La sentenza n. 109/2006 della Corte di Cassazione sezione IV penale sulla determinazione del reddito nella ipotesi di c.d. “famiglia di fatto”.

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Il testo (non ufficiale) della sentenza si trova sul sito www.anvag.it nella rubrica biblioteca
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Natalino C. si è visto respingere dalla Corte di cassazione sezione IV penale il ricorso contro il provvedimento del Tribunale di Milano dinanzi al quale aveva impugnato il provvedimento del Giudice dell’esecuzione di rigetto dell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
L’interessato, in libertà, conviveva con una donna e dunque il Giudice di legittimità ha deciso che “in caso di convivenza il reddito è costituito dalla somma dei redditi di ogni componente del nucleo stabilmente convivente” osservando come la giurisprudenza “dovendo confrontarsi con le mutate concezioni che via via si sono affermate nella società moderna”, in materia di rapporti interpersonali, abbia considerato la “famiglia di fatto” quale “realtà sociale che, pur essendo al di fuori dello schema legale cui si riferisce, esprime comunque caratteri ed istanze analoghe a quelle della famiglia stricto sensu intesa”.
 
Val bene precisare che la fattispecie de qua è stata esaminata sotto il vigore della legislazione precedente all’odierno D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 c.d. T.U. sulle spese di giustizia che racchiude le disposizioni legislative e regolamentari in materia di patrocinio a spese dello Stato.
 
Le disposizioni esaminate dalla sentenza in commento  prendono le mosse dall’art 3 comma 2 del capo I (patrocinio a spese dello stato nei giudizi penali) della Legge n. 30 luglio 1990, n. 217 “Se l’interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito ai fini del presente articolo é costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia ivi compreso l’istante. In tal caso, i limiti indicati al comma primo sono elevati di lire due milioni [€ 1.032,91] per ognuno dei familiari conviventi con l’interessato”.
Il successivo art 15 ter comma 2 del capo II (patrocinio a spese dello stato nei giudizi civili ed amministrativi) aggiunto con legge n.134/2001, recita “In caso di convivenza, il reddito ai fini del presente articolo è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente del nucleo stabilmente convivente; tuttavia quando la causa ha ad oggetto diritti della personalità ovvero quando gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo, si tiene conto del solo reddito dell’interessato”.
Intervenuto il D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 c.d. T.U. sulle spese di giustizia, l’art. 76 comma 2 dispone che  “2. Salvo quanto previsto dall’articolo 92 (vedi appresso n.d.r.), se l’interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l’istante”.
Nel successivo art. 79 si legge che “L’istanza è redatta in carta semplice e, a pena di inammissibilità, contiene:
………..
b) le generalità dell’interessato e dei componenti la famiglia anagrafica, unitamente ai rispettivi codici fiscali”.
L’art. 92 del Titolo II (Disposizioni particolari sul patrocinio a spese dello Stato nel processo penale) recita: “Se l’interessato all’ammissione al patrocinio convive con il coniuge o con altri familiari, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 76, comma 2, ma i limiti di reddito indicati dall’articolo 76, comma 1, sono elevati di euro 1.032,91 per ognuno dei familiari conviventi”.
 
