La sopravvenuta mancanza del titolo di occupazione dell’alloggio rispetto al momento in cui è stata presentata la “Dichiarazione di residenza” e l’iscrizione nel registro delle persone senza fissa dimora abituale.

Richter Paolo 11/03/15
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Il tema della sopravvenuta mancanza del titolo di occupazione dell’alloggio rispetto al momento di presentazione della “Dichiarazione di residenza” trae origine dalla recente e a tutti nota previsione normativa introdotta ad opera dell’art. 5 del Decreto Legge 28 marzo 2014, n. 47 convertito, con modificazioni, dalla Legge 23 maggio 2014, n. 80.

La novella, come si è avuto modo di osservare altrove[1], collega “La possibilità di chiedere e ottenere la residenza (e finanche l’allacciamento alle relative utenze) non più soltanto ad una res facti (accertamento dimora abituale nel luogo dichiarato), ma anche alla non abusiva occupazione dell’immobile in cui si dichiara di avere la residenza, stabilendo «che gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge»”.

Dunque la pubblica funzione dell’anagrafe non è più soltanto quella, “di rilevare la presenza stabile, comunque situata, di soggetti sul territorio comunale” (Circolare del Ministero dell’Interno n. 8 del 29 maggio 1995), come si riteneva prima della novella del 2014.

La funzione anagrafica deve ora essere necessariamente contemperata con la tutela di altri interessi, che il legislatore ha dimostrato di ritenere degni di considerazione e, segnatamente, con quello alla non abusiva occupazione degli immobili da parte di chi non disponga di un titolo idoneo, interesse che in senso lato può essere ricondotto nell’ambito della tutela dell’ordine pubblico.

La sopravvenuta mancanza del titolo di occupazione dell’alloggio si verifica nel caso in cui, quando la persona ebbe a chiedere e ottenere l’iscrizione anagrafica, essa era “titolata” a dimorare abitualmente in quell’alloggio; per fatti sopravvenuti, quel titolo è venuto meno, sicché la persona vi risiede ora sine titulo.

La questione da dirimere è dunque se la sopravvenuta mancanza del titolo dispieghi o meno i propri effetti ai fini del mantenimento dell’iscrizione anagrafica nell’alloggio non più occupato cum titulo.

In proposito, occorre muovere dal dato testuale della novella, laddove essa prevede che “Chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza […] e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge”.

Come si può notare, la sopravvenuta mancanza del titolo non è oggetto di espressa disciplina legislativa: la lettera della legge contempla infatti solo l’occupazione abusiva senza titolo al momento della richiesta iniziale della residenza.

Come si è già avuto modo di rilevare altrove, così come la dimora abituale è un presupposto dell’iscrizione anagrafica che deve perdurare nel tempo per giustificare la permanenza della residenza in quel dato luogo, così la sopravvenuta mancanza del titolo che rende ‘legale’ la presenza in quell’alloggio non sembra, di primo acchito, permettere di ivi mantenere la residenza.

In altri termini si vuol dire che la non abusiva occupazione dell’alloggio è all’evidenza un requisito che dispiega i propri effetti nel tempo (e, dunque, non soltanto quando si presenta la “Dichiarazione di residenza”), e della sopravvenuta acclarata mancanza l’Ufficiale di anagrafe non può non tenere conto se non a costo di “tradire” lo spirito della legge.

Se cioè si considera la ratio che ispira la novella, si ritiene che in questi termini (de lege ferenda) avrebbe dovuto o dovrebbe in ogni caso essere (ri)formulata la norma.

In base alla vigente lettera della legge (de lege lata), osta a tale conclusione il principio di legalità, inteso non solo nell’accezione classica di non contraddittorietà dell’azione amministrativa rispetto alla legge, ma anche sotto il più penetrante profilo del rispetto dell’esigenza che gli atti autoritativi posti in essere dalla Pubblica Amministrazione (P.A.), che in via unilaterale incidono sulle situazioni giuridiche dei privati, abbiano uno specifico fondamento normativo e vengano posti in essere nelle ipotesi e nei limiti previsti dalla legge che attribuisce il relativo potere.

