo a scaletta, che si enuncia col linguaggio d’interesse semplice, mascherando l’interesse composto sotto la condizione dell’obbligo di pagare in fin di ogni unità di tempo gli interessi semplici del capitale già maturati; imperciocché questa maniera di pagare i frutti all’altra equivale di dover pagare gl’interessi degl’interessi dopo il tempo t»[33].

La dimostrazione matematica che segue tale enunciazione mostra che la quota capitale, contenuta in ciascuna, singola rata costituente il piano di rimborso di un mutuo, si incrementa incorporando (rectio, capitalizzando) gli interessi che aumentano secondo la progressione geometrica.

Nell’ammortamento c.d. francese ogni quota capitale si incrementa, rispetto alla precedente, della quantità costante 1+i, ove i è il tasso d’interesse.

L’incremento complessivo delle quote capitali è dato quindi da (1+i)t, ove t sono i periodi di tempo intercorrenti tra una rata e l’altra.

Tale incremento segue la legge della progressione geometrica o esponenziale degli interessi.

Il fattore 1+i prende il nome di ragione della progressione geometrica.

  1. Dove si annida la capitalizzazione

Come ho già altrove scritto, in base alla definizione data, un capitale C impegnato ad un interesse composto con capitalizzazione annua al tasso annuo unitario i genererà un montante o capitale finale M dopo un anno dato dalla somma

C + I dove I = C i

è l’interesse maturato nell’anno.

Si ottiene dunque che :

M1 = C + C i = C (1 + i).

Passando al secondo anno il capitale messo a frutto non è più C ma M1 e quindi il montante di C, alla fine del secondo anno, è:

M2 = M1 (1 + i) ovvero, C (1 + i)2

Da tali passaggi si arriva a definire che il montante composto M del capitale C, alla fine di un numero t di anni è pari a:

M = C (1 + i)t

La formula appena enunciata, detta anche convenzione esponenziale è una legge di capitalizzazione composta cosi come,

I = C [(1 + i)t -1]

            E qui si fermano le mie considerazioni matematiche, per una ragione puramente logica:

  • o è vero l’assunto secondo cui in regime di capitalizzazione composta gli interessi sono capitalizzati ,
  • o è vero, come si legge in molte sentenze, che il regime di capitalizzazione è composto ma ciò non genera alcun effetto di capitalizzazione.

Tale sillogismo si rende necessario per tracciare una linea di confine tra il ruolo del giurista e quello del matematico.

Se è vero il primo assunto, il giurista, sia esso giudice o avvocato, deve muoversi sul piano del diritto sia sostanziale che processuale, ed ecco perché, ritengo, allo stato primaria, per i giuristi avere una risposta alla  domanda: il fenomeno della capitalizzazione degli interessi si genere su interessi scaduti o su interessi maturati?

Perché è proprio la risposta a questa domanda che potrà stabilire, giuridicamente se la formula degli interessi composti è compatibile con il nostro ordinamento oppure no.

            È opportuno adesso passare alle conseguenze che derivano dal riconoscere l’a.f. come una forma di ammortamento a interesse composto.

Per quanto sopra spiegato, accertata la natura composta degli interessi, la conseguenza che ne deriva è la nullità della clausola che determina il costo dell’operazione finanziaria,  per il combinato disposto art. 120 c. 2 TUB art. 6 delibera CICR 9.02.2000 (per tutto il periodo di vigenza)  secondo cui: Le clausole relative alla capitalizzazione degli interessi non hanno effetto se non sono specificamente approvate per iscritto.

  1. Le conseguenze in caso di nullità della patto sugli interessi.

            Come già chiarito, la mera indicazione del tasso di interesse, della durata dell’ ammortamento e il numero delle rate in cui il debitore deve restituire il capitale  sono dati assolutamente insufficienti a sviluppare un piano, o meglio sulla base di tali dati, sarà possibile sviluppare diversi piani di ammortamento.

            È indispensabile che il contratto di finanziamento oltre all’indicazione dei dati surrichiamati, descriva come il tasso di interesse pattuito andrà a lavorare sul capitale e dunque come gli interessi si distribuiranno su di esso al fine di determinare la rata di rimborso.

La mancata indicazione nel contratto della modalità di applicazione del tasso di interesse, ovvero, si torna a ripetere, come il tasso di interesse si relazionerà con il capitale rende impossibile determinare il costo effettivo del contratto di finanziamento: in definitiva l’insufficienza dei dati andrà ad inficiare il contratto di nullità per il combinato disposto degli artt. 1346 1418 co.. 2 c.c..

