La pretesa risarcitoria _€ 49.557,45 _è limitata al danno conseguente all’omessa realizzazione dei lavori eseguiti dalla ditta Controinteressata, illegittima aggiudicataria, trattandosi di danno ingiusto causalmente ricollegabile all’illegittima riapertur

Lazzini Sonia 04/11/10
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Quanto all’elemento soggettivo, nel caso di specie, è stato violato un principio fondamentale di garanzia di imparzialità e di trasparenza delle procedure di evidenza pubblica e la riscontrata illegittimità dell’agire amministrativo non é stata determinata da incertezze normative o da oscillanti orientamenti giurisprudenziali, trattandosi di applicazione di principi generali previsti da disposizioni comunitarie e nazionali. In ogni caso, costituisce principio pacifico quello secondo il quale, l’’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione comporta l’inefficacia successiva del contratto d’appalto eventualmente stipulato, da intendersi come inidoneità funzionale del programma negoziale a spiegare ulteriori effetti successivamente alla pronuncia di annullamento (cfr., tra le tante, Cons. Stato , sez. V, 29 novembre 2005, n. 6759;T.A.R. Sicilia Catania, sez. III, 08 luglio 2008 , n. 1267).

Pertanto, alla presenza di un giudicato di annullamento di un’aggiudicazione, l’Amministrazione, oltre a procedere alla nuova aggiudicazione e a rimuovere il contratto eventualmente stipulato con l’illegittima aggiudicataria, è in ogni caso tenuta, durante il tempo necessario per procedere alla nuova aggiudicazione, a evitare che continuino a prodursi effetti irreversibili in contrasto con la sentenza e tali da pregiudicare la completa e puntuale esecuzione della medesima

Nel caso in esame, invece, l’amministrazione pur conoscendo l’esito del giudizio cautelare e della sentenza di primo grado (depositata il 24/03/2004), non si è diligentemente attivata per consentire un tempestivo sub ingresso nei lavori della ditta Ricorrente, sicché, conclusivamente, non può dirsi che non sussista nel caso in esame l’elemento della “colpa”, dalla quale non è possibile prescindere ai fini del giudizio di responsabilità della Pubblica Amministrazione.

Con il ricorso in esame la società ricorrente chiede il risarcimento del danno per equivalente in relazione alla mancata aggiudicazione di lavori la cui illegittimità è stata accertata con sentenza n.746/2006 di questo Tribunale confermata in sede di appello con sentenza n. 126/2006 del CGA. La sequenza degli accadimenti fattuali e dei provvedimenti giurisdizionali succedutisi è così sinteticamente ricostruibile:

-con sentenza n. 746/2004 con la quale sono stati decisi più ricorsi connessi, questo Tribunale ha – per quanto rileva ai fini della controversia in esame – annullato i verbali con cui a distanza dall’apertura delle offerte la commissione di gara ha riaperto le operazioni di gara sulla base di un presunto errore aggiudicando provvisoriamente la gara alla ditta Controinteressata. In particolare il Tribunale ha rilevato che la riapertura della gara e la sua aggiudicazione sono avvenute senza alcuna garanzia d’imparzialità, certezza e correttezza dell’agire amministrativo e con verosimili rischi di manomissioni delle offerte, il tutto “quando sulla base del pronunciamento cautelare del CGA, il contenuto dei verbali di gara lasciava presagire un esito favorevole alla soc. Ing.Ricorrente del pendente giudizio avente ad oggetto l’impugnata aggiudicazione con conseguente necessità che la stessa venisse dichiarata aggiudicataria”;

– nella pendenza dei giudizi di primo grado e di appello i lavori venivano consegnati alla ditta Controinteressata e solo con verbale del 14/11/2005 l’amministrazione invitava formalmente la ricorrente alla stipulazione del contratto; quest’ultimo, tuttavia, non è mai stato sottoscritto perché non sono state inserite alcune clausole espressamente richieste dalla Ing. Ricorrente (il riconoscimento del mancato utile per le opere già realizzate a titolo di risarcimento del danno e il riconoscimento del prezzo chiuso nella misura del 20% per le opere ancora da realizzare).

