La sopraelevazione. il diritto e la disciplina del suo esercizio

Redazione 14/12/03
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di Roberto Triola

Sommario. 1. La natura del diritto. – 2. I limiti all’esercizio. – 3. La nozione di sopraelevazione. – 4. L’indennità: a) il fondamento. – 5. (Segue) b) Il calcolo. – 6. (Segue) c) La ripartizione. – 7. (Segue) d) La natura della obbligazione. – 8. (Segue) e) La nascita del diritto. – 9. (Segue) f) L’esonero. – 10. La ricostruzione del lastrico solare e degli altri manufatti di uso comune. – 11. Gli effetti della sopraelevazione.

1.La natura del diritto

In base all’art. 1127, c. 1°, c.c. il proprietario dell’ultimo piano dell’edificio o il proprietario esclusivo del lastrico solare possono elevare nuovi piani o nuove fabbriche, salvo che risulti altrimenti dal titolo.

La natura di tale diritto è controversa.

Si è parlato di un diritto simile a quello di superficie, in quanto avrebbe ad oggetto non solo l’ultimo piano, ma anche i pilastri e «mediamente» il suolo.

È facile replicare che, se così fosse, colui il quale esegue la sopraelevazione non diventerebbe pieno proprietario del nuovo piano, ma sarebbe titolare di una semplice proprietà superficiaria.

Il mancato esercizio del diritto di sopraelevare per venti anni, poi, ne comporterebbe l’estinzione.

Sarebbe, infine, difficile spiegare perché per l’esercizio di un diritto di superficie il titolare dovrebbe corrispondere una indennità.

Secondo un’altra tesi si tratterebbe di un diritto sui generis avente ad oggetto non una cosa singola, ma un complesso di cose diverse tenute unite dalla comune funzione di rendere possibile la vita dell’edificio condominiale.

A parte la estrema genericità di tale definizione, il diritto in questione, anche se sui generis, sarebbe comunque assimilabile a quello di superficie e quindi tale tesi va incontro alle stesse obiezioni di quella precedentemente esposta.

Con riferimento ad entrambe le tesi esposte, poi, si è osservato che il proprietario dell’ultimo piano o del lastrico solare sarebbe titolare di due distinti diritti: il diritto di proprietà dell’ultimo piano o del lastrico solare e il diritto di sopraelevazione. Oltre alla stranezza di tale concezione, non sarebbe ortodossa la configurazione di un diritto reale avente per oggetto o una cosa propria (appartamento o lastrico solare) o diverse cose parzialmente proprie (parti comuni).

Per chi ritiene che il condominio è la somma di tanti diritti di superficie che, sovrapponendosi l’uno all’altro, spostano verso l’altro, e cioè all’ultimo piano, quello che sarebbe il piano di proprietà rispetto al quale opera l’accessione, il problema della definizione del diritto in questione non si pone.

Si è anche affermato che si tratterebbe di esercizio del diritto di proprietà dell’ultimo piano che prevale sull’analogo diritto che spetterebbe a tutti i condomini, che, quali proprietari del suolo, avrebbero il diritto di utilizzare la colonna d’aria sovrastante l’edificio.

Il diritto di proprietà dell’ultimo piano, però, da solo non giustificherebbe la possibilità di usare lo spazio condominiale sovrastante, sottraendolo in maniera definitiva alla possibilità di utilizzazione da parte degli altri condomini.

Sembra, pertanto, preferibile ritenere che con il c.d. diritto di sopraelevare il legislatore ha voluto attribuire al solo proprietario dell’ultimo piano la possibilità di una utilizzazione particolare dello spazio sovrastante l’edificio, che, in base ai principi, avrebbe avuto bisogno del consenso di tutti i condomini.

Il diritto di sopraelevazione esiste solo se non risulti altrimenti dal titolo.

Per titolo deve intendere l’atto da cui ha avuto origine il condominio, cioè l’atto con il quale la proprietà dell’edificio è stata frazionata; può essere costituito anche dal regolamento condominiale formato dall’originario venditore ed accettato dai singoli acquirenti, che in tal caso ha valore di contratto.

