L’aggravante dei futili motivi

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Il giudizio sulla futilità del motivo non può essere riferito ad un comportamento medio, attesa la difficoltà di definire i contorni di un simile astratto modello di agire, ma va ancorato agli elementi concreti della vicenda delittuosa, alla luce delle connotazioni culturali del soggetto giudicato, del contesto sociale e del particolare momento in cui il fatto criminoso si è verificato, nonché dei fattori ambientali che possono averne condizionato la realizzazione.
(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 61, co. 1, n. 1)
Corte di Cassazione -sez. I pen.- sentenza n. 4 del 02-01-2023

Indice

1. La questione

La Corte di Assise di Appello di Catanzaro parzialmente accoglieva un appello proposto dall’imputato avverso una sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, e, per l’effetto, era esclusa l’aggravante della premeditazione, confermandosi per il resto la sentenza impugnata anche rispetto al trattamento sanzionatorio inflitto a costui.
Ciò posto, avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione la difesa dell’accusato che, tra i motivi addotti, deduceva, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e),cod. proc. pen., violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’art. 577, comma 1, n.4, cod. pen. per essere stata ritenuta sussistente l’aggravante dei futili motivi in realtà, a suo avviso, insussistente.

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2. La soluzione adottata dalla Cassazione

La Suprema Corte riteneva il motivo suesposto infondato.
In particolare, gli Ermellini addivenivano a siffatta conclusione facendo prima di tutto presente che l’aggravante dei futili motivi si contraddistingue per il fatto che, essendo una connotazione dell’agire umano, come rilevato in sede nomofilattica (Sez. 1, n. 16889 del 21/12/2017), essa riveste natura ancipite.
Più nel dettaglio, sul piano strutturale, la nozione di futilità esprime il carattere proprio di un concetto di relazione, che comunemente dottrina e giurisprudenza costruiscono nei termini di un raffronto tra il reato commesso e la causa psichica alla sua base, nel senso che la consistenza del motivo deve essere valutata rispetto al fatto illecito che ne è scaturito; ma esprime anche, sul piano funzionale, il riferimento a un parametro di natura assiologica, che cioè qualifica il motivo alla stregua di un criterio di tipo valoriale.
Oltre a ciò, i giudici di piazza Cavour evidenziavano, sempre alla luce della giurisprudenza elaborata sempre dalla Cassazione in subiecta materia, che la futilità rinvia, anzitutto, all’assoluta sproporzione tra il reato commesso e, appunto, il motivo, ossia l’impulso interiore che determina la condotta, fermo restando che la sproporzione costituisce un concetto relativo che assume sostanza soltanto se riferito a un determinato parametro di valutazione nel senso che, nell’individuazione di quest’ultimo, è necessario escludere dal perimetro della fattispecie due estreme e antitetiche visuali nel senso che la prima visuale è quella che utilizza, per stabilire il carattere futile o meno del motivo, la prospettiva individuale dell’agente, ovvero il suo personale atteggiamento psichico, essendo evidente che, così procedendo, per la Corte di legittimità, dovrebbe sempre concludersi per la non futilità proprio perché, dal punto di vista dell’autore del reato, il motivo finisce con l’essere pressoché sempre plausibile, giustificato, non pretestuoso, così come pure la seconda prospettiva, anch’essa (stimata) non condivisibile, sarebbe quella che identificasse come futile il motivo criminoso in quanto tale, essendo altrettanto evidente che in tali casi si finirebbe per riconoscere sempre un tale carattere, attesa l’impossibilità di comparare sensatamente ad un reato, specie se efferato, una causa psichica comunque disapprovata dall’ordinamento.
Per la Suprema Corte, pertanto, il requisito della sproporzione non può non cogliersi, in via integrativa, sul piano assiologico, sulla base della percezione e valutazione della distanza tra il reato realizzato e la sua causale, vale a dire nell’accezione secondo la quale il motivo deve essere ritenuto futile quando quest’ultima risulti così lieve e banale rispetto alla gravità della condotta da apparire – secondo la coscienza collettiva (Sez. 5, n. 38377 del 1/02/2017; Sez. 5, n. 41052 del 19/06/2014; Sez. 1, n. 59 del 1/10/2013; Sez. 1, n. 39261 del 13/10/2010; Sez. 1, n. 29377 del 8/05/2009), ovvero (come da ultimo riconosciuto: Sez. 1, n. 16889 del 2018, citata) secondo la gerarchia di valori riflessa dalla Costituzione – assolutamente inidonea a provocare l’azione criminosa.
Ebbene, a fronte di quanto sin qui esposto, la Cassazione rilevava, invece, che, nel raffrontare l’interesse tutelato dalla norma incriminatrice, non disgiunto dal suo fondamento costituzionale, e la ragione soggettiva che ha indotto l’agente alla condotta offensiva, occorre certamente scongiurare di giungere ad affermare la futilità del motivo per il solo fatto che sia stato commesso un grave reato contro la persona essendo questa proprio la ragione per cui la pronuncia di legittimità da ultimo citata indica come la futilità del motivo si debba infine verificare secondo una scansione bifasica che, movendo dalla riscontrata sproporzione assiologica tra il reato e la ragione soggettiva che lo abbia determinato, sviluppi un ulteriore giudizio, volto a stabilire se essa abbia o meno connotato, in maniera particolarmente significativa e pregnante, l’atteggiamento dell’agente rispetto al reato, giustificando un giudizio di maggiore riprovevolezza, e di più accentuata pericolosità, nei suoi confronti, osservandosi al contempo come tale concezione si saldi con la più risalente impostazione, secondo la quale – se, di norma, è sufficiente, per ritenere sussistente la circostanza aggravante dei futili motivi, far riferimento alla sproporzione oggettiva esistente tra movente e azione delittuosa – in particolari circostanze sono necessarie indagini più approfondite per accertare che la sproporzionata reazione allo stimolo sia, piuttosto che rivelatrice di un istinto criminale più spiccato, da punire più severamente, il portato di una concezione particolare, che annette a certi eventi un’importanza di gran lunga maggiore rispetto a quella che la maggior parte delle persone vi attribuisce (Sez. 1, n. 853 del 27/11/1995), tenuto conto altresì del fatto che, del resto, il giudizio sulla futilità del motivo non può essere riferito ad un comportamento medio, attesa la difficoltà di definire i contorni di un simile astratto modello di agire, ma va ancorato agli elementi concreti della vicenda delittuosa, alla luce delle connotazioni culturali del soggetto giudicato, del contesto sociale e del particolare momento in cui il fatto criminoso si è verificato, nonché dei fattori ambientali che possono averne condizionato la realizzazione (Sez. 5, n. 36892 del 21/04/2017; Sez. 1, n. 42846 del 18/11/2010; Sez. 1, n. 26013 del 14/06/2007).
Orbene, declinando tali criteri ermeneutici rispetto alla fattispecie in esame, i giudici di legittimità ordinaria ritenevano come il motivo in questione risultasse essere infondato perché i profili appena evocati, a loro avviso, non erano stati giudizialmente ignorati considerato che la Corte distrettuale richiamando anche la sentenza di primo grado, aveva evidenziato – con motivazione (reputata) adeguata e non contraddittoria – come l’imputato (sia pure soggetto a bassa scolarizzazione) fosse un padre di famiglia e socialmente inserito e che avesse posto in essere una condotta del tutto spropositata rispetto al rischio di dovere lasciare la propria abitazione a causa della sua morosità, dando così libero sfogo ai propri impulsi criminali ed aggressivi, ritenendo di risolvere in modo violento il contrasto insorto con il locatore.
 