Quindi, in conseguenza della mancata aggiudicazione dell’appalto e della mancata realizzazione dei lavori residui la società ricorrente ha chiesto il risarcimento del danno.

Qual è il parere dell’adito giudice amministrativo?

Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo: è pacifico, infatti, che il giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva cognitoria (quale quella in materia di procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria, ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale ex art. 7 della legge 205/2000) può pronunziarsi sul risarcimento del danno economico cagionato dall’aggiudicazione dichiarata illegittima, essendo la condanna all’equivalente monetario, nelle forme dell’art. 2056 c.c. per quanto attiene alle conseguenze patrimoniali dell’illecito aquiliano ex art. 2043 cod. civ., oggetto di giurisdizione piena del giudice adito, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 1034 del 1971, come sostituito dall’art. 35, del d.lg. n. 80 del 1998 e dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000. (Consiglio Stato Ad. plen., 21 novembre 2008, n. 12).

3. Nel merito il ricorso è fondato, secondo quanto di seguito precisato e limitatamente alla liquidazione del danno per equivalente conseguente all’illegittima esecuzione dei lavori da parte della ditta Controinteressata; risulta, invece, infondata ogni ulteriore pretesa ad un integrale risarcimento del danno poiché a far data dal 13/03/2006 la ditta pur invitata più volte a sottoscrivere il contratto e a subentrare nell’esecuzione dei lavori per un importo residuo di € 1.144.849,78 (non contestato cfr. nota del 28/07/2006), ritenendo l’esecuzione parziale dell’appalto orami non più vantaggiosa e non vedendo accolte le richieste di modifica contrattuale, rifiutava la sottoscrizione del contratto. Da parte ogni giudizio sulla fondatezza delle richieste di modifica contrattuale che esulano dell’ambito di cognizione della presente controversia (e senza tenere contro che in ogni caso la ricorrente avrebbe comunque potuto richiedere e ottenere il risarcimento per il mancato utile conseguente alla parte di lavori illegittimamente non eseguiti), è evidente che sotto il profilo della sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito nessuna colpa è ascrivibile all’Amministrazione, che si è adeguata allo schema contrattuale previsto dal CSA e conosciuto dalla ricorrente sin dal momento della partecipazione alla gara, mentre la ricorrente ha scelto di non eseguire la parte residua dei lavori ritenuta antieconomica.

Ritenuta, nei termini sopra descritti, la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi dell’illecito si tratta a questo punto di quantificare il danno. La ricorrente ha formulato la domanda di risarcimento dei danni prodotti dalla mancata esecuzione dei lavori articolando la pretesa: a) nel risarcimento del danno da lucro cessante coincidente con la perdita dell’utile derivante dalla totale esecuzione dell’appalto nella misura del 10 % della base d’asta ridotto in relazione al ribasso offerto dall’impresa in sede di gara (€ 2.136.046,78) quantificato, quindi, in €213.604,68; e con la perdita di migliori chances; e b) nel danno emergente coincidente con le spese sostenute per la partecipazione alla gara e le spese legali sostenute per l’annullamento dell’illegittima aggiudicazione.

6. Quanto al lucro cessante non può tenersi conto dell’utile che sarebbe derivato alla ricorrente dalla esecuzione totale dell’appalto, tenuto conto che secondo quanto già affermato in motivazione sub 3) il risarcimento è limitato alla parte dei lavori illegittimamente realizzati dalla ditta Controinteressata e che la Ing. Ricorrente ha sostanzialmente rinunziato ad eseguire la parte residua dei lavori per un importo di € 1.144.897,78 (come determinato a seguito della definizione del quadro economico non contestato dalla società ricorrente, cfr. nota prot. n. 17282 del 12/04/2006 della Provincia Regionale di Messina e nota del 28/07/2008 dello studio legale *********); pertanto il parametro da utilizzare per la individuazione del mancato guadagno sarà pari alla differenza tra l’offerta presentata dalla Ing. Ricorrente (€ 2.136.046,78) e l’importo dei lavori residui non eseguiti (€ 1.144.897,78) per una somma di € 991.149.

