La prova della colpa della PA

Lazzini Sonia 17/01/08
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Anche con riferimento alla giurisprudenza comunitaria (Corte giustizia C.E. 5 marzo 1996, cause riunite nn. 46 e 48 del 1993; 23 maggio 1996, causa C5 del 1994) è bene evidenziare che in sede di accertamento della responsabilità della Pubblica amministrazione per danno a privati il giudice (amministrativo) può affermare la responsabilità quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato e negandola quando l’indagine presupposta conduce al riconoscimento dell’errore scusabile
 
Importante è sapere che la responsabilità della pubblica amministrazione è sancita in  alcuni importanti principi, come ci insegna il Consiglio di Stato nella decisione numero 1049 dell’ 8 marzo 2007:
 
< Deve, infatti, rammentarsi che, secondo il consolidato orientamento del giudice amministrativo, una volta intervenuto l’annullamento del provvedimento lesivo, ai fini dell’ammissibilità dell’azione di risarcimento del danno deve valutarsi la sussistenza dell’elemento psicologico della colpa: è stato, infatti, più volte precisato che la responsabilità patrimoniale della pubblica amministrazione conseguente all’adozione di provvedimenti illegittimi deve essere inserita nel sistema delineato dagli articoli 2043 e seguenti del codice civile in base al quale l’imputazione non può avvenire sulla base del mero dato oggettivo dell’illegittimità del provvedimento, dovendo verificarsi che la predetta adozione (e l’esecuzione dell’atto impugnato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità ,di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi>
 