            La nullità del contratto, diversamente dalla nullità parziale, non determina l’applicazione del tasso sostitutivo legale previsto dall’art. 1284 c.c., ma la debenza del solo capitale e ciò, in virtù del fatto che la nullità opera ex tunc e quindi il contratto non può produrre effetti: tale soluzione, tuttavia non è la sola, e neppure la più condivisibile.          

  1. L’art. 1424 c.c.: La conversione del contratto nullo

L’art. 1424 c.c. recita infatti: Il contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto diverso, del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma, qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità.

Il contratto diverso, in grado di poter spiegare i propri effetti, potrebbe essere il contratto di finanziamento (sia esso garantito o meno da ipoteca) al tasso legale: in definitiva, si verrebbe a ridimensionare l’oggetto del contratto.

Recenti pronunce della cassazione possono essere un valido spunto. La  Cass. civ. [ord.], sez. I, 24-09-2018, n. 22466, ha infatti stabilito:

In tema di nullità contrattuale, il potere del giudice di rilevarla d’ufficio non può estendersi fino alla conversione del contratto nullo, ostandovi la previsione di cui all’art. 1424 c.c.; è tuttavia ammissibile l’istanza di conversione avanzata dalla parte nella prima difesa utile successiva al rilievo della nullità del titolo posto a fondamento della domanda, essendo detta istanza strettamente consequenziale all’esercizio del potere officioso del giudice (nella specie la suprema corte ha ritenuto ammissibile l’istanza di conversione in mutuo ipotecario, proposta da una banca per la prima volta in seno all’opposizione allo stato passivo, dopo che il giudice delegato aveva rilevato in sede di verifica la nullità del mutuo fondiario ex art. 38 d.leg. n. 385 del 1993).

Come condivisibilmente statuito da Cass. n. 17352 del 2017, lo sconfinamento del limite di finanziabilità, che conduce automaticamente alla nullità dell’intero contratto fondiario, mantiene intatta la possibilità di conversione del mutuo fondiario in un ordinario finanziamento, ove ne risultino accertati i presupposti, sicché, ferma la nullità del contratto di mutuo fondiario, l’unica modalità di recupero del contratto nullo è quella della conversione in un contratto diverso (ex articolo 1424 c.c.).

 

Anche Cass. n. 17352 del 2017 ha riconosciuto che “l’istanza di conversione è certamente ammissibile ove sia avanzata nel primo momento utile conseguente alla rilevazione della nullità” e che “diversamente allora da quanto affermato dal tribunale, una simile istanza ben poteva essere formulata per la prima volta con il ricorso in opposizione allo stato passivo, una volta appurato che il credito era stato ammesso a cagione della nullità del contratto di mutuo fondiario e dell’annessa ipoteca”.

  1. Natura degli interessi

La dottrina è pressoché unanime nel ritenere che gli interessi previsti dall’art. 1825, abbiano natura corrispettiva e non moratoria.

Rappresentano, infatti, il corrispettivo dato al creditore che rinuncia ad esigere immediatamente il proprio credito[34].

Qualora sia stato concluso un contratto di conto corrente a norma degli artt. 1823 ss., il saldo, risultante a favore di una delle parti, costituisce un credito pecuniario che, in mancanza di patto contrario, produce interessi legali corrispettivi dal giorno di chiusura del conto senza necessità di costituzione in mora (C. 3807/76)[35].

  1. La misura degli Misura

Si è ritenuto che la norma in esame, stabilendo che gli interessi decorrono nella misura stabilita dal contratto o dagli usi, ovvero, in mancanza, nella misura legale, abbia carattere dispositivo.

Le parti, pertanto, possono liberamente determinare la misura di tali interessi sia prevedendo la loro esclusione, sia scegliendo una misura superiore a quella legale.

In questo ultimo caso, quindi, la norma deroga all’art. 1284[36].

Si è, tuttavia, ritenuto necessario, da altro orientamento, che l’entità degli interessi, eccedendo la misura legale, debba essere determinata per iscritto.

Tale obbligo è ugualmente soddisfatto se nel contratto venga inserita una clausola in cui il tasso di interesse non è indicato, ma è stabilito per relationem fissando i criteri, certi e oggettivi, per la sua determinazione (nella fattispecie, le condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito) C. 9839/92[37]; nel merito T. Roma 28.4.82[38].