Orbene, il DPR 30 maggio 1989 n.223 all’articolo 4  intende per famiglia anagrafica  “un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune”.
Il successivo articolo 5 definisce la convivenza anagrafica quale “insieme di persone normalmente coabitanti per motivi religiosi, di cura, di assistenza, militari, di pena e simili, aventi dimora abituale nello stesso comune, precisando che le persone addette alla convivenza per ragioni di impiego o di lavoro, se vi convivono abitualmente, sono considerate membri della convivenza, purchè non costituiscano famiglie a se stanti”.
A sua volta l’art. 1 – bis del D.P.C.M. 7 maggio 1999 n. 221 aggiunto dall’art. 1 d.p.c.m. 4 aprile 2001 n. 242 in materia di criteri unificati di valutazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate e di individuazione del nucleo familiare per casi particolari, stabilisce le norme per la composizione del nucleo familiare di cui fanno parte i soggetti componenti la famiglia anagrafica ai sensi dell’articolo 4 del sopra riportato d.p.r. 30 maggio 1989, n. 223, salvo quanto stabilito dai commi seguenti.
I soggetti a carico ai fini IRPEF, anche se componenti altra famiglia anagrafica, fanno parte del nucleo familiare della persona di cui sono a carico.
Quando un soggetto risulta a carico ai fini IRPEF di più persone, si considera, tra quelle di cui è a carico, componente il nucleo familiare:a) della persona della cui famiglia anagrafica fa parte;
b) se non fa parte della famiglia anagrafica di alcuna di esse, della persona tenuta agli alimenti ai sensi degli articoli 433 e seguenti del codice civile, secondo l’ordine ivi previsto; in presenza di più persone obbligate agli alimenti nello stesso grado, si considera componente il nucleo familiare di quella tenuta in misura maggiore ai sensi dell’articolo 441 del codice civile.
I coniugi che hanno la stessa residenza, anche se risultano a carico ai fini IRPEF di altre persone, fanno parte dello stesso nucleo familiare; nei loro confronti si applica il solo criterio anagrafico.
I coniugi che hanno diversa residenza anagrafica, anche se risultano a carico ai fini IRPEF di altre persone, fanno parte dello stesso nucleo familiare, identificato sulla base della famiglia anagrafica di uno dei coniugi che è considerata di comune accordo corrispondente alla residenza familiare. Detti criteri di attrazione non operano: a) quando è stata pronunciata separazione giudiziale o è intervenuta l’omologazione della separazione consensuale ai sensi dell’articolo 711 del codice di procedura civile, ovvero quando è stata ordinata la separazione ai sensi dell’articolo 126 del codice civile; b) quando la diversa residenza è consentita a seguito dei provvedimenti temporanei ed urgenti di cui all’articolo 708 c.p.c.; c) quando uno dei coniugi è stato escluso dalla potestà sui figli o è stato adottato, ai sensi dell’articolo 333 del codice civile, il provvedimento di allontanamento dalla residenza familiare; d) quando si è verificato uno dei casi di cui all’articolo 3 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, ed é stata proposta domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio; e) quando sussiste abbandono del coniuge, accertato in sede giurisdizionale o dalla pubblica autorità competente in materia di servizi sociali.
Il figlio minore di anni 18, anche se a carico ai fini IRPEF di altre persone, fa parte del nucleo familiare del genitore con il quale risulta residente. Il minore che si trova in affidamento preadottivo, ovvero in affidamento temporaneo presso terzi disposto o reso esecutivo con provvedimento del giudice, fa parte del nucleo familiare dell’affidatario, ancorché risulti in altra famiglia anagrafica o risulti a carico ai fini IRPEF di altro soggetto. Il minore in affidamento e collocato presso comunità o istituti di assistenza è considerato nucleo familiare a sé stante.
Il soggetto che si trova in convivenza anagrafica ai sensi dell’articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, è considerato nucleo familiare a sé stante, salvo che debba essere considerato componente del nucleo familiare del coniuge, ovvero del nucleo familiare della persona di cui è a carico ai fini IRPEF, ai sensi delle disposizioni del presente articolo. Se della medesima convivenza anagrafica fanno parte il genitore e il figlio minore, quest’ultimo è considerato componente dello stesso nucleo familiare del genitore.
Ai sensi dell’articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, e successive modificazioni, in relazione a particolari prestazioni, gli enti competenti alla disciplina delle prestazioni medesime possono assumere come unità di riferimento una composizione del nucleo familiare estratta nell’ambito dei soggetti indicati nel presente articolo.
 