Invero, i provvedimenti amministrativi sono atti nominati (previsti dall’ordinamento) e normalmente ad effetti tipici, nel senso che il tipo di vicenda giuridica che produce l’esercizio del potere è preventivamente stabilito dalla norma attributiva del potere.

Con specifico riferimento alla novella in materia anagrafica, non si può non rilevare come il legislatore abbia riconosciuto alla P.A. il potere di sanzionare con la “nullità” le sole istanze anagrafiche riguardanti le occupazioni ab origine abusive sine titulo degli immobili in cui si dichiara di avere la residenza.

Peraltro, la sanzione della “nullità” non sembra attagliarsi alla fattispecie della sopravvenuta mancanza del titolo di occupazione dell’alloggio, se solo si considera che l’accertamento della nullità della “Dichiarazione di residenza” ha effetto pienamente retroattivo, ex tunc ( = da allora), nei confronti dell’interessato e dei terzi, dovendosi naturalmente considerare la “Dichiarazione di residenza” affetta da nullità improduttiva di qualsivoglia effetto (quod nullum est nullum producit effectum)”.

In altri termini, la sanzione della nullità andrebbe a travolgere anche il periodo di tempo in cui l’interessato ha chiesto e ottenuto l’iscrizione anagrafica in base a una occupazione dell’alloggio “titolata”; sotto questo aspetto essa non si dimostra adeguata a sanzionare la sopravvenuta mancanza del titolo di occupazione dell’alloggio.

Per la sopravvenuta mancanza del titolo, si potrebbe ipotizzare l’inefficacia, con effetti ex nunc ( = da ora), dell’originaria “Dichiarazione di residenza”, ma allo stato la possibilità di sanzionare in tal modo la fattispecie in esame non è in alcun modo prevista dalla norma attributiva del potere (art. 5 D.L. n. 47/2014).

Un ulteriore aspetto problematico nel considerare giuridicamente rilevante anche (oltre a quella originaria) la sopravvenuta mancanza del titolo di occupazione dell’alloggio sarebbe quello di stabilire il momento dal quale far decorrere la cancellazione della residenza[2], anche se questo tipo di obiezione sembra muovere dal presupposto che la persona interessata a far emergere la sopravvenuta mancanza del titolo di occupazione dovrebbe premunirsi anche del titolo esecutivo per procedere con lo sgombero dell’alloggio.

L’obiezione sembra non considerare come una volta sgomberato l’alloggio, tale circostanza determinerebbe in ogni caso la cancellazione dell’(ex) occupante non per sopravvenuta mancanza del titolo bensì per trasferimento della residenza altrove o comunque per irreperibilità.

A rendere allo stato problematica la cancellazione anagrafica per sopravvenuta mancanza del titolo, vi è altresì la constatazione che i casi in cui l’Ufficiale di anagrafe può procedere alla cancellazione anagrafica di colui che per un determinato periodo di tempo è stato iscritto in anagrafe avendone pieno diritto (invece, l’iscrizione sulla base di una “Dichiarazione di residenza” dichiarata “nulla”, dal un punto di vista giuridico, è tamquam non esset = come se non fosse mai avvenuta) sono stabiliti dall’art. 11 del vigente Regolamento anagrafico (D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223) e fra di essi non figura la sopravvenuta mancanza del titolo in base al quale si occupava ab origine, in modo non abusivo e titolato, l’alloggio.

Sotto altro aspetto, in base al principio tempus regit actum, un atto (iscrizione anagrafica) è regolato dalla normativa vigente al momento del suo compimento, sicché in ogni caso la sorpravvenuta mancanza del titolo non potrebbe comportare la cancellazione nei confronti di quelle iscrizioni intervenute prima dell’entrata in vigore dell’art. 5 del D.L. 28 marzo 2014, n. 47.

Per quanto infine riguarda la sorte dei soggetti cancellati dall’anagrafe in seguito alla sopravvenuta mancanza del titolo, sembra trovare seguito la tesi[3] che prospetta la possibilità di procedere all’iscrizione anagrafica in base al criterio del domicilio e, dunque, come persone senza fissa dimora abituale nel Comune in cui si trova l’occupante abusivo[4], in applicazione analogica dell’art. 2, comma 3, della Legge 24 dicembre 1954, n. 1228.