a cura di Sonia Lazzini
 
 
REPUBBLICA ITALIANA   IN NOME DEL POPOLO ITALIANO    
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale,   Quinta Sezione          ANNO 2004
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso in appello n.674/2004 , proposto da Angelo ***, rappresentato e difeso dall’Avv. Prof. Federico Tedeschini e dall’Avv. Guido Cusano ed elettivamente domiciliato presso il primo in Roma , Largo Messico,7
CONTRO
-il Comune di Latina, in persona del sindaco pro-tempore , rappresentato e difeso dall’Avvocato dell’Avvocatura comunale Francesco Di Leginio e ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. P.Pontecorvi in Roma, via Bocca di Leone n.76
-la Regione Lazio, in persona del Presidente pro-tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. dello Stato Diana Ranucci ed elettivamente domiciliato presso la sede dell’Avvocatura alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;
PER LA RIFORMA
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione Staccata di Latina 6 dicembre 2002 n.1452;
            Visto il ricorso con i relativi allegati;
            Visto l’atto di costituzione in giudizio delle amministrazioni intimate; ;
            Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
            Visti gli atti tutti della causa;
            Relatore, alla pubblica udienza del 24 ottobre 2006 , il Consigliere Caro Lucrezio Monticelli; uditi, altresì, l’Avv. Tedeschini e l’Avv.Di Leginio;
            Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO E DIRITTO
Con l’appello in esame, proposto contro il Comune di Latina e la Regione Lazio, il dott. Angelo *** impugna la sentenza 6 dicembre 2002 n. 1452 del Tar del Lazio, sezione staccata di Latina, con la quale è stata respinto il ricorso dal medesimo proposto per ottenere il risarcimento dei danni  conseguenti al provvedimento n. 210 in data 9 novembre 1995 del Comune di Latina di revoca della titolarità provvisoria e definitiva della farmacia sita in Latina, borgo Faiti ( revoca annullata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 1517 del 4 ottobre 1999). La chiusura si era protratta dal 1°marzo 1996 al 6 febbraio 2000 e il danno era stato quantificato, sulla base di due consulenze tecniche di parte, in complessive lire 3.271.454.435, oltre interessi e rivalutazione di legge.
Si è costituito per resistere all’appello il Comune di Latina, il quale, dopo aver eccepito l’inammissibilità del ricorso di primo grado per la parte in cui si era richiesto tra i danni da risarcire anche la mancata corresponsione dell’indennità di avviamento dovuta all’atto del subentro di altro titolare nella gestione della farmacia ( in quanto non era stata evocata in giudizio la subentrante, che sarebbe l’unica obbligata al riguardo), ha concluso per l’infondatezza dell’appello stesso.
Si è costituita in giudizio per resistere anche la Regione Lazio.
Ai fini della risoluzione della controversia occorre richiamare i fatti , i provvedimenti e le pronunce giurisdizionali che hanno preceduto l’emanazione della sentenza impugnata.
 Con sentenza del Tar Lazio, sez. Latina n.1178 del 29 dicembre 1990 sono stati annullati gli atti relativi alla procedura espletata per il conferimento della gestione provvisoria della predetta farmacia di borgo Faiti e il conclusivo provvedimento di incarico in favore del Dott. ***.
    Tale procedura era stata attivata in attesa del conferimento della titolarità, a seguito di concorso, della stessa farmacia, di recente istituzione.
    Il Consiglio di Stato, sez. IV con sentenza n.746 del 25 settembre 1995, ha rigettato l’appello proposto dal Comune di Latina ,confermando la predetta sentenza n.1178/90.
    Nel frattempo, il dott. ***, con provvedimento del Comune di Latina n.14485 del 20 marzo 1992, emanato su conforme invito della Regione Lazio (provv.n.1317 del 5.2.1992), aveva ottenuto il conferimento della titolarità della stessa sede farmaceutica, in applicazione dell’art. 14 della legge 8 novembre 1991 n.362 (norme di riordino del settore farmaceutico), in base al quale (primo comma) "I farmacisti, che alla data di entrata in vigore della presente legge, gestiscono da almeno tre anni una farmacia rurale o urbana in via provvisoria … hanno diritto a conseguire, per una sola volta, la titolarità della farmacia … ", con precisazione (secondo comma) circa le modalità di calcolo degli occorrenti tre anni.
Successivamente il Comune di Latina, su espressa sollecitazione della Regione Lazio (giusta nota regionale n.19173 del 25.10.1995), con propria ordinanza n.210 del 9 novembre 1995, ha revocato sia la titolarità provvisoria che la titolarità definitiva della farmacia.
    La Regione Lazio, nel sollecitare la revoca, aveva richiamato una precedente corrispondenza con la quale aveva precisato che la medesima, allorquando aveva consentito la titolarità definitiva ai sensi dell’art.14 cit., non era a conoscenza del fattore ostativo costituito dalla citata sentenza del Tar Lazio sez. Latina n.1178/90 di annullamento dell’assegnazione della gestione provvisoria.
    Avverso il provvedimento di revoca e avverso altro provvedimento di affidamento della gestione provvisoria alla Dott. Maria Cristina Costanzi, l’interessato ha proposto due ricorsi al citato TAR, che con sentenza n.1 del 15 gennaio 1999 li respingeva entrambi, fra l’altro osservando:
-che l’annullamento giurisdizionale (giusta la cennata sentenza n.1178/90 confermata dal Consiglio di Stato) del provvedimento di affidamento della gestione provvisoria, cancellando tale provvedimento con effetto ex tunc, rendeva di mero fatto la effettuata gestione, con irrilevanza di essa al fine della applicazione dell’art.14 sopra citato;