La limitazione si riferisce sia alla facoltà di sopraelevazione concessa al proprietario dell’ultimo piano sia alla stessa facoltà accordata al proprietario esclusivo del lastrico solare, non potendosi, in senso contrario, sostenere che la proprietà del lastrico, costituendo un diritto di superficie autonomo, si concreterebbe esclusivamente nello ius ad aedificandum, che non potrebbe essere sottoposto a limitazione senza che si svuoti del suo contenuto il diritto di proprietà. La proprietà del lastrico, infatti, non si esaurisce soltanto nello ius aedificandi, ma, quale entità economica autonoma, può avere un’ampiezza indefinita di contenuto, che il titolo può restringere, escludendo quella stessa facoltà che, entro i medesimi limiti, la legge ha concesso al proprietario dell’ultimo piano.

Poiché la esclusione del diritto di sopraelevare, restringendo le normali possibilità di utilizzazione del bene connesse alla proprietà dell’ultimo piano, sostanzialmente viene a costituire a carico dello stesso, ed a favore delle altri unità immobiliari, una servitus altius non tollendi, ai fini della opponibilità ai subacquirenti va trascritta, a meno che nell’atto di acquisto si faccia riferimento al titolo che la prevede.

Il proprietario dell’ultimo piano di un edificio in condominio può, poi, elevare nuovi piani o fabbriche solo nel caso in cui sopra al suo appartamento sussistano manufatti di proprietà comune (come il tetto od il sottotetto non praticabile), che possono essere spostati al termine della sopraelevazione; qualora la soffitta o il sottotetto di un edificio in condominio sia di proprietà esclusiva di uno solo dei condomini, essa deve essere considerata, ai fini della sopraelevazione, come ultimo piano, onde, ai sensi dell’art. 1127 c.c., il diritto di sopraelevare l’edificio spetta solo al proprietario di essa.

Non essendo autonomo, ma essendo strettamente connesso con la proprietà dell’ultimo piano, il diritto di sopraelevare non può essere ceduto.

Per lo stesso motivo tale diritto non può costituire oggetto di riserva da parte del costruttore dell’edificio.

Una pattuizione in tal senso andrà eventualmente intesa come riserva della proprietà esclusiva del lastrico solare e per essere efficace dovrà essere inserita già nella vendita del primo appartamento, cioè al momento della costituzione del condominio.

I limiti all’esercizio

Il diritto di sopraelevazione non può essere esercitato, innanzitutto, quando minaccia la stabilità o la sicurezza del fabbricato.

Nel caso di opposizione da parte dei condomini la prova della inesistenza di tale minaccia, che costituisce una vera condizione del diritto, spetta al condomino che ha interesse a sopraelevare.

È controverso se, nel caso in cui la sopraelevazione fosse possibile a seguito della esecuzione di opere di consolidamento statico dell’edificio, il proprietario dell’ultimo piano possa senz’altro procedere alla esecuzione di tali opere oppure debba preventivamente munirsi del consenso degli altri condomini.

Tenuto conto della formulazione dell’art. 1127, c. 2°, c.c. («non è ammessa»), sembra preferibile la seconda opinione.

I condomini, poi, possono opporsi alla sopraelevazione quando la stessa possa danneggiare l’aspetto architettonico dell’edificio.

Non è necessario, cioè, che venga alterato il decoro architettonico dell’edi­ficio, per cui i condomini potranno opporsi nel caso in cui, pur rispettando lo stile architettonico dell’edificio, la sopraelevazione rappresenti una stonatura.

In giurisprudenza si è affermato che il codice civile, nel riferirsi, quanto alle sopraelevazioni, all’aspetto architettonico dell’edificio e quanto alle innovazioni, al decoro architettonico dello stesso, adotta nozioni di diversa portata, intendendo per aspetto architettonico la caratteristica principale insita nello stile architettonico dell’edificio, sicché l’adozione, nella parte sopraelevata, di uno stile diverso da quello della parte preesistente comporta normalmente un mutamento peggiorativo dell’aspetto architettonico complessivo, percepibile da qualunque osservatore, e, denotando per decoro architettonico una qualità positiva dell’edi­ficio derivante dal complesso delle caratteristiche architettoniche principali e secondarie, onde una modifica strutturale di una parte anche di modesta consistenza dell’edificio o una aggiunta quantitativa diversa dalla sopraelevazione, pur non incidendo normalmente sull’aspetto architettonico può comportare il venir meno di altre caratteristiche influenti sulla estetica dell’edificio e così sul decoro architettonico.