La Suprema Corte, rilevando, in materia di contratti bancari, il mancato richiamo dell’art. 1825 da parte dell’art. 1857, ha ritenuto che, nell’ipotesi in cui il contratto (di conto corrente ordinario) non regoli la materia, l’art. 1825 comporti l’automatica applicazione del tasso previsto dagli usi.

La disposizione si discosta, pertanto, dalla regola generale di cui all’art. 1284, 3° co. che non accorda autonoma rilevanza agli usi ai fini della determinazione del tasso di interesse (C. 2644/89)[39].

Ai fini della determinazione degli interessi sulle rimesse, gli usi, sopra menzionati, hanno carattere normativo e sono applicabili a prescindere dalla prova che le parti li abbiano conosciuti o accettati (A. Milano 17.2.76)[40].

Si è infine ritenuto che la norma dettata dall’art. 1825, in ordine alla misura e al decorso degli interessi, abbia carattere speciale e, pertanto, in difetto di espressa pattuizione, non sia applicabile in rapporti di dare e avere, conseguenti a più negozi giuridici intervenuti tra le medesime parti, che non siano regolati da una convenzione di conto corrente (C. 1065/80)[41].

  1. Decorrenza degli interessi

Già gli interpreti del codice di commercio, ritenendo poco precisa la disposizione dell’art. 345, n. 3 che stabiliva quale momento di decorrenza degli interessi il giorno dell’esazione, riconoscevano che gli interessi decorressero dal giorno nel quale il ricevente avesse acquistato la disponibilità della somma, in quanto rimessa dall’altro contraente o riscossa per conto di lui.

Tale interpretazione è tuttora dominante. [42]

Questa ultima norma porta a porsi una seconda determinante domanda: il regime degli interessi composti è compatibile con il ns. Ordinamento Giuridio?

Per chi ritiene di ignorare la distinzione tra capitalizzazione e anatocismo, l’incompatibilità tout curt con il ns. Ordinamento Giuridio, è incontestabile, dall’entrata in vigore del c.c. sino ad oggi.

Diversamente, chi ritiene sussistere una diversità ontologica tra capitalizzazione ed anatocismo, e sopra sono state individuate le norme che disciplinano l’uno e l’altro fenomeno, la risposta cambia a seconda del tempo.

È proprio l’art. 6 delibera CICR 9.02.2000, che ha portato, chi scrive, a ritenere che dal 2000 la capitalizzazione degli interessi sia divenuta pratica lecita, a condizione, tuttavia che Le clausole relative alla capitalizzazione degli interessi non hanno effetto se non sono specificamente approvate per iscritto: la questione capitalizzazione degli interessi, con la delibera CICR del 2000 sposta il problema dal piano della validità a quello della trasparenza bancaria (la cui violazione, come noto genera un effetto di nullità, solo nei casi in cui viene comminata dalla legge: es. artt. 117, 118, 125 bis ecc TUB; negli altri casi può generare un inadempimento contrattuale suscettibile di arrecare danno, con la conseguenza di un onore probatorio a carico del contraente debole estremamente complesso).

Ciò che vuole realizzare il legislatore del 2000 è la conoscenza, ovvero conoscibilità, del fenomeno della capitalizzazione degli interessi.

La disciplina muta con l’art. 1, comma 629, L. 27 dicembre 2013, n. 147 e, successivamente, così modificato dall’art. 17-bis, comma 1, D.L. 14 febbraio 2016, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 aprile 2016, n. 49: il divieto di capitalizzazione degli interessi torna ad essere sanzionato sotto il profilo della validità: con ciò senza togliere pregio alla disciplina della trasparenza bancaria, che acquisterà significato sotto il profilo degli effetti.

Infatti, sia nel periodo coperto dalla vigenza della delibera CICR 9.02.2000, sia per il periodo successivo , all’art. 1 comma 629, L. 27 dicembre 2013, n. 147, la trasparenza bancaria assume un ruolo determinante.

In definitiva,  qualunque sia il regime in cui operano gli interessi, la convenzione tra le parti deve essere chiara, ma prima ancora, essere specificatamente individuato il regime applicato, sia esso semplice che composto.

Nel ns. Paese, la trasparenza bancaria ha sempre rappresentato un grosso problema.