Da un punto di vista procedurale, può non essere fuori luogo soffermare l’attenzione sul momento in cui l’Ufficiale di anagrafe viene ad avere evidenza circa l’occupazione abusiva e non titolata dell’alloggio di dimora abituale.

Se, infatti, tale occupazione dovesse emergere in un momento antecedente l’iscrizione anagrafica preliminare, il diritto del cittadino all’iscrizione anagrafica potrebbe essere frattanto salvaguardato dall’iscrizione presso il Comune di provenienza[5].

Per certi aspetti ancora più articolata appare la situazione nel caso l’occupazione abusiva sine titulo dovesse emergere dopo l’iscrizione anagrafica preliminare (con conseguente richiesta di cancellazione da parte del Comune di immigrazione a quello di provenienza) ma prima degli accertamenti atti a verificare la dimora abituale nell’alloggio occupato abusivamente in modo non titolato: in questo caso, infatti, la dimora abituale nel territorio non è ancora stata verificata e, dunque, l’Ufficiale di anagrafe per procedere all’iscrizione dell’interessato nel registro delle persone senza fissa dimora abituale deve alternativamente:

a)      Invitare l’interessato a fornire gli elementi che consentano di ritenere dimostrato il domicilio nel territorio comunale;

b)     Disporre gli accertamenti atti a verificare la dimora abituale nell’alloggio occupato abusivamente e senza titolo e, in caso di esito positivo (presenza della persona all’indirizzo dichiarato), ritenere per tale via dimostrato il domicilio nel Comune.

L’opzione interpretativa che ritiene possibile l’iscrizione degli occupanti abusivi nel registro delle persone senza fissa dimora abituale è stata al momento ufficialmente accolta per le persone che occupano ab origine un alloggio in modo abusivo senza titolo, dapprima dalla Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Avellino con nota Prot. n. 4032-4035/13-13/Area Il del 23 febbraio 2015 e, ora, anche dalla Risoluzione del Ministero dell’Interno n. 633 del 24 febbraio 2015.

La richiamata nota della Prefettura di Avellino lascia tuttavia, per certi aspetti, perplessi.

In particolare, l’affermazione contenuta al punto sub n. 2), secondo cui l’assenso all’occupazione dell’immobile reso dal proprietario varrebbe ad escludere per tabulas l’occupazione abusiva dell’alloggio, sembra obliterare come la lettera della legge richiede che l’occupazione deve essere non solo non abusiva ma altresì titolata.

Ora, il fatto di riconoscere a colui che rende la “Dichiarazione di residenza” la facoltà di allegare o, comunque, indicare all’Ufficiale di anagrafe anche gli estremi di un “titolo” diverso da quelli già previsti dal vigente ordinamento, sembra non considerare come l’Ufficiale di anagrafe è chiamato a “fare sistema” con gli altri settori (tributario, di pubblica sicurezza etc.)[6] dell’ordinamento[7], essendo di palmare evidenza come l’assenso del proprietario all’occupazione dell’alloggio, se da una parte vale certamente ad escludere l’occupazione abusiva del terzo, dall’altra parte non consente necessariamente (come invece prescrive la lettera della legge) di conoscere anche a quale “titolo” (locazione, comodato etc.) l’occupante dimora abitualmente nell’alloggio.

Altrettanto non convincente è la nota della Prefettura di Avellino laddove[8] prevede che l’Ufficiale di anagrafe dovrebbe in ogni caso effettuare la comunicazione di avvio del procedimento anagrafico al proprietario dell’alloggio.

Si vuole cioè dire che la indiscriminata previsione di tale adempimento appare ridondante nei casi in cui risulta agli atti che l’occupazione dell’alloggio è non solo abusiva, ma altresì titolata e che, dunque, il proprietario non può non essere a conoscenza che nell’alloggio dimora in modo abituale una terza persona.

In questa prospettiva, per completezza di informazione[9], si segnala che nel caso la persona che presenta la “Dichiarazione di residenza” affermi di avere la dimora abituale in un alloggio dove risultano già risiedere uno o più soggetti in virtù di regolare contratto di locazione a loro intestato (conduttore), per verificare se sia quest’ultimo (conduttore) ovvero il proprietario dell’alloggio a poter dichiarare che la persona che presenta l’istanza anagrafica ha “titolo” per dimorare in quell’immobile, occorre necessariamente fare riferimento al contratto di locazione.