Secondo la S.C. il pregiudizio all’aspetto architettonico dell’edificio che i condomini possono addurre – a norma dell’art. 1127, c. 3°, c.c. – ad impedimento della sopraelevazione da parte del proprietario dell’ultimo piano, può consistere in una diminuzione del valore dell’immobile, diversamente dalla semplice alterazione prevista dall’art. 1120, c. 2°, comunque impeditiva della innovazione eseguita specificamente sulla cosa comune.

I condomini, infine, possono opporsi alla sopraelevazione quando da essa deriva una notevole diminuzione dell’aria e della luce ai piani sottostanti.

Si tratta di un limite che, a differenza di quelli precedenti, è previsto nell’interesse non dei condomini nel loro complesso, ma dei singoli condomini.

Secondo la S.C. il diritto dei condomini di opporsi alla sopraelevazione che sia suscettibile di pregiudicare l’aspetto architettonico dell’edificio o di diminuire l’aria e la luce ai piani sottostanti può essere esercitato non solo prima dell’inizio della sopraelevazione, ma anche dopo che la stessa sia effettuata, con facoltà di domandare, in questa seconda ipotesi, la riduzione in pristino ed il risarcimento del danno conseguente al pregiudizio derivato.

La sopraelevazione, infine, deve mantenersi nei confini della proprietà esclusiva del condominio che sfrutta il relativo diritto.

Secondo la S.C. l’azione dei condomini diretta a chiedere la riduzione in pristino e il risarcimento del danno nel caso di costruzione che pregiudica le caratteristiche architettoniche dell’edificio è soggetta a prescrizione ventennale; nel caso in cui, invece, la sopraelevazione comprometta le condizioni statiche dell’edificio, poiché si deve parlare non di limite al diritto di sopraelevare, ma di mancanza del presupposto stesso della sua esistenza, la relativa azione di accertamento negativo è imprescrittibile.

Con riferimento alla prima ipotesi, però, sembra difficile ipotizzare un diritto reale ad opporsi, che, concretandosi in una limitazione del diritto di proprietà altrui, non potrebbe che estinguersi, al pari delle servitù, per prescrizione ventennale in caso di mancato esercizio. Sembra preferibile ritenere che, trattandosi di fatto illecito, sarà applicabile la normale prescrizione quinquennale di cui all’art. 2947 c.c.

La nozione di sopraelevazione

Secondo l’orientamento dominante in giurisprudenza la sopraelevazione è costituita soltanto dalla realizzazione di nuove opere (nuovi piani) nell’area sovrastante il fabbricato, per cui l’originaria altezza dell’edificio è superata con la copertura dei nuovi piani o con la superficie superiore terminale delimitante le nuove fabbriche, sicché non vi è sopraelevazione in ipotesi di modificazione solo interna, contenuta negli originari limiti strutturali.

In applicazione di tale principio si è ritenuto che la trasformazione del sottotetto non costituisce sopraelevazione.

Tuttavia, nel caso di ricostruzione di un edificio distrutto, il proprietario dell’ultimo piano che costruisca uno o più piani in aggiunta a quelli precedenti è tenuto a corrispondere ugualmente l’indennità ai proprietari dei piani sottostanti, indipendentemente da ogni considerazione circa il rapporto tra l’altezza del precedente fabbricato e quello del fabbricato ricostruito, come risulta confermato dal fatto che il legislatore, sia nel sancire la facoltà di sopraelevazione dell’ultimo piano, che nell’affermare il diritto dei condomini alla relativa indennità, ha considerato i vecchi ed i nuovi piani solo per la loro ubicazione, per il loro numero e per la loro superficie, e non per la loro altezza.

