La sola convivenza con il paziente deceduto giustifica il risarcimento del danno per la perdita del rapporto parentale a favore dei congiunti

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Fatto 

La sentenza in commento riguarda una fattispecie di risarcimento danni per malpractice medica in cui i familiari di un paziente deceduto avevano adito il Tribunale di Venezia per ottenere il risarcimento dei danni subiti sia in qualità di eredi del paziente deceduto sia direttamente per la perdita del rapporto parentale.

In particolare, gli attori rilevavano come il proprio congiunto fosse stato ricoverato presso l’Ospedale di Mestre nel maggio 2013 e che quattro mesi dopo fosse stato colpito da una anemia secondaria con emorragia a livello del duodeno, trattata positivamente con procedure di embolizzazione. Tuttavia, all’esito di detto intervento, il paziente era stato ricoverato per errore nel reparto di Nefrologia e non era stato sottoposto ad alcuna profilassi antibiotica nonostante avesse subito detto intervento al cuore. Dopo pochi mesi il paziente aveva iniziato ad accusare febbre e stanchezza e comunque era stato dimesso dall’Ospedale nell’ottobre 2013, salvo poi essere nuovamente ricoverato pochi giorni dopo, senza che però fosse effettuato alcun accertamento strumentale per verificare lo stato delle protesi aortiche e mitraliche. Soltanto nel dicembre 2013, in occasione di un nuovo ricovero, in considerazione del fatto che la situazione di salute del paziente si era ulteriormente aggravata, i sanitari dell’Ospedale effettuavano un eco cardiogramma transesofageo da cui emergeva la presenza di un grave processo infettivo batteriologico a livello aortico. Nonostante l’esecuzione delle terapie, tuttavia, il paziente decedeva per collasso multi-organo.

Si legga anche:”I principi applicabili in tema di danno da perdita del rapporto parentale”

La decisione del Tribunale

Il giudice veneto ha accolto la domanda risarcitoria formulata dagli attori, riconoscendo la responsabilità dell’Ospedale e la sussistenza dei danni sia subiti iure proprio dagli attori per perdita del rapporto parentale, che quelli subiti dal paziente deceduto e trasmessi iure hereditatis agli attori.

Preliminarmente, il Tribunale ha ricordato che la responsabilità della struttura sanitaria nei confronti del paziente deriva dalla sussistenza di un contratto obbligatorio atipico che si instaura per fatti concludenti tra dette parti nel momento in cui il paziente viene accettato all’interno della struttura sanitaria. Si tratta del c.d. contratto di spedalità, in virtù del quale la struttura sanitaria si obbliga ad adempiere a prestazioni principale di carattere sanitario nonché a prestazioni secondarie e accessorie (come l’assistenza al paziente, la fornitura di vitto e alloggio ecc.). In considerazione di tale tipologia di rapporto, la struttura sanitaria risponde, ai sensi dell’art. 1218 c.c., per l’inadempimento o l’inesatto adempimento delle prestazioni sulla medesima gravanti in base a detto contratto. Tale responsabilità si configura altresì, ai sensi dell’art. 1228 c.c., anche nel caso in cui la struttura si avvalga di propri dipendenti o di collaboratori esterni per eseguire dette prestazioni.

In entrambi i casi, quindi, si tratta di una responsabilità avente carattere contrattuale.

Da tale carattere contrattuale, dal punto di vista dell’onere probatorio, secondo il giudice veneto deriva l’onere a carico del creditore danneggiato di provare anche la sussistenza del nesso di causalità materiale tra la condotta dei sanitari e il danno lamentato. In altri termini, l’attore danneggiato deve dimostrare che il medico ha violato le regole di diligenza e che vi sia una relazione di causalità materiale tra detta violazione e la lesione della salute subita dal paziente.

Per quanto concerne, invece, la responsabilità della struttura nei confronti dei congiunti del paziente, per i danni da questi subiti per la perdita del rapporto parentale, essa – secondo il giudice veneto – è inquadrabile nella categoria extracontrattuale. Da ciò deriva l’onere a carico dell’attore di provare altresì che la condotta del sanitario era dolosa o colposa.

Nel caso di specie, il Tribunale – con il supporto della CTU espletata – ha accertato la sussistenza di un nesso di causalità tra la condotta dei medici e il decesso del paziente: in particolare, i sanitari hanno errato la prima diagnosi del paziente di diverticolite acuta, mentre, anche in considerazione della presenza di protesi valvolari cardiache sul paziente, a fronte della presenza di crisi febbrili del paziente e di positività agli indici di flogosi, avrebbero dovuto effettuare degli accertamenti diagnostici finalizzati a escludere che fosse in atto una endocardite infettiva; secondo le linee guida applicabili in questi casi, infatti, i sanitari, anziché dimettere il paziente, avrebbero dovuto effettuare i prelievi ematici per le emoculture ed un ecocardiogramma esofageo e chiedere una consulenza cardiologica ufficiale. Da tali accertamenti omessi sarebbe stata individuata l’infezione in corso sul paziente e sarebbe stata trattata con terapia antibiotica mirata con probabile risoluzione della infezione.

In considerazione di tale inadempimento imputabile ai medici e quindi alla struttura sanitaria, il giudice veneto ha ritenuto che la suddetta condotta dei medici è qualificabile come colposa, in quanto ha violato le normali regole di prudenza, diligenza e perizia e non sussistevano problemi di particolare difficoltà.

Per quanto concerne, infine, la sussistenza dei danni invocati, il giudice – oltre alla sussistenza del danno biologico subito dal paziente deceduto – ha riconosciuto altresì la sussistenza del danno da perdita del rapporto parentale subito dai congiunti.

A tal proposito, il Tribunale veneto, da un lato, ha ricordato che tale danno si indentifica con il vuoto costituito dal non poter più godere della presenza e del rapporto del proprio congiunto e quindi sulla distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione e sulla quotidianità dei rapporti tra il deceduto e i suoi congiunti; dall’altro lato, ha precisato che tale danno deve essere dimostrato dai congiunti.

Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto che fosse sufficiente ad assolvere detto onere probatorio il fatto che gli attori avessero allegato la convivenza della moglie con il paziente deceduto e conseguentemente ha liquidato ad ogni attore il risarcimento del danno per la lesione del rapporto parentale, anche se quantificato nella sua misura minima proprio in considerazione della limitata prova fornita in giudizio.

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