Quanto alla percentuale forfettaria del mancato guadagno il Collegio osserva che – alla stregua del prevalente e tralaticio orientamento giurisprudenziale – la liquidazione dovrebbe effettuarsi facendo riferimento alle disposizioni contenute nell’art. 345, l. 20 marzo 1865 n. 2248 allegato F, che quantifica nel 10% del valore dell’appalto, in via forfettaria e automatica, il margine di guadagno presunto dell’appaltatore nell’esecuzione di appalti di lavori pubblici, tenuto altresì conto che il medesimo criterio è stato di recente ripreso dall’art. 37 septies, comma 1 lett. c), l. 11 febbraio 1994 n. 109, aggiunto dall’art. 11, l. 18 novembre 1998 n. 415 (Consiglio Stato, sez. IV, 22 marzo 2007, n. 1377; T.A.R. Piemonte, sez. II, 22 maggio 2006 , n. 2164). Con l’ulteriore precisazione che il danno derivante ad un’impresa dal mancato affidamento di un appalto è quantificabile nella misura del 10 %, solo se e in quanto l’impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi, mentre, quando tale dimostrazione non sia stata offerta (come nel caso di specie) è da ritenere che l’impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e mano d’opera per lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione in via equitativa del danno risarcibile (Cons. Stato, V, 24 ottobre 2002 n. 5860; VI, 9 novembre 2006 n. 6607).

Tuttavia, come recentemente affermato in recenti sentenze (cfr Cons.Stato, sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3144;sez. V, 13 giugno 2008 n. 2967; TAR Sicilia –Catania, I, 9 ottobre 2009, n.1681), il criterio del 10%, pur evocato come criterio residuale in una logica equitativa, conduce di regola al risultato che il risarcimento dei danni è per l’imprenditore ben più favorevole dell’impiego del capitale. In tal modo, il ricorrente non ha più interesse a provare in modo puntuale il danno subito quanto al lucro cessante, perché presumibilmente otterrebbe di meno. Nel senso che la percentuale del 10% non rappresenti un criterio automatico di quantificazione del danno sembra deporre, del resto, anche l’art. 20, comma 4, d.l. n. 185/2008, convertito dalla l. n 2/2009. Tale norma, con riferimento agli appalti relativi ad investimenti pubblici strategici da individuarsi con successivo D.P.C.M., stabilisce che il risarcimento del danno, possibile solo per equivalente, non possa comunque eccedere la misura del decimo dell’importo delle opere, che sarebbero state seguite se il ricorrente fosse risultato aggiudicatario in base all’offerta economica presentata in gara. Pur essendo dettata con riferimento ad una particolare tipologia di appalti, tale norma conferma che il 10% non possa essere riconosciuto automaticamente, e che sia possibile quantificare il danno in misura minore. Se ciò vale, per espressa previsione legislativa, nei casi in cui (come accade per gli appalti cui si riferisce la l. n. 2/2009) il risarcimento per equivalente rappresenta l’unico strumento di tutela (essendo espressamente escluso il subentro), si deve ritenere che, a maggior ragione, ciò valga anche quando (come accade negli altri casi) la tutela per equivalente è alternativa (almeno in origine) con la tutela in forma specifica e a maggior ragione nel caso in esame dove la società ricorrente avrebbe potuto realizzare lavori per un importo pari a circa la metà dell’offerta presentata in sede di gara.