In proposito, occorre tenere presente che “Il conduttore non può sublocare totalmente l’immobile, né può cedere ad altri il contratto senza il consenso del locatore” e che “Salvo patto contrario il conduttore ha la facoltà di sublocare parzialmente l’immobile, previa comunicazione al locatore con lettera raccomandata che indichi la persona del subconduttore, la durata del contratto e di vani sublocati” (art. 2 L. 27 luglio 1978, n. 392).

E, ancora, che “Si presume l’esistenza della sublocazione quando l’immobile risulta occupato da persone che non sono al servizio del conduttore o che non sono a questo legate da vincoli di parentela o di affinità entro il quarto grado, salvo che si tratti di ospiti con carattere transitorio” (art. 21, comma 1, L. 23 maggio 1950, n. 253); la presunzione di sublocazione è però esclusa nei confronti delle persone che si sono trasferite nell’alloggio assieme al conduttore (art. 21, comma 2, L. n: 253/1950).

Vediamo di ricapitolare con ordine:

Se il contratto di locazione prevede espressamente che il conduttore può cedere ovvero sublocare totalmente l’alloggio, per accertare l’occupazione cum titulo da parte di terze persone è senz’altro possibile fare riferimento al conduttore;

Se il contratto di locazione non esclude in modo espresso la facoltà in capo al conduttore di sublocare parzialmente l’alloggio, per accertare l’occupazione non abusiva da parte di terzi è, anche in questo caso, possibile fare riferimento al conduttore, con l’avvertenza che il conduttore deve dimostrare di avere inviato la comunicazione di avvenuta sublocazione parziale al proprietario; dall’indicazione dei vani sublocati deve emergere che il conduttore continua ad avere la possibilità di utilizzare l’alloggio atteso che, diversamente, si tratterebbe di sublocazione totale.

Se il contratto di locazione preclude la facoltà di sublocare parzialmente l’alloggio, si presume escluso il rapporto di sublocazione nei confronti delle persone che sono al servizio dello stesso conduttore (occorre acquisire agli atti la relativa documentazione) nonché per i suoi (del conduttore) parenti[10] e affini[11] entro il quarto grado e, infine, anche per i soggetti terzi, a condizione che essi dichiarino di dimorare abitualmente nell’alloggio nello stesso momento in cui lo dichiara l’inquilino cui è intestato il contratto; in questi casi, ai fini dell’occupazione titolata dell’immobile, è possibile fare riferimento al conduttore.

Solo al di fuori delle ipotesi sopra indicate, il proprietario dell’immobile deve essere considerato uno dei soggetti che per legge deve intervenire nel procedimento di iscrizione anagrafica, al quale occorre pertanto comunicare l’avvio del relativo procedimento (art. 7, comma 1, L. 7 agosto 1990, n. 241).

Infine, la nota della Prefettura di Avellino, afferma[12] che alla declaratoria di nullità della “Dichiarazione di residenza” dovrebbe conseguire il ripristino dell’iscrizione anagrafica nel Comune di provenienza.

In proposito, non ci si può esimere dall’osservare come tale affermazione non trova rispondenza nella vigente normativa: il legislatore ha infatti previsto il ripristino della posizione anagrafica precedente soltanto nel caso in cui gli accertamenti non abbiano consentito di verificare la dimora abituale all’indirizzo dichiarato[13] e l’Ufficiale di anagrafe, previa comunicazione del preavviso di annullamento dell’iscrizione preliminare[14], non confermi l’iscrizione preliminare, respingendo di fatto la richiesta di iscrizione anagrafica.

Per la diversa ipotesi di nullità della dichiarazione di residenza[15], che consegue all’occupazione abusiva sine titulo dell’alloggio, il legislatore non ha invece previsto alcun ripristino della precedente posizione anagrafica dell’interessato.