-che la mancanza della comunicazione di avvio del procedimento conclusosi con l’impugnato provvedimento di revoca non costituiva ragione di illegittimità, non potendo il ricorrente non conoscere il contenuto delle sentenze a lui sfavorevoli e non potendo quindi lo stesso non essere consapevole della necessità per l’Amministrazione di portare ad esecuzione le stesse sentenze;
-che l’esecuzione delle medesime sentenze, così come avvenuta, costituiva attività inevitabile e assolutamente vincolata.
    Su appello del ricorrente, il Consiglio di Stato, sez.IV con la già citata sentenza n.1517 del 4 ottobre 1999, ritenendo che l’attività del Comune di Latina successiva al giudicato avesse avuto natura formalmente e sostanzialmente discrezionale, e tenuto conto della inoppugnabilità, per omessa impugnativa da parte dei controinteressati, dell’atto di conferimento della titolarità, ha riformato la sentenza del Tar e ha annullato gli atti impugnati; ciò, nella considerazione che il Comune, in occasione dell’adozione dei provvedimenti conseguenti alla formazione del giudicato, avrebbe dovuto inviare al ricorrente avviso di avvio del procedimento, ai sensi dell’art.7 della legge 7 agosto 1990 n.241.
Il Comune di Latina, su conforme determinazione (n.387/55 in data 13.12.1999) della Regione Lazio, con autorizzazione n.16 del 28 gennaio 2000 assentiva poi l’apertura della farmacia in favore del ricorrente.
 Con il ricorso già prima menzionato il dott. *** ha chiesto il risarcimento dei danni subiti in relazione alla temporanea interruzione della sua attività ed il Tar ha respinto la richiesta con la sentenza in questa sede impugnata.
Il diniego del Tar si fonda sia sulla considerazione che era stato lo stesso ricorrente a determinare, omettendo di comunicare alla Regione l’avvenuto annullamento del conferimento della gestione provvisoria della farmacia, l’illegittimo conferimento definitivo della medesima (con conseguente successiva necessità della sua revoca), sia sul rilievo che, dato il particolare contesto nel quale è avvenuta la revoca, fosse da escludere la colpa dell’amministrazione.
Con il ricorso in appello il dott. *** contesta le tesi del Tar, deducendo i seguenti motivi: “Errore e travisamento nei presupposti di fatto e di diritto; violazione di giudicato giurisdizionale tra le parti; erronea od insufficiente motivazione circa un punto determinante della controversia”.
Assume in primo luogo l’appellante che,contrariamente a quanto ritenuto dal Tar, sarebbe stato pienamente legittimato a presentare la domanda per il conferimento della titolarità definitiva della sede ai sensi dell’art.14 della legge n.362 del 1991, avendo la Regione Lazio ed il Comune di Latina lasciato intendere,per non aver rinnovato gli atti dell’assegnazione provvisoria a seguito dell’annullamento giurisdizionale, che il problema fosse superato per l’intervenuta sanatoria.
Inoltre non si sarebbe tenuto conto dell’intervenuta inoppugnabilità del conferimento definitivo della farmacia, stabilita dalla decisione della quarta sezione del Consiglio di Stato n. 1517 del 4 ottobre 1999, sicchè correttamente la Regione Lazio ha confermato l’assegnazione definitiva,senza procedere alla comunicazione dell’avvio del procedimento.
Non sarebbe poi configurabile un atteggiamento di malafede dell’appellante per non aver comunicato l’annullamento giurisdizionale dell’assegnazione provvisoria della farmacia, giacchè il Comune di Latina era ben a conoscenza di tale circostanza , avendo partecipato ai relativi giudizi.
Fuorviante sarebbe infine l’accenno contenuto nella sentenza del Tar all’imparzialità amministrativa che avrebbe ispirato la revoca, essendovi altri aspiranti alla sede in questione. Infatti dalla decisione del Consiglio di Stato n 1517/99 emerge che i controinteressati non potevano più aspirare all’assegnazione definitiva della farmacia , ormai divenuta inoppugnabile.
L’appellante ha quindi ribadito la richiesta di risarcimento danni formulata in primo grado.
L’appello è infondato, dovendosi condividere l’assunto del Tar secondo cui non è ravvisabile nella fattispecie la colpa dell’amministrazione.
Deve, infatti, rammentarsi che, secondo il consolidato orientamento del giudice amministrativo, una volta intervenuto l’annullamento del provvedimento lesivo, ai fini dell’ammissibilità dell’azione di risarcimento del danno deve valutarsi la sussistenza dell’elemento psicologico della colpa: è stato, infatti, più volte precisato che la responsabilità patrimoniale della pubblica amministrazione conseguente all’adozione di provvedimenti illegittimi deve essere inserita nel sistema delineato dagli articoli 2043 e seguenti del codice civile in base al quale l’imputazione non può avvenire sulla base del mero dato oggettivo dell’illegittimità del provvedimento, dovendo verificarsi che la predetta adozione (e l’esecuzione dell’atto impugnato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità ,di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi ( Cass, sez.unite 22 luglio 1999 n. 500; C.d.S., sez.V,13 luglio2006 n.4440; sez. IV, 5 ottobre 2005 n. 5367; 30 settembre 2005 n. 5204; 12 gennaio 2005, n. 45).
È stato, poi, evidenziato, anche con riferimento alla giurisprudenza comunitaria (Corte giustizia C.E. 5 marzo 1996, cause riunite nn. 46 e 48 del 1993; 23 maggio 1996, causa C5 del 1994), che in sede di accertamento della responsabilità della Pubblica amministrazione per danno a privati il giudice (amministrativo) può affermare la responsabilità quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato e negandola quando l’indagine presupposta conduce al riconoscimento dell’errore scusabile (per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto) (C.d.S., sez. IV, 10 agosto 2004, n. 5500).
Orbene nel caso di specie il comportamento del Comune di Latina e della Regione Lazio, tenuto conto della particolare situazione che si era venuta a creare, non può ritenersi determinato da finalità contrastanti con i summenzionati principi di imparzialità,correttezza e buona amministrazione.