In considerazione del fatto che l’art. 1127 c.c. menziona non soltanto i nuovi piani, ma anche le nuove fabbriche, si è ritenuto che la realizzazione di una terrazza in sostituzione del tetto preesistente costituisce essa stessa una sopraelevazione quando, oltre ad assolvere la funzione di copertura, acquisti, per struttura ed ubicazione, il carattere di bene di proprietà ed uso esclusivo del proprietario dell’ultimo piano.

La divisione orizzontale in due parti di un appartamento, mediante l’inserimento di una soletta e la creazione di una scala, interna all’appartamento, per l’accesso alla parte superiore, non costituisce, invece, sopraelevazione, onde non è dovuta l’indennità di cui all’art. 1127 c.c., in quanto lo sdoppiamento dell’appartamento preesistente non comporta, da parte del proprietario dell’appartamento superiore, una autonoma utilizzazione della scala e del ballatoio comuni e quindi non vi è la creazione di un altro piano nel senso tecnico comune. Né gli altri condomini potrebbero pretendere l’indennità in questione sostenendo che l’aumento di valore dell’appartamento si risolve automaticamente in un maggior diritto del condomino sulle parti comuni, con conseguente pregiudizio degli altri: l’art. 68 disp. att. c.c. esclude, infatti, che nel valore del piano si tenga conto dei miglioramenti.

La terrazza a livello, qualora sia annessa ad un dato appartamento, è indubbiamente equiparabile – sia per la funzione, sia pure accessoria, che esplica rispetto ai piani sottostanti, sia per ciò che attiene alla sua appartenenza – al lastrico solare di proprietà esclusiva, con la conseguenza che, in applicazione del disposto della prima parte dell’art. 1127 c.c., il diritto di eseguirvi sopraelevazioni spetta, non al proprietario del piano sottostante, bensì al proprietario dell’appartamento cui accede, il quale dovrà corrispondere la relativa indennità.

4.L’indennità: a) il fondamento

In base all’art. 1127, ultimo comma, c.c. chi fa la sopraelevazione deve corrispondere agli altri condomini un’indennità pari al valore attuale dell’area da occuparsi con la nuova fabbrica, diviso per il numero dei piani, ivi compreso quello da edificare, e detratto l’importo della quota lui spettante.

Si è sostenuto che la indennità di sopraelevazione è dovuta perché la nuova costruzione costituisce un aggravio sui muri maestri ed ingenera un maggior uso delle parti comuni.

In senso contrario si è, però, esattamente osservato che: a) il condomino ha la facoltà di servirsi delle cose comuni – a condizione di non mutarne la destinazione – senza la necessità di pagare alcuna indennità; b) colui il quale costruisce, diventando condomino se non lo era prima, oppure aumentando la propria quota se già era condomino, sopporterà, con il nuovo piano – rispettivamente ex novo o in maggior misura – le spese di conservazione e manutenzione dell’edificio, le quali sono sempre proporzionate al valore delle rispettive proprietà, con il conseguente discarico per gli altri condomini in proporzione delle rispettive quote; c) nella determinazione dell’indennità non si ha riguardo al valore dei muri maestri e delle altre parti comuni, bensì all’area su cui sorge la costruzione.

Secondo un altro orientamento l’indennità in questione serve ad indennizzare gli altri condomini per la mancata utilizzazione dell’area sovrastante l’edificio a seguito dell’utilizzazione esclusiva della stessa da parte del proprietario dell’ultimo piano o del lastrico solare.

La conferma della esattezza di tale tesi, oltre che dalla lettera dell’art. 1127, ultimo comma, c.c. (il quale parla di «area» da occuparsi con le nuove fabbriche), sarebbe desumibile dalle modalità in base alle quali l’indennità deve essere calcolata, ed in particolare dall’obbligo di dividere il valore dell’area occupata per il numero dei piani costruiti o costruendi (perché solo così, eliminandosi la porzione della colonna d’aria corrispondente ai vari piani, si può avere la determinazione dell’area sovrastante all’edificio, che varia secondo il numero dei piani edificati) e dall’obbligo di detrarre da tale valore la quota spettante al condomino che sopraeleva (poiché l’area sovrastante appartiene anche a tale condominio, è chiaro che la sua quota vada detratta, non potendo chi sfrutta un bene in parte suo pagare gli altri comproprietari anche in relazione alla sua porzione di bene sfruttato).