Peraltro, se come sembra ritenere la richiamata nota della Prefettura di Avellino, agli abusivi spetta l’iscrizione anagrafica, in base al criterio residuale del domicilio, nel registro delle persone senza fissa dimora abituale, non si vede per quale ragione dovrebbe essere ad libitum possibile il ripristino della loro posizione anagrafica nel Comune di provenienza.

E’ opinione di che scrive che si corra così il rischio di creare una fonte di contezioso fra Comuni che ritengono doveroso il ripristino della posizione anagrafica rispetto agli Enti Locali che, invece, ritengono di preferire l’iscrizione degli abusivi nel registro delle persone senza fissa dimora abituale.

Allo stato quest’ultima opzione sembra essere quella da preferire: essa consente infatti di salvaguardare il diritto all’iscrizione anagrafica della persona nel luogo di sua dimora abituale, pur con il limite di creare uno scostamento tra situazione di fatto (dimora abituale in modo stanziale) e risultanza giuridica (mancanza di dimora abituale, domicilio nel territorio).

 


[1] P. Richter Mapelli Mozzi, Dichiarazione di residenza e occupazione abusiva dell’alloggio (…), in Lo Stato Civile Italiano, ottobre 2014, 37 ss..

[2] Come rilevato da P. Morozzo della Rocca, Gli occupanti abusivi: evaporati nell’atmosfera oppure residenti “senza fissa dimora”?, in Lo Stato Civile Italiano, gennaio 2015, 35.

[3] Di cui si era dato conto, pur con qualche perplessità, nello studio richiamato sub nota n. 1

[4] Sempre che la dimora abituale nell’alloggio occupato sine titulo sia stata positivamente accertata; diversamente, occorrerà acquisire agli atti, come di consueto, gli elementi atti a dimostrare che il domicilio dell’istante è effettivamente nel Comune in cui viene chiesta l’iscrizione nel registro delle persone senza fissa dimora abituale.

[5] E’ pur vero che l’iscrizione anagrafica non rispecchierebbe in tal caso la situazione di fatto, ma è altrettanto vero che anche l’iscrizione anagrafica nel registro delle persone senza fissa dimora abituale del Comune di immigrazione non sarebbe aderente alla dimora abituale in un luogo determinato (alloggio occupato abusivamente e sine titulo).

[6] Senza per questo sostituirsi ad essi, come invece sembra avere inteso P. Morozzo della Rocca, cit..

[7] Sul punto, si registrano in dottrina diversità di opinioni: ad es. L. Palmieri e R. Minardi, La nullità dell’iscrizione anagrafica in immobili occupati abusivamente. Seconda parte: la casistica, in I servizi demografici, 2014, 10, 47.

[8] Sempre al punto sub n. 2.

[9] Rispetto a quanto pubblicato nello studio richiamato sub nota n. 1.

[10] Vale a dire tra persone che discendono da un capostipite comune (es. genitori e figli, fratelli e sorelle, zii e nipoti: cfr. art. 74 Cod. Civ.). Il grado di parentela si ottiene conteggiando il numero di persone fino a risalire allo stipite ad esse comune, senza tuttavia calcolare il capostipite (tot sunt gradus in cognatione, quot sunt generationes); ad esempio, i fratelli sono parenti di secondo grado, i cugini di quarto grado e via dicendo. Si distinguono poi parenti in linea retta (che discendono gli uni dagli altri; es. nonno e nipote) dai parenti in linea collaterale, i quali pur avendo in comune il capostipite non discendono gli uni dagli altri (es. cugini).

[11] Trattasi del rapporto che lega tra loro il coniuge e i parenti dall’altro coniuge (art. 78 Cod. Civ.). Nella linea e nel grado in cui una persona è legata da vincolo di parentela nei confronti di uno dei coniugi, essa è affine dell’altro coniuge (ad es. suocero e genero sono affini di primo grado).

[12] Al punto sub n. 4.

[13] Cfr. art. 18-bis, commi 2 e 3, D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, articolo introdotto ad opera dell’art. 1, comma 1, lett. f), D,.P.R. 30 luglio 2012, n. 154.

[14] Art. 10-bis L. 7 agosto 1990, n. 241.

[15] Cfr. art. 5 D.L. 28 marzo 2014, n. 47.

Richter Paolo

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