Basti pensare che il governatore della Banca d’Italia Ciampi, in un’audizione avanti al comitato ristretto della commissione finanze della camera (29 settembre 1988), si era espresso così (v. p. 3): «. . . la conoscenza delle condizioni effettive dei rapporti bancari e la leggibilità del contenuto dei contratti stipulati con le aziende di credito restano insufficienti . . .», con particolare riferimento (p. 4) alla mancanza di specifiche regole di chiarezza per le diverse operazioni bancarie, alla predisposizione unilaterale di contratti per adesione che la controparte può solo accettare o rifiutare in blocco e al rinvio agli usi praticati sulla piazza anche per la determinazione degli aspetti negoziali economicamente più rilevanti.

È dunque il governatore che ha il merito di aver tracciato le linee essenziali della nuova normativa.

All’assemblea della Cipa del 5 marzo 1992 (v. al riguardo Il Corriere della Sera del 6 marzo 1992), il Governatore, tornava sull’argomento invitando il sistema bancario a mutare rotta in quanto «non è infrequente che la clientela lamenti la non sufficiente trasparenza nei prezzi e nelle condizioni praticate».

Di rilievo appare il contenuto attribuito da RESCIGNO, alla «Trasparenza» bancaria, che ritiene essere diritto «comune» dei contratti: «… le regole sulla trasparenza bancaria si collocano nell’area delle norme di tutela del contraente debole, quale è per definizione il cliente della banca»[43].

È il d.d.l. presentato dall’on. Minervini (il n. 3617 del 24 marzo 1986) a tener conto dei principi informatori della direttiva del consiglio delle Comunità europee n. 87/102 del 22 novembre 1986, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo (sui vari passaggi non mi dilungherò oltre).

I brevi passaggi storici ci fanno comprendere come non solo l’Italia abbia maturato in ritardo la necessità di intervenire sul piano della asimmetria contrattuale, ma abbia avuto nel tempo alcuni ripensamenti: ne cito solo uno. L’art. 120 sexies TUB inserito dall’art. 1, comma 2, D.Lgs. 21 aprile 2016, n. 72, che stabilisce Le disposizioni del presente capo (Operazioni e servizi bancari e finanziari, Capo I del TITOLO TRASPARENZA DELLE CONDIZIONI CONTRATTUALI E DEI RAPPORTI CON I CLIENTI) si applicano ai contratti di credito, comunque denominati, a eccezione dei seguenti casi: … indicando la norma un elenco di contratti dalla lettera a alla lettera i; difficile individuare, ad oggi i contratti ai quali si applica la disciplina sulla trasparenza bancaria!

Tornando, adesso agli effetti della mancata specifica pattuizione del regime in cui operano gli interessi, la conseguenza non potrà essere solamente quella di ricalcolare gli interessi con il regime semplice invece che composto, ma dovrà rilevarsi la nullità della clausola che determina il costo del finanziamento ricorrendo all’applicazione del tasso di interesse legale, ovviamente in regime semplice, proprio per la natura dispositiva – suppletiva dell’art. 821 c. 3 c.c.

Indicare in un contratto bancario un tasso di interesse (TAN), ma non spiegare come tale tasso andrà a lavorare sul capitale equivale a tacere il costo dell’operazione finanziaria.

            Qualcuno potrebbe obbiettare che nei contratti è comunque indicato il TAEG, dunque il costo del finanziamento: chi scrive ha però una obbiezione.

Intanto, andrebbe verificata la correttezza del TAEG indicato in contratto, non sempre così preciso, sotto altro profilo, l’indicazione del TAEG, forse l’unico strumento che da una parvenza di trasparenza, il tasso di interesse finisce per restare, come dato,  affogato in mezzo a costi spese ed oneri: in definitiva, per l’utente, è sempre più difficile (ma lo è anche per gli specialisti viste le divergenze tra le CTU), conoscere quale tasso di interesse è stato applicato, anzi, direi che il tasso stesso, specie nei rapporti di conto corrente, e nei piccoli finanziamenti al consumo finisice per acquisire una voce d’appendice.

Naturalmente muta l’onere della prova a seconda che si tratti di contratti conclusi da soggetti consumatori o non consumatori, poiché nel primo caso, per effetto degli art. 36 e 37 cod. del cons. si applica la disciplina delle c.d. nullità di protezione.