Gli argomenti addotti a sostegno della tesi secondo la quale l’indennità di sopraelevazione serve a compensare la utilizzazione esclusiva dell’area sovrastante l’edificio non sembrano convincenti.

È da escludere, innanzitutto, che l’art. 1127, ultimo comma, c.c., parlando di «area» da occuparsi con la nuova fabbrica, abbia inteso fare riferimento alla colonna d’aria. A parte il fatto che il termine «area» richiama più la nozione di superficie che non quella di volume, la norma in questione rappresenta la riproduzione, in forma più concisa, dell’art. 12, r.d.l. 15 gennaio 1934, n. 56, il quale, parlando di divisione dell’indennità per i piani «sovrastanti», non lasciava dubbi sul fatto che l’area andasse identificata con il suolo.

Una volta chiarito tale punto, perde qualsiasi valore l’argomento che, a conferma della tesi criticata, si è voluto desumere dal criterio previsto per la ripartizione dell’indennità.

Si può comunque osservare che se il legislatore ha concesso al proprietario dell’ultimo piano o del lastrico solare il diritto di sopraelevare e perciò di utilizzare in via esclusiva la parte della colonna d’aria da occupare con le nuove fabbriche, non può ricollegare l’indennità prevista dall’art. 1127, ultimo comma, c.c. a tale utilizzazione; in altri termini non si possono indennizzare gli altri condomini per la perdita di ciò che non hanno mai avuto.

In dottrina si è sostenuto che se l’art. 1127, c. 1°, c.c. non attribuisse al proprietario dell’ultimo piano il diritto di sopraelevare, tale diritto spetterebbe a tutti i condomini; la indennità di sopraelevazione, pertanto, avrebbe la funzione di compensare gli altri condomini della perdita della facoltà di sfruttare l’area comune sovrastante l’edificio.

È facile, però, replicare che la possibilità, per il proprietario dell’ultimo piano, di sopraelevare l’edificio, sorge contemporaneamente alla costituzione del condominio; ne consegue che l’indennità di cui si discute non può servire a compensare gli altri condomini della perdita di una facoltà che non hanno mai avuto (appunto perché attribuita ab initio al proprietario dell’ultimo piano).

Nella individuazione del fondamento della indennità di cui all’art. 1127, ultimo comma, c.c. occorre partire dalla considerazione che, per effetto della sopraelevazione, il proprietario dell’ultimo piano aumenta, a scapito degli altri condomini, il proprio diritto sulle parti comuni dell’edificio, dal momento che tale diritto, in base all’art. 1118, c. 1°, c.c., è proporzionato al valore del piano o porzione di piano che gli appartiene.

Il legislatore ha inteso risarcire in parte i condomini, assumendo a parametro il valore del suolo occupato, l’unica parte comune della quale sia possibile una valutazione autonoma. Sarebbe, infatti, impossibile stabilire il valore (e la conseguente diminuzione del diritto spettante ai condomini non sopraelevanti), ad es., sui muri perimetrali.

Il fatto che l’indennizzo non sia totale, nel senso che non copre per intero la diminuzione di valore che le unità immobiliari in proprietà esclusiva subiscono per effetto della sopraelevazione in rapporto col valore dell’intero edificio, trova una giustificazione nel fatto che, da un lato, non si tratta di risarcimento da fatto illecito e che, dall’altro, il diritto di sopraelevare, e conseguentemente di provocare tale diminuzione di valore, sorge contemporaneamente al condominio e quindi chi acquista una unità immobiliare al di sotto dell’ultimo piano sa che il valore della stessa rispetto al valore dell’intero edificio è suscettibile di diminuzione.