L’art. 3 della Legge 1° dicembre 1970, n. 898 dispone chelo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio può essere domandato da uno dei coniugi:
1) quando, dopo la celebrazione del matrimonio, l’altro coniuge è stato condannato, con sentenza passata in giudicato, anche per fatti commessi in precedenza:a ) all’ergastolo ovvero ad una pena superiore ad anni quindici, anche con più sentenze, per uno o più delitti non colposi, esclusi i reati politici e quelli commessi per motivi di particolare valore morale e sociale; b ) a qualsiasi pena detentiva per il delitto di cui all’art. 564 del codice penale e per i delitti di cui agli articoli 519, 521, 523 e 524 del codice penale commessi in danno di un discendente o figlio adottivo, ovvero per induzione o costrizione del coniuge o di un figlio anche adottivo alla prostituzione, nonchè per sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione di un discendente o di un figlio adottivo; c ) a qualsiasi pena per omicidio volontario in danno di un discendente o figlio adottivo ovvero per tentato omicidio in danno del coniuge o di un discendente o figlio adottivo; d ) a qualsiasi pena detentiva, con due o più condanne, per i delitti di cui all’art. 582, quando ricorra la circostanza aggravante di cui al secondo comma dell’art. 583, e agli articoli 570, 572 e 643 del codice penale, in danno del coniuge o di un figlio anche adottivo.
Nelle ipotesi previste alla lettera d ) il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio accerta, anche in considerazione del comportamento successivo del convenuto, la di lui inidoneità a mantenere o ricostituire la convivenza familiare.
Per tutte le ipotesi previste nel numero 1) del presente articolo la domanda non è proponibile dal coniuge che sia stato condannato per concorso nel reato ovvero quando la convivenza coniugale è ripresa;
2) nei casi in cui: a ) l’altro coniuge è stato assolto per vizio totale di mente da uno dei delitti previsti nelle lettere b ) e c ) del n. 1) del presente articolo, quando il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio accerta l’inidoneità del convenuto a mantenere o ricostituire la convivenza familiare; b ) è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero è stata omologata la separazione consensuale ovvero è intervenuta separazione di fatto quando la separazione di fatto stessa è iniziata anteriormente all’entrata in vigore della presente legge da almeno due anni.
In tutti i predetti casi, per la proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, le separazioni devono protrarsi ininterrottamente da almeno cinque anni a far tempo dalla avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale; nella separazione di fatto iniziatasi ai sensi del comma precedente, i cinque anni decorrono dalla cessazione effettiva della convivenza.
Quando vi sia opposizione del coniuge convenuto il termine di cui sopra è elevato:
ad anni sette, nel caso di separazione pronunciata per colpa esclusiva dell’attore; ad anni sei, nel caso di separazione consensuale omologata in data anteriore all’entrata in vigore della presente legge o di separazione di fatto; c ) il procedimento penale promosso per i delitti previsti dalle lettere b ) e c ) del n. 1) del presente articolo si è concluso con sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato, quando il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio ritiene che nei fatti commessi sussistano gli elementi costitutivi e le condizioni di punibilità dei delitti stessi; d ) il procedimento penale per incesto si è concluso con sentenza di proscioglimento o di assoluzione che dichiari non punibile il fatto per mancanza di pubblico scandalo; e ) l’altro coniuge, cittadino straniero, ha ottenuto all’estero l’annullamento o lo scioglimento del matrimonio o ha contratto all’estero nuovo matrimonio; f ) il matrimonio non è stato consumato”.
Sull’argomento si è pronunciata la Cassazione Penale con sentenza 3.10.1997 n. 728  che è stata confermata da una recente pronuncia (Cassaz. sez IV penale 28 gennaio 2004 n. 13265) e che ha esaminato il reclamo contro il diniego di ammissione del beneficio per la violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 2, legge n. 217/90, ora sostituito dagli artt. 76 e 92 D.P.R. n. 115/2002, per avere il Tribunale ritenuto assimilabile al “coniuge”, o quanto meno ad “ogni altro familiare convivente”, – come citato dal suddetto art. 3 per la valutazione del reddito del richiedente l’ammissione al gratuito patrocinio – anche il “convivente more uxorio”.
Inoltre, il ricorrente ha censurato l’ordinanza del Tribunale per non avere ritenuto, quale onere deducibile, l’assegno di mantenimento del coniuge separato e dei figli, a carico dell’istante, assumendo che – qualora si voglia considerare il reddito complessivo familiare, sommando a quello del ricorrente (pari a zero), quello della convivente (pari ad € 1.032,00 mensile) – andavano operate anche le deduzioni degli oneri non solo fiscali
La Corte di Cassazione ha ritenuto quale principio informatore che “in tema di patrocinio dei non abbienti, per la individuazione del reddito rilevante ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, occorre tenere conto, a norma dell’art. 3, comma secondo, della legge 30 luglio 1990 n. 217, della somma dei redditi facenti capo all’interessato, al coniuge e agli altri familiari conviventi, nozione quest’ultima che comprende ogni componente del nucleo familiare, e quindi non solo i parenti legati da vincoli di sangue, ma anche il convivente more uxorio” .
Con la sentenza sopra richiamata del 2004 il Supremo Collegio ha condiviso la motivazione del Tribunale in ordine alle ragioni per le quali non va operata la detrazione dal reddito complessivo dell’assegno di mantenimento che l’istante è tenuto a corrispondere alla moglie separata ed ai figli. La Corte di Cassazione ha ritenuto, con motivazione attinente allo spirito normativo, che “ai fini dell’ammissione al gratuito patrocinio, il giudice non deve attenersi esclusivamente e formalmente alle risultanze rilevabili dalla dichiarazione dei redditi, ma deve procedere al calcolo del reddito risultante all’esito delle detrazioni degli obblighi deducibili ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, (t.u. delle imposte sui redditi) e solo all’esito di tale operazione comparare il reddito al tetto previsto dall’art. 3 della 1. 30 luglio 1990 n. 217 (nell’affermare il principio di cui in massima la Corte ha precisato che il giudice avrebbe dovuto tener conto, sottraendoli dal reddito, degli assegni periodici corrisposti al coniuge in conseguenza della separazione)” (Cass. 21.2.1997 n. 728).
Nella specie, essendo, però, il reddito del richiedente pari a zero, e non incombendo certo sulla convivente l’obbligo di provvedere al mantenimento della moglie separata e dei figli dell’istante, nessuna detrazione andava operata, essendo ininfluente la circostanza che debba farsi riferimento al reddito complessivo per valutare se esso rientri nei limiti previsti dall’art. 3 legge n. 217/90, come modificato dalla legge n. 134/2001, vigente all’epoca dell’istanza di ammissione e dell’originario provvedimento di diniego. Ne consegue che, in caso di convivenza more uxorio, deve essere considerata la somma di entrambi i redditi dei conviventi per valutare l’ammissione dell’istante al patrocinio a spese dello Stato; la sottrazione dal reddito per l’ammissione al gratuito patrocinio, ai sensi dell’ari. 3, comma 2, legge n. 217/90 (ora sostituito dall’art. 76, 2° comma, D.P.R. n. 115/02) degli assegni periodici da corrispondere al coniuge separato dell’istante va valutato, però, nella sola ipotesi che l’istante sia titolare di reddito proprio, non incombendo certamente sul convivente more uxorio alcun onere di provvedere a tale mantenimento.
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* Avv. Nicola Ianniello presidente A.N.V.A.G. Associazione Nazionale Volontari Avvocati per il Gratuito patrocinio e la difesa dei non abbienti- 03-06

Ianniello Nicola

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