Appare allora preferibile l’indirizzo che esige la prova rigorosa, a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto (cfr. Cons. Stato, sez. V, 17 ottobre 2008, n. 5098; Cons. Stato, sez. V, 5 aprile 2005, n. 1563; sez. VI, 4 aprile 2003, n. 478). Poiché nel caso in esame, tale dimostrazione non vi è stata discende che in applicazione di detto principio, il danno risarcibile deve essere ridotto al 5 % di € 991.197,00 e corrisponde a € 49.557.45. Il Collegio ritiene equo considerare tale somma comprensiva anche dei costi sostenuti per la partecipazione alla gara mentre esulano dal risarcimento del danno le spese di giustizia che trovano la loro naturale sede di liquidazione all’interno del procedimento giurisdizionale.

7. Quanto, invece, alle voci di danno da perdita di ciance e di mancate referenze, manca al riguardo alcun principio di prova in ordine a tali richieste. Peraltro, nel caso in esame, la società ricorrente disponeva certamente di una classe elevata della SOA, per un importo pari a € 10.329.137,98, sicché l’importo dei lavori non aggiudicati (nella parte parzialmente eseguita dall’illegittima aggiudicataria) in tanto potrebbe averla danneggiata, nel senso della non riconferma della classe di appartenenza, in quanto si dovesse rivelare determinante, cosa che nella fattispecie in esame appare del tutto ipotetica, e che non è stata minimamente provata dalla ricorrente.

8. Alla luce delle considerazioni che precedono risulta equo liquidare a titolo di lucro cessante l’importo di € 49.557.45 corrispondente al 5% della minor somma tra l’offerta presentata dalla Ing. Ricorrente (€ 2.136.046,78) e l’importo dei lavori residui non eseguiti (€ 1.144.897,78). Sulla somma corrisposta a titolo di risarcimento del danno ingiusto causato dalla stazione appaltante in conseguenza dell’irregolare svolgimento della gara dovrà, infine, essere computata la rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat, dalla data della stipula del contratto da parte dell’impresa che è risultata illegittimamente aggiudicataria fino a quella di deposito della decisione del giudice del risarcimento, data quest’ultima che costituisce il momento in cui, per effetto della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta; sulle somme rivalutate non si devono invece aggiungere gli interessi nella misura legale, atteso che altrimenti si produrrebbe l’effetto di far conseguire al creditore più di quanto lo stesso avrebbe ottenuto nel caso di assegnazione dell’appalto (Consiglio Stato, sez. V, 30 luglio 2008, n. 3806). Spettano, invece, gli interessi nella misura legale dalla data della pubblicazione della presente decisione, fino all’effettivo soddisfo. In conclusione, nei limiti sopra precisati, la domanda di risarcimento del danno va accolta con conseguente condanna della Provincia Regionale di Messina alla liquidazione in favore della società ricorrente della somma di € 49.557,45 oltre alla rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat, e gli interessi legali per come precisato in motivazione.

 

A cura di *************

 

Riportiamo qui di seguito la sentenza numero 3827 del 27 settembre 2010 pronunciata dal Tar Sicilia, Catania

 

N. 03827/2010 REG.SEN.

N. 01201/2008 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Prima)


ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 1201 del 2008, proposto da:
Ingg. Ricorrente Srl Costruzioni Generali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. *****************, con domicilio eletto presso la Segreteria del TAR Catania;

contro

Provincia Regionale di Messina, in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentato e difeso dall’avv. ***********, con domicilio eletto presso la Segreteria del TAR Catania;

per l’accertamento

del diritto della ricorrente a ottenere il risarcimento del danno quale conseguenza della mancata aggiudicazione dell’appalto avente a oggetto i “Lavori di completamento dell’IPSIA di Barcellona P.G. – Importo complessivo £. 5.760.000.000 (importo a base d’asta £. 4.513.223.924 pari a euro 2.330.885,64) ” e della mancata stipula del relativo contratto, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal dovuto al soddisfo;

 

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Provincia Regionale di Messina;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2009 il dott. ****************** e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con il ricorso in esame, parte ricorrