La valutazione della regolare condotta ai fini del riconoscimento della liberazione anticipata.

Redazione 02/10/04
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di Fabio Fiorentin
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1.Profili generali.

La regolarità della condotta, pur essendo la prima delle condizioni elencate dalla disposizione dell’art.54 dell’O.P. ai fini della concessione del beneficio; rappresenta, in effetti, l’elemento meno significativo sul piano della verifica dell’efficacia rieducativa del trattamento penitenziario .
Coerente con tale assunto, la giurisprudenza consolidata della Cassazione afferma che la mera buona condotta carceraria non è sufficiente, di per sé sola, a legittimare la concessione del beneficio della riduzione di pena.[1]
In effetti, tale presupposto è integrato dal detenuto con il mero rispetto – acritico e passivo – delle regole vigenti all’interno dell’istituto penitenziario,nei termini certificati dalle relazioni comportamentali fatte pervenire dagli istituti stessi, ed acquisiti agli atti dell’istruttoria disposta dal magistrato di sorveglianza.
E’ di tutta evidenza che il conformarsi alle regole penitenziarie – è questo l’assunto alla base della giurisprudenza prevalente della Cassazione – essendo un dovere del detenuto (anche al fine di evitare l’esercizio del potere disciplinare da parte dell’autorità ) non può assumere, in assenza di ulteriori dati specifici sull’evoluzione della personalità del soggetto recluso, un significato univoco di conferma dell’effettiva partecipazione del condannato all’opera di rieducazione .
Le relazioni comportamentali rilevano in quanto contengono la menzione degli eventuali rapporti disciplinari che il detenuto ha subito all’interno dell’istituto nel corso della detenzione.

2.Valutazione dei rapporti disciplinari non contestati al detenuto.

Con un orientamento,ormai consolidato e pur tuttavia opinabile, la giurisprudenza di legittimità ritiene che il giudice può tenere conto, ai fini del rigetto dell’istanza di liberazione anticipata, del contenuto di un rapporto disciplinare,anche se viziato da nullità per omessa contestazione dell’infrazione,in quanto, per la concessione della detrazione di pena, le infrazioni commesse non rilevano per le loro conseguenze sanzionatorie, ma esclusivamente come dato fattuale, indicativo della mancata adesione del condannato alle finalità del trattamento rieducativo.[2] L’applicazione di tale indirizzo giurisprudenziale è maggiormente ricorrente nei casi in cui non si contesti nel merito l’irrogazione della sanzione disciplinare:”La decisione di reiezione è motivata con riferimento alla ravvisata carenza di partecipazione del detenuto all’opera di rieducazione, comprovata dalla circostanza che l’interessato è stato destinatario di un rapporto disciplinare in data 11.12.02, in seguito al quale ha subito la sanzione disciplinare dell’ammonizione. Il detenuto ha interposto reclamo avverso la decisione riportata, con un unico motivo di doglianza, costituito dal rilievo che l’infrazione disciplinare non gli sarebbe mai stata contestata, così come l’inflizione della correlata sanzione.Il reclamo non è fondato. Va anzitutto premesso che l’interessato non contesta nel merito l’irrogazione della sanzione disciplinare, limitandosi ad affermarne l’illegittimità sotto il profilo amministrativo e formale della mancata osservanza della procedura prescritta dal nuovo Regolamento penitenziario (D.P.R. 230/00).
Così circoscritto il thema decidendum, il Collegio osserva che l’irregolarità dell’iter amministrativo per la contestazione dell’addebito disciplinare e l’applicazione della connessa sanzione, la cui scansione procedimentale è ora disciplinata dall’art. 81 del D.P.R. 30 giugno 2000, n.230, e dunque anche l’omessa comunicazione al detenuto dell’invio di un rapporto disciplinare che lo riguarda e delle sanzioni disciplinari inflitte dall’autorità penitenziaria, è – certamente – fatto lesivo del diritto del detenuto a proporre reclamo al magistrato di sorveglianza, secondo quanto previsto dall’art. 69 legge 26 luglio 1975 n. 354. Ciò non comporta, tuttavia, ad avviso del Tribunale, la conseguenza che al magistrato di sorveglianza sia preclusa la possibilità di tenere conto di quanto riferito nei rapporti, ai fini della valutazione dei presupposti per la concessione del beneficio della liberazione anticipata. Il giudice ben può tenere conto, ai fini del rigetto dell’istanza di liberazione anticipata, del contenuto di un rapporto disciplinare – anche se, in ipotesi, viziato da nullità per omessa contestazione dell’infrazione”.[3]
Il Tribunale osserva ancora:” ai fini della decisione ai sensi dell’art. 54 citato, il magistrato di sorveglianza può ricavare elementi di giudizio traendoli da qualunque dato rilevante – purché oggettivo e verificato- suscettibile di lumeggiare l’atteggiamento del detenuto nei confronti dell’offerta trattamentale. Con specifico riferimento all’apprezzamento delle infrazioni disciplinari commesse dal ristretto, esse non rilevano, infatti, per le loro conseguenze sanzionatorie, quanto, appunto, come dato fattuale, indicativo della mancata adesione del condannato alle finalità del trattamento rieducativo…. Invero, la concessione della liberazione anticipata non soltanto è estranea alla gestione del detenuto sotto l’aspetto amministrativo o meramente trattamentale (peraltro, la previsione della concedibilità del beneficio agli affidati al servizio sociale ne è la più evidente conferma), ma incide direttamente sulla vicenda del rapporto esecutivo penale, e dunque, sulla libertà personale.La natura giurisdizionale del procedimento di concessione del beneficio è, peraltro, conseguenziale a quanto sopra rilevato, oltre che avvalorata dall’argomento interpretativo storico (la norma di cui all’art. 70 O.P., nel testo previgente alla riforma intervenuta con L. 277/02, attribuiva i procedimenti di concessione della liberazione anticipata alla cognizione del tribunale di sorveglianza, che decideva seguendo le regole del rito processuale (art.678 c.p.p.).
Ne consegue che al magistrato di sorveglianza, nell’ambito delle competenze giurisdizionali conferitegli dalla legge, è attribuita la facoltà di assumere elementi di prova con ampia discrezionalità e senza vincoli di forma (art. 678, 666 co.5, c.p.p.; art. 185 disp. att. c.p.p.), e che pertanto, ai fini della formazione del convincimento in ordine alla partecipazione del detenuto all’opera di rieducazione, non possono rilevare eventuali vizi formali dell’atto amministrativo su cui si fonda la decisione del giudice”.
L’orientamento della Suprema Corte, seguito pur con le opportune distinzioni, dalla giurisprudenza di merito sopra riportata, può ritenersi condivisibile soltanto nella misura in cui l’interessato sia ammesso a interloquire, avanti al magistrato di sorveglianza, in ordine al merito dell’infrazione disciplinare rilevata, formulando ed illustrando le eventuali proprie contestazioni, di tal che il giudice possa acquisire tutti gli elementi di giudizio ai fini della concessione (o della reiezione della liberazione anticipata).
Qualora, invece, il detenuto verosimilmente nulla sappia dell’avvenuta contestazione di una violazione disciplinare (e ciò accade nei casi in cui l’addebito disciplinare non gli sia stato contestato),appare evidente l’estrema difficoltà per l’interessato di predisporre un’efficace tutela defensionale nei confronti delle “decisioni a sorpresa” del magistrato di sorveglianza sulle istanze di riduzione della pena, basate su rapporti disciplinari – in ipotesi – sconosciuti all’interessato e al suo difensore.
Tale ravvisata difficoltà all’efficace dispiegarsi della facoltà di difesa del detenuto nel procedimento ex artt.54 e 69bis O.P. è accresciuta dal carattere di procedura “a contraddittorio eventuale o differito” assunto, per effetto della riforma introdotta dalla L.27.12.2002,n.277, dall’attuale disciplina della liberazione anticipata.
E’ appena il caso di osservare che sarebbe illegittimo il diniego della liberazione anticipata in relazione ad un semestre di detenzione, valutato in termini negativi solo per l’appartenenza a tale periodo del giorno di commissione del reato, in quanto quest’ultimo costituisce il presupposto e l’antecedente necessario della detenzione, ma non può essere preso in considerazione per la valutazione del comportamento, né può far parte degli elementi utilizzabili ai fini della concessione del beneficio.[4]
Tale conclusione appare, del resto, ovvia alla luce del chiaro disposto dell’art. 54,L. 26.7.1975, n.354 che, letto in sincronia con l’art. 103 del D.P.R. 30.6.2000,n.230,chiaramente delimita l’ambito dell’indagine giudiziale al solo periodo di permanenza in istituto (o, comunque, di sottoposizione all’esecuzione di pena): di tal che potrebbe, invece, negativamente apprezzarsi, ai fini della valutazione della condotta del condannato, un eventuale reato commesso nell’immediatezza dell’ingresso in carcere: a es., la declinazione di false generalità o l’occultamento fraudolento di oggetti o valori il cui porto o detenzione non sia consentito all’interno degli istituti di pena.
Conforme all’orientamento sopra indicato è l’affermazione, pacifica in giurisprudenza, che la denuncia per un reato commesso nel corso dell’esecuzione di pena è idonea ad inficiare il giudizio sulla positività della condotta ed osta al riconoscimento del beneficio laddove penda procedimento penale.[5]