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Note

[1] in generale sul conto corrente, tra gli altri: Fiorentino, Conto corrente e contratti bancari , in Comm. Scialoja-Branca , sub artt. 1823-1860, Bologna-Roma, 1969, 1 ss.; Martorano, Conto corrente , in ED , IX, Milano, 1961, 658 ss.; Scozzafava, Grisi, Conto corrente ordinario , in Tratt. Rescigno , 12, IV, Torino, 1985, 741; Id., Conto corrente , in Digesto comm., IV, Torino, 1989, 1 ss.; Cavalli, Conto corrente , in EG , VIII, Roma, 1988, 2; Miccio, Dei singoli contratti , in Comm. cod. civ ., IV, 4, Torino, 1966, 160 ss.

[2] Comma sostituito prima dall’art. 1, comma 629, L. 27 dicembre 2013, n. 147 e, successivamente, così modificato dall’art. 17-bis, comma 1, D.L. 14 febbraio 2016, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 aprile 2016, n. 49.

[3] Cass. civ., 06.04.1983 n. 2415 : La sussistenza di una convenzione di conto corrente, per regolare i rapporti fra agente e preponente, anche al fine dell’applicazione del disposto dell’art. 1832 c. c. in tema di approvazione del conto, postula un’espressa pattuizione, e, pertanto, in difetto di questa, ovvero in presenza di una pattuizione contraria, non può essere desunta dalla mera circostanza dell’invio di estratti-conto circa le rispettive situazioni di dare ed avere.

[4] Fiorentino, 11 ss.; Molle, Considerazioni sul conto corrente bancario , BBTC , 1950, I, 97 ss.; Porzio, I contratti bancari , in Tratt. Rescigno , 12, IV, Torino, 1985, 872 ss.). Ciò non toglie, tuttavia, che a quest’ultimo si applichi parte della disciplina del primo (gli artt. 1826, 1829 e 1832.

[5] Così Terranova, Conti correnti bancari e revocatoria fallimentare , Milano, 1982, 73 ss.; e già Martorano, 660 ss.; Caltabiano, 93, il quale ritiene che la disciplina delle operazioni bancarie in conto corrente sia comprensiva dell’effetto essenziale del conto corrente ordinario

[6] Cass. civ. sez. I, 17.07.1997 n. 6558 : L’art. 1853 c.c., applicazione del principio generale dell’operatività della compensazione sancito dall’art. 1241 c.c., consente, salvo patto contrario, la compensazione tra la banca e il correntista dei saldi attivi e passivi di più conti correnti di corrispondenza a quest’ultimo intestati, anche quando i relativi rapporti siano ancora in corso. Infatti, l’art. 1823 c.c., che considera i crediti inesigibili fino alla chiusura del conto, non si applica alle operazioni bancarie in conto corrente disciplinate dagli art. 1852 ss. c.c. Consegue che in caso di fallimento del correntista, la compensazione si sottrae, a norma dell’art. 56 l. fall., alla revocatoria fallimentare.

[7] Fiorentino, Conto corrente e contratti bancari , in Comm. Scialoja-Branca , sub artt. 1823-1860, Bologna-Roma, 1969, 11 ss.

[8] Fiorentino, Conto corrente e contratti bancari , in Comm. Scialoja-Branca , sub artt. 1823-1860, Bologna-Roma, 1969,11 ss.

[9] Fiorentino, 8; Caltabiano, 52 ss., spec. 57

[10] Così, testualmente Martorano, 660, per il quale la formazione progressiva e quella finale del saldo non sono due alternative, ma due sistemi contabili egualmente applicabili

[11] Martorano, 663; Cavalli, 4

[12]Fiorentino, 2 ss., il quale tuttavia, rilevando che il contenuto del contratto è molto complesso, pone l’accento non solo sul differimento del pagamento, ma anche sulla liquidazione per compensazione volta a eliminare ripetuti trasferimenti di denaro

[13] Cass. civ., 12.08.1966 n. 2208 : Si ha contratto di conto corrente quando le parti si concedono temporaneamente credito per le loro reciproche rimesse, affinché colui che risulti creditore al termine pattuito possa esigere solamente il saldo attivo. Se, invece, una sola delle parti esegue delle rimesse, mentre l’altra esegue soltanto rimborsi, non si ha rapporto di conto corrente, ma un conto di gestione (che con il primo ha in comune solo l’apparato esteriore costituito dal quadro contabile), anche se venga concordato che debbano eseguirsi conteggi ad epoche fisse e che le somme nel frattempo versate in pagamento debbano produrre interessi.

