La quota di legittima

Redazione 08/09/20
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La quota di legittima e la sua tutela

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L’art. 536 c.c. prevede che a taluni soggetti tassativamente indicati la legge riconosca una “quota di eredità”. Ovvero una quota sufficiente quanto meno a riconoscere al riservatario il valore della quota di legittima su una determinata eredità, da calcolarsi sul patrimonio ereditario post riunione fittizia. Parleremo allora di legittima “in natura” (1) sui beni ereditari, fermo restando che il legittimario può essere beneficiato solo con beni presenti nel patrimonio ereditario, anche in analogia con quanto disposto in merito alle fattispecie divisorie, in cui è pacificamente vietato dividersi beni estranei alla comunione.

Qualora manchi il coniuge, l’intera eredità spetterà al/i figlio/i, anche se siano viventi altri parenti.
Se manchino sia i figli sia gli ascendenti, l’intero asse ereditario sarà diviso in parti uguali fra i fratelli superstiti, mentre questi ultimi dovranno spartirsi tra loro solo il 50% dell’eredità se sono viventi uno o più fratelli (cui spetterà complessivamente l’altro 50%, sempre in assenza di figli, ovviamente).
Nel caso in cui gli unici superstiti siano altri parenti, purché entro il sesto grado, saranno i parenti di grado più prossimo a dividersi, in parti uguali, l’intera eredità. In mancanza di successibili (art. 586) erede è lo Stato.
Più complessi sono i calcoli in sede di successione testamentaria.
L’art. 536 individua quali legittimari – ai quali spetta una quota di riserva, indipendentemente dal contenuto del testamento, a seguito del vittorioso esperimento della azione di riduzione – il coniuge, i figli e gli ascendenti legittimi. I discendenti dei figli che vengano alla successione in luogo di questi, per rappresentazione ex art. 467 ss., godono dei medesimi diritti riservati ai loro ascendenti.

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Come visto, anche l’autonomia del testatore viene espressamente limitata dalla necessità di rispettare le quote di riserva sovra elencate. Ciò non si traduce in un divieto a carico del testatore di poter disporre nella maniera a lui più congeniale né si traduce in forme di invalidità della scheda, ma semplicemente determina in capo al legittimario preterito o pretermesso un diritto ad attivarsi in sede giudiziale per ottenere la riduzione delle disposizioni lesive ed ottenere di essere reintegrato nella titolarità dei beni ereditari.
Ciò vale ormai anche per le ipotesi in cui il testatore abbia espressamente diseredato un successibile (4): “È valida la clausola del testamento con la quale il testatore manifesti la volontà destitutiva – che può includersi nel «disporre», di cui all’art. 587, primo comma, c.c. – diretta ad escludere dalla propria successione legittima alcuni dei successibili ed a restringerla così ai non diseredati, costituendo detta clausola di diseredazione espressione di un regolamento di rapporti patrimoniali, rientrante nel contenuto tipico dell’atto di ultima volontà e volta ad indirizzare la concreta destinazione post mortem delle proprie sostanze, senza che per diseredare sia, quindi, necessario procedere ad una positiva attribuzione di bene, né occorra prova di un’implicita istituzione”.

I diritti del legittimario

Come detto, il legittimario ha diritto di conseguire la legittima in natura (Tribunale Oristano, 25 luglio 2018: “Nella riduzione delle disposizioni attributive di beni determinati è ammessa la reintegrazione della quota riservata ai legittimari alternativamente in forma specifica o per equivalente, con espressa previsione, nei casi in cui prevale il diritto del legatario o donatario di ritenere il bene oggetto della disposizione lesiva, di compensare in danaro il legittimario. Nulla impedisce al legittimario, naturalmente, di rinunziare alla legittima in natura e chiederne il valore. Alla reintegrazione per equivalente si fa luogo, pertanto, ove vi sia la volontà o la necessità che avvenga in tal modo”) nonché pro quota i frutti dei beni ereditari dall’apertura della successione, dovendo inoltre il giudice disporre in capo a lui la trascrizione immobiliare della quota di comproprietà sui beni stessi, adeguatamente individuati.
Nel procedimento per la reintegrazione della quota di eredità riservata al legittimario, si deve avere riguardo al momento di apertura della successione per calcolare il valore dell’asse ereditario – mediante la cosiddetta riunione fittizia – stabilire l’esistenza e l’entità della lesione della legittima, nonché determinare il valore dell’integrazione spettante al legittimario leso. Peraltro, qualora tale integrazione venga effettuata mediante conguaglio in denaro, nonostante l’esistenza, nell’asse, beni in natura, trattandosi di credito di valore e non già di valuta essa deve essere adeguata al mutato valore – al momento della decisione giudiziale – del bene a cui il legittimario avrebbe diritto, affinché ne costituisca l’esatto equivalente, dovendo pertanto procedersi alla relativa rivalutazione, sulla base della variazione degli indici ISTAT sul costo della vita, nonché, trattandosi di beni fruttiferi, alla corresponsione dei “frutti” dal legittimario medesimo non percepiti (nel caso, interessi compensativi sulla somma rivalutata), da disporsi a far data dalla domanda (5).
Il punto è determinante ai fini processuali, perché l’attore è pur sempre il legittimario pretermesso, sul quale incombe l’onere ex art. 2697 c.c. di indicare entro quali limiti è stata lesa la sua quota di riserva, determinando con esattezza il valore della massa ereditaria nonché quello della quota di legittima violata dal testatore. A tal fine, ha l’onere di allegare e comprovare tutti gli elementi occorrenti per stabilire se ed in quale misura sia avvenuta la lesione della sua quota di riserva oltre che proporre, sia pure senza l’uso di formule sacramentali, espressa istanza di conseguire la legittima, previa determinazione della medesima mediante il calcolo della disponibile e la susseguente riduzione delle donazioni compiute in vita dal de cuius.

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