La valutazione empatica del rischio nell’interpretazione giuridica

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         Secondo recenti teorie l’empatia è una capacità di comprendere gli stati mentali altrui basata su una serie di meccanismi di risonanza interna che permettono di simulare mentalmente le emozioni e le percezioni delle persone da noi osservate.
         Vi sono forme di empatia che comportano atti di volontà cosciente, quali la percezione cognitiva del punto di vista altrui, ma vi sono anche aspetti empatici che sfuggono al controllo della volontà e comportano la capacità di sperimentare le reazioni emotive altrui. Rientrano in questi il così detto “effetto camaleonte”, ossia la tendenza inconscia a mimare le espressioni del volto.
         L’empatia è una condivisione non solo di aspetti emotivi ma anche sensoriali, di cui tuttavia si devono avere già sperimentato direttamente le sensazioni e le emozioni per poterle poi successivamente riprovarle.
         Se l’empatia è utile dal punto di vista sociale in quanto favorisce l’apprendimento collettivo e le relative reazioni difensive a situazioni potenzialmente dannose, una elevata partecipazione d’altronde può impedire l’autonomia decisionale del singolo e causare stress derivante dallo stato mentale altrui.
         Singer con il suo gruppo di lavoro presso il Laboratorio di neuro-anatomia funzionale dell’Università di Londra ha rilevato, questo soprattutto nel sesso maschile, una diversa risposta empatica nella valutazione del comportamento sociale altrui a seconda se la controparte sia un soggetto onesto o sia al contrario ritenuto scorretto, vi è stata infatti una sensibile diminuzione della risposta empatica al dolore, inoltre intervengono aspetti dell’empatia egoistici nell’osservare la sofferenza altrui che diminuisce in assenza di legami affettivi o sociali.
         La rigidità procedurale e comportamentale, soprattutto nei termini processuali penali, acquista pertanto una ulteriore valenza che è quella di allentare l’empatia del giudicante che peraltro può ridursi ma non può essere del tutto eliminata, d’altronde essa costituisce se opportunamente usata un elemento di conoscenza della realtà su cui si va a giudicare.
         Ogni comportamento umano avviene in presenza di informazioni che il più delle volte risultano incomplete, tali quindi da condurre ad un’incertezza che costringono il soggetto ad accettare una situazione di alto rischio, rischio che comunque persiste anche nell’ipotesi di informazioni complete, in termini di valutazione probabilistica del verificarsi dell’evento (Knight) di cui l’interessato avrà una rappresentazione e lettura propria.
         E’ stato tuttavia osservato che nella probabilità dell’evento vi è una soggettivazione indipendente dall’evidenza statistica oggettiva e se questo vale in termini economici tanto più varrà in altre ipotesi, si ché vi è una semplice valutazione del comportamento singolo in presenza di incertezza ambientale (Riley).
         Il rifiuto del concetto di rischio quale molteplicità di conseguenze corrispondenti alla realizzazione di un particolare “stato del mondo” a cui il soggetto attribuisce determinate probabilità per ogni accadimento porta a ritenere che vi sia un solo tipo di incertezza, misurabile dalla probabilità quale riflesso dei gradi di fiducia che il singolo ripone nei vari “stati del mondo” (Lindley).
         Se Platone considera il rischio come inerente all’accettazione di certe ipotesi o credenze, nell’esistenzialismo il rischio è inerente alla scelta che l’io fa di se stesso e ad ogni decisione esistenziale (Jaspers).
         Dichiara Abbagnano che la decisione “è fondata su una indeterminazione effettiva cioè sulla possibilità che le cose si svolgano diversamente da ciò che io decido; ma è anche fondata sull’assunzione da parte di me che decido, di questo rischio e sulla considerazione di tutte le possibili garanzie che posso conseguire” (Abbagnano, Introduzione all’esistenzialismo, IV Ed., I, 3, Utet, 1957).
         Il rischio o più semplicemente la probabilità fiduciosa è qualcosa di soggettivo che si contrappone alla oggettività della dinamicità dei sistemi della Teoria della Complessità e del Caos, pertanto è un elemento in cui interviene l’empatia del giudicante. Questi non solo deve entrare nella cultura altrui per capire i termini su cui poggia il ragionamento, ma deve anche valutare empaticamente i rischi o la fiducia sull’accadimento dell’evento con cui le parti hanno agito.
         L’empatia agisce nelle aule giudiziarie e può essere considerata elemento di debolezza, ma può in realtà risolversi in un ulteriore elemento di forza se opportunamente controllata, avendone coscienza, e valutata nei risultati.
 
Bibliografia
 
·        S. M. Aglioti – A. Avenanti – V. Betti, Correlati neurofisiologici dell’empatia per il dolore, Accademia dei Lincei, Intervento al XXXII seminario sull’evoluzione biologica e grandi problemi della biologia, 2006;
·        S. M. Aglioti – A. Avenanti, Risonanze e imitazioni, in “Mente & Cervello”, 80-9, 23, 9-10/2006;
·        N. Abbagnano, Storia della filosofia, Utet, 1974;
·        N. Abbagnano, Introduzione all’esistenzialismo, Utet, 1957;
·        C. Mazzucchelli, Organizzazioni e complessità, in Complexlab.com;
·        A. De Toni – L. Comello, Prede o ragni ? Uomini e organizzazioni nella ragnatela della complessità, Utet, 2006.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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