[14] App. Napoli, 23.04.1956 : Non costituisce negozio di conto corrente ma di semplice mutuo il contratto che non si risolve in una reciproca concessione di credito fra le due parti, con funzione di compensazione convenzionale, ma si concreta, invece, nel versamento di una somma da parte dell’uno all’altro contraente, con rilascio di dichiarazione di debito e con obbligo di restituire la somma entro un certo termine, sia pure con più rimesse.

[15] Trib. Napoli, 31.01.1980 : Nel contratto di conto corrente le parti, obbligandosi a regolare eventuali e futuri rapporti di dare e avere, si concedono temporaneamente credito per le reciproche rimesse, considerandole inesigibili e indisponibili, con conseguente dilazione dei reciproci debiti e crediti fino alla chiusura del conto: nel quale momento soltanto, operate le reciproche compensazioni, colui che risulta creditore potrà esigere il saldo attivo; perché tale fattispecie si realizzi, non bastano ripetuti pagamenti per forniture nei rapporti tra le parti, ma occorre la volontà di porre in essere il contratto di conto corrente.

[16] Martorano, 658 ss.

[17] Fiorentino, 3; Martorano, 659; Cavalli, 2

[18] Così, testualmente Fiorentino, 5 ss.; Cavalli, 2

[19] Fiorentino, 5 ss.

[20] Martorano, 659; Cavalli, 2

[21] Fiorentino, 5 ss.

[22] T. Napoli 8.5.74

[23] C. 2208/66 e nel merito: T. Roma 1.2.88

[24] Cavalli, 3

[25] Fiorentino, 1; Scozzafava, Grisi, 384

[26] Fiorentino, 6 ss.; Martorano, 659; Cavalli, 3

[27] Trib. Napoli, 08.05.1974 : Il conto corrente di corrispondenza si distingue dal contratto di conto corrente ordinario, mediante il quale le parti si obbligano ad annotare in un conto i crediti derivanti da reciproche rimesse, considerandoli inesigibili ed indisponibili fino alla chiusura del conto, poiché in esso, da un lato, è soltanto il cliente che ha facoltà di dare impulso al rapporto mediante i suoi ordini, diretti o indiretti; dall’altro, il saldo è disponibile in ogni momento. Nel conto corrente ordinario, inoltre, le singole rimesse conservano ciascuna la propria individualità, mentre nel conto corrente di corrispondenza le varie operazioni di accreditamento o di addebitamento non costituiscono negozi autonomi e non danno luogo a tanti distinti rapporti di credito e di debito, avendo semplicemente l’effetto di produrre delle variazioni quantitative dell’oggetto dell’unico rapporto costituito tra le parti, con modificazioni immediate od automatiche della disponibilità del conto.

[28] Cass. civ., 11.12.1964 n. 2860 : Il contratto di conto corrente ha il fine di evitare il pronto pagamento dei crediti esigibili che possono maturare a favore di ciascuna delle parti nel corso di una loro durevole relazione di affari, rendendone possibile una differita e globale compensazione; tale finalità viene raggiunta mediante l’obbligo delle parti d’immettere nel conto i crediti, che vengono dichiarati inesigibili per la durata del conto medesimo o di determinati suoi periodi, mentre viene reso esigibile, alla chiusura di ciascun periodo, il saldo risultante dalla compensazione tra le due masse delle partite contrapposte.

[29] Fiorentino, 8; Caltabiano, 52 ss., spec. 57

[30] Così, testualmente Martorano, 660, per il quale la formazione progressiva e quella finale del saldo non sono due alternative, ma due sistemi contabili egualmente applicabili

[31] Martorano, 663; Cavalli, 4

[32] Cass. 25 settembre 2013, n. 21885, Danno e resp., 2014, 198.

[33] A. CASANO, Elementi di algebra, Palermo, 1833, 277.

[34] Scozzafava, Grisi, Conto corrente ordinario  in Tratt. Rescigno , 12, IV, Torino, 1985, 772; Martorano, Conto corrente , in ED , IX, Milano, 1961, 663

[35] Cass. civ., 23.10.1976 n. 3807 : Qualora sia stato concluso un contratto di conto corrente a norma degli artt. 1823 ss. c. c., il saldo risultante a favore di una delle parti costituisce un credito pecuniario che, in mancanza di patto contrario, produce interessi legali corrispettivi dal giorno della chiusura del conto, senza necessità di costituzione in mora.