3.Questioni applicative.

Ai fini della valutazione della domanda di liberazione anticipata, il magistrato di sorveglianza dispone di ampi poteri istruttori, potendo chiedere le relazioni comportamentali all’istituto di pena (ovvero le relazioni del CSSA e delle Forze dell’ordine, nel caso di detenuti domiciliari ed affidati al servizio sociale).
Non è ammessa una pronuncia di non liquet:”In tema di concessione della liberazione anticipata, il Tribunale ha l’obbligo di acquisire informazioni in ordine al comportamento del detenuto e, qualora l’amministrazione penitenziaria non provveda a riferire l’esito dell’osservazione scientifica della personalità e il tribunale non possa reperire “aliunde” i dati indispensabili alla decisione, deve provvedere applicando il principio generale del “favor rei” poiché un eventuale provvedimento di rigetto della richiesta troverebbe causa non nella condotta del detenuto, come tassativamente previsto dall’ordinamento, ma nella carenza dell’amministrazione”.[6]
Note:
[1] Cass.,I,17.5.1995, Pane,in Rivista Penale, 1996,p.385.
[2]Cass.,I,20.2.1996,n.6615,Sorrentino,CED;Cass.,I,10.4.2003,n.16986,Fedele,
CED;Cass.,I,25.6.2003,n.27344,Emmanuello,CED;Cass.,I, 4.11.2003,n.41956, Sgarra,CED).
[3] Trib.Sorv. Torino, ord. 25.2.2004,Carni,in D&D,2004.
[4]Cass.,I,19.12.2000, n.5384, De Stefano, CED.
[5] Cass.,I,26.9.1995,Galassi,in Rivista Penale 1996,p. 647.
[6] Cass. 20.2.1997, n.6814, Castronovo,CED .

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