Occorre considerare che la presente controversia trae origine da un atto di assegnazione definitiva della farmacia ai sensi dell’art.14 della legge 8 novembre 1991 n.362, da ritenersi illegittimo , in quanto il provvedimento di assegnazione provvisoria era stato annullato in sede giurisdizionale e quindi era venuto meno il necessario presupposto per l’applicazione di tale norma.
Si deve in proposito concordare con l’impugnata sentenza allorquando rileva che , poichè il citato art.14 prevede che la gestione provvisoria debba sussistere "ai sensi dell’art.129 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934 n.1265"( articolo questo che consente l’adozione di provvedimenti di urgenza per assicurare l’assistenza farmaceutica.), vi è una stretta connessione fra gestione provvisoria e provvedimento per assicurare l’assistenza farmaceutica; cosicché, in mancanza (o, il che è lo stesso, in caso di annullamento) di provvedimento del genere, non può più parlarsi di gestione provvisoria utile ai sensi dello stesso art.14 (cfr., per quanto occorre, TAR Trento, sent.n.68 del 24 febbraio 1998).
D’altra parte qualche dubbio sarebbe potuto sorgere in proposito qualora la legge avesse fatto un generico riferimento, ai fini della sanatoria, alla gestione provvisoria di una farmacia, ma essendosi fatto espressamente rinvio ad un norma di legge che prevede uno specifico titolo per l’esercizio provvisorio della farmacia ,non si vede come possa prescindersi dal titolo stesso.
L’illegittimo conferimento della titolarità definitiva della farmacia era derivato dal fatto che la Regione Lazio, cui secondo il citato art.14 della legge n. 362 del 1991, competeva l’accertamento dei requisiti per la sanatoria , non era stata edotta dall’interessato della circostanza che il provvedimento di assegnazione provvisoria era stato annullato dal Tar Latina .
È pur vero che il Comune di Latina era a conoscenza della circostanza, ma è altrettanto vero che il medesimo secondo la legge era estraneo alla fase della verifica dei requisiti e la sua determinazione finale di conferimento definitivo della farmacia aveva carattere meramente esecutivo rispetto agli accertamenti effettuati dalla regione.
Ciò che conta , ai fini della valutazione del comportamento delle parti nella fattispecie, è in ogni caso che la responsabilità principale della illegittimità del provvedimento di conferimento della farmacia era dell’appellante , il quale aveva in sostanza fatto valere un titolo giuridico ormai privo di efficacia a causa dell’annullamento del medesimo in sede giurisdizionale.
Né può seguirsi l’appellante allorquando afferma che il problema doveva ritenersi superato perché non si era dato esecuzione alla sentenza del Tar mediante il rinnovo della procedimento di assegnazione provvisoria .
Una tale circostanza ,se poteva legittimare l’interessato a sollecitare l’amministrazione a rinnovare il procedimento, non poteva certo far ritenere che un atto annullato in sede giurisdizionale potesse ritenersi esistente ,senza che lo stesso fosse stato espressamente riadottato.
Le successive vicende processuali non mutano sostanzialmente il quadro di riferimento complessivo per valutare se l’amministrazione abbia violato le regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione, le quali non potevano che imporre che la farmacia in questione fosse assegnata a chi ne avesse pieno titolo.
Ed invero anche la decisione del Consiglio di Stato n.1517 del 1999 , che ha annullato il provvedimento di revoca del conferimento definitivo della farmacia adottato dalla regione allorquando era venuta a conoscenza dell’annullamento dell’assegnazione provvisoria, non riconosce la fondatezza della pretesa sostanziale dell’interessato, ma si limita ad affermare che nella fattispecie la revoca,sussistendo profili di discrezionalità per la sua adozione , avrebbe dovuto essere preceduta dalla comunicazione dell’avvio del procedimento.
Non risulta dunque accertato che l’amministrazione abbia, senza rispettare le regole fondamentali del suo agire, negato il conferimento della farmacia a chi spettava secondo le norme che disciplinano il conferimento stesso.
In particolare ,sotto questo aspetto, non ha nulla di che lamentarsi l’appellante, il quale, nonostante non avesse titolo per ottenere definitivamente la farmacia, ha ottenuto ugualmente tale risultato,grazie anche all’atteggiamento dell’amministrazione che ha deciso di non attivare il proprio potere di autotutela nel rispetto dei principi affermati nella citata sentenza del Consiglio di Stato.
Va pertanto dichiarata infondata la pretesa dell’appellante di ottenere il risarcimento dei danni , non sussistendo , per quanto sopra evidenziato , il prescritto requisito soggettivo della colpa. La pretesa si appalesa infondata altresì per quanto concerne l’indennità di avviamento, essendo anche tale importo richiesto a titolo di risarcimento danni ( e ciò esime il Collegio dall’esame dell’eccezione di inammissibilità della richiesta sollevata dal Comune di Latina e da altre questioni come quella dell’eventuale onere di tempestiva impugnazione di precedenti atti che non avevano adeguatamente provveduto al riguardo).
In conclusione l’appello deve essere respinto, mentre sussistono giusti motivi, in ragione della particolarità della situazione, per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio d’appello.
P.   Q.   M.
            Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando, respinge l’appello.
Compensa interamente fra le parti le spese del giudizio.
            Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
            Così deciso in Roma, addì 24 ottobre 2006 , dal Consiglio di Stato in s.g. (Sez. V)
 

Lazzini Sonia

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