3. Conclusioni

La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito come possano ritenersi sussistente l’aggravante dei futili motivi di cui all’art. 61, co. 1, n. 1, cod. pen..
Si afferma difatti in tale pronuncia (come già rilevato dalla stessa Cassazione in precedenti pronunce) – dopo essere stato postulato che la futilità rinvia, anzitutto, all’assoluta sproporzione tra il reato commesso e, appunto, il motivo, ossia l’impulso interiore che determina la condotta fermo restando che la sproporzione non può non cogliersi, in via integrativa, sul piano assiologico, sulla base della percezione e valutazione della distanza tra il reato realizzato e la sua causale, vale a dire nell’accezione secondo la quale il motivo deve essere ritenuto futile quando quest’ultima risulti così lieve e banale rispetto alla gravità della condotta da apparire, secondo la coscienza collettiva ovvero, secondo la gerarchia di valori riflessa dalla Costituzione, assolutamente inidonea a provocare l’azione criminosa – che se, di norma, è sufficiente, per ritenere sussistente la circostanza aggravante dei futili motivi, far riferimento alla sproporzione oggettiva esistente tra movente e azione delittuosa, in particolari circostanze sono necessarie indagini più approfondite per accertare che la sproporzionata reazione allo stimolo sia, piuttosto che rivelatrice di un istinto criminale più spiccato, da punire più severamente, il portato di una concezione particolare, che annette a certi eventi un’importanza di gran lunga maggiore rispetto a quella che la maggior parte delle persone vi attribuisce.
Ad ogni modo, sia nell’uno, che nell’altro caso, evidenzia sempre la Suprema Corte nel provvedimento qui in commento (sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico), il giudizio sulla futilità del motivo non può essere riferito ad un comportamento medio, attesa la difficoltà di definire i contorni di un simile astratto modello di agire, ma va ancorato agli elementi concreti della vicenda delittuosa, alla luce delle connotazioni culturali del soggetto giudicato, del contesto sociale e del particolare momento in cui il fatto criminoso si è verificato, nonché dei fattori ambientali che possono averne condizionato la realizzazione.
Tale sentenza, quindi, ben può essere presa nella dovuta considerazione ogni volta si debba appurare se siffatta circostanza sia stata correttamente contestata dalla pubblica accusa e accertata dall’organo giudicante, ove ritenuta sussistente da parte di quest’ultimo.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere che positivo.
 

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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