[36] Scozzafava, Grisi, 770; Martorano, 663

[37] Cass. civ. sez. III, 25.08.1992 n. 9839 : L’obbligo della forma scritta ad substantiam per la pattuizione di interessi eccedenti la misura legale si deve ritenere ugualmente soddisfatto quando nel documento contrattuale le parti abbiano indicato criteri certi ed oggettivi che consentono la concreta quantificazione del tasso d’interesse, ancorché ciò avvenga per relationem mediante il richiamo ad elementi estranei al documento stesso (nella specie, le clausole negoziali fissavano gli interessi dei conti correnti riferendosi alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza).

[38] Trib. Roma, 28.04.1982 : Deve ritenersi conforme al disposto dell’ultimo comma dell’art. 1284 c. c. la clausola contrattuale inserita, in un rapporto di conto corrente che, anziché indicare il tasso di interesse, lo stabilisce per relationem fissando criteri sicuramente prevedibili ed obiettivamente rilevanti (riferiti alle condizioni normalmente praticate dalle aziende di credito su piazza) per la sua determinazione.

[39] Cass. civ., 30.05.1989 n. 2644 : è legittima la clausola dei contratti di conto corrente bancario, secondo la quale sono dovuti dal correntista interessi convenzionali nella misura usualmente praticata dalle aziende di credito sulla piazza.

Cass. civ., 30.05.1989 n. 2644 : Nei rapporti di conto corrente bancario la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del correntista integra un uso normativo che deroga legittimamente il divieto di anatocismo sancito dall’art. 1283 c. c.

Cass. civ., 30.05.1989 n. 2644 : è valida la clausola del contratto di conto corrente bancario che, ai fini della determinazione del saggio degli interessi, faccia riferimento a quello contenuto nelle c. d. <norme bancarie uniformi> sui conti correnti di corrispondenza.

Cass. civ., 30.05.1989 n. 2644 : Nel contratto di conto corrente bancario è legittima la capitalizzazione degli interessi per periodi inferiori al semestre (nella specie, capitalizzazione trimestrale).

[40] App. Milano, 17.02.1976 Gli interessi sono dovuti nella misura bancaria, eccedente quella legale, quando il correntista abbia approvato un estratto conto con interessi calcolati al tasso bancario; questa approvazione dimostra l’esistenza di un accordo in tal senso, accordo che non può essere stato che scritto cioè contenuto nel documento d’apertura del conto, anche se irreperibile per il lungo tempo decorso dall’inizio del conto corrente. La corresponsione degli interessi al tasso bancario è dovuta anche in forza delle norme sui conti correnti di corrispondenza, cioè di condizioni generali vincolanti che devono considerarsi conosciute da tutti i correntisti. L’applicazione del tasso bancario forma oggetto di un uso normativo (art. 3 degli usi e consuetudini del settore del credito accertati su base nazionale, e art. 4 degli usi commerciali della provincia di Milano, settore credito, accertati dalla camera di commercio di Milano); tale uso è tra quelli richiamati dall’art. 1825 c. c., norma dettata in tema di conto corrente ordinario ma applicabile anche al conto corrente bancario perché questo contratto innominato, contenente numerosi elementi del contratto di conto corrente ordinario, è integrato dalla disciplina prevista dal codice civile per quest’ultimo negozio giuridico.

[41] Cass. civ. sez. I, 14.02.1980 n. 1065 : La norma dettata dall’art. 1825 c.c., in ordine al decorso ed alla misura degli interessi sulle rimesse nel contratto di conto corrente, ha carattere speciale, e, pertanto, in difetto di espressa pattuizione, non è applicabile in rapporti di dare ed avere, conseguenti a più negozi giuridici intervenuti fra le medesime parti, che non siano regolati da una convenzione di conto corrente.

[42] Fiorentino, Conto corrente e contratti bancari , in Comm. Scialoja-Branca , sub artt. 1823-1860, Bologna-Roma, 1969, 14; Scozzafava, Grisi, Conto corrente , in Digesto comm ., IV, Torino, 1989, 5.

[43] Banca, borsa, ecc., 1990, I, 298, spec. 301,

Avv. Morini Giampaolo

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