A tale ricostruzione si è obiettato che: a) l’art. 1118 e l’art. 1127 c.c. hanno sfere di applicazione distinte: stabilendo l’art. 1118 c.c. che il diritto di comproprietà sulle cose comuni (e quindi anche sul suolo) è proporzionale al valore della proprietà solitarie, ne segue che qualsiasi variazione di valore di una unità immobiliare opera una corrispondente variazione dei diritti di ciascun condomino sulle cose comuni, mentre ogni «innovazione di vasta portata», tale da alterare «notevolmente» il rapporto originario fra i condomini, autorizza la revisione delle tabelle millesimali ai sensi dell’art. 69 disp. att. c.c., mentre per l’art. 1127 c.c. solo la «elevazione di nuovi piani o nuove fabbriche» sopra l’ultimo piano o sopra il lastrico solare concretizza l’obbligo di indennizzo; b) non sempre vi è corrispondenza fra la superficie coperta dalla nuova costruzione, alla quale fa riferimento per la determinazione dell’indennità di sopraelevazione e la superficie solare su cui i diritti dei proprietari dei piani sottostanti vengono a ridursi ai sensi degli artt. 1118 c.c. e 69 disp. att. c.c.; infatti, mentre l’indennità va commisurata alla superficie che viene effettivamente coperta, la quota di comproprietà di cui, per effetto della costruzione, si arricchisce il proprietario dell’ultimo piano a danno degli altri, si riferisce a tutte le parti comuni, e fra queste in primo luogo l’intera area, non solo quella coperta dal fabbricato, ma anche quella scoperta adibita a giardino ed alle altre parti comuni, (con la sola eccezione forse dei muri maestri, per i quali si potrebbe pensare ad una sorta di compensazione fra la quota relativa alla vecchia costruzione che passa al proprietario del nuovo piano e la quota di quest’ultimo piano che passa agli altri condomini).

La prima obiezione presuppone che nelle «innovazioni di vasta portata» di cui all’art. 69 disp. att. c.c. possano essere ricomprese anche le modifiche relative alle unità immobiliari di proprietà esclusiva, il che è da escludere, in quanto il legislatore ha parlato di «innovazioni» solo con riferimento a modifiche delle parti comuni (artt. 1120, 1122). Una volta chiarito tale punto, è evidente che non può essere accusato di incoerenza il legislatore per avere previsto solo con riferimento alla sopraelevazione, e non anche alla esecuzione di innovazioni di vasta portata, oltre alla revisione delle tabelle millesimali, anche la corresponsione di una indennità agli altri condomini.

La seconda obiezione non tiene conto che la corresponsione della indennità serve a compensare gli altri condomini della diminuzione della loro quota su tutte le parti comuni e il valore del suolo serve solo da parametro per il calcolo della indennità in questione.

Alla luce di quanto esposto non può neppure condividersi l’orientamento secondo il quale l’indennità di sopraelevazione servirebbe a compensare la diminuzione della propria quota sul suolo che subiscono i condomini non sopraelevanti. Tale perdita di valore del suolo, infatti, dà la misura dell’indennizzo, ma non ne rappresenta la ratio giustificatrice.

Né sembra corretto affermare che per effetto della sopraelevazione si verifica un arricchimento senza causa del proprietario dell’ultimo piano a danno degli altri condomini che viene corretto dalla corresponsione della indennità.

L’arricchimento derivante dalla sopraelevazione, infatti, trova la sua giustificazione nella proprietà dell’ultimo piano o del lastrico solare.

È evidente, poi, che non possono essere condivise quelle decisioni della S.C. le quali nelle quali confluiscono gli orientamenti – tra loro contrastanti – in precedenza illustrati.

Ove la sopraelevazione intervenga in un edificio condominiale che, pur essendo compreso in un complesso edilizio formato da più stabili, sia rivestito da connotazioni di autonomia e indipendenza rispetto agli altri fabbricati, con i quali abbia in comunione soltanto i cortili interni, l’indennità di sopraelevazione spetta soltanto ai proprietari degli appartamenti siti in detto edificio, e cioè ai proprietari dei piani e delle porzioni di piano inferiori a quelli della sopraelevazione (segue ).

(*) Queste pagine sono parte di capitolo della monografia compresa nel Trattato di diritto privato diretto da Mario Bessone ( R.Triola, Il condominio, Editore Giappichelli,Torino 2003) di cui si riproduce l’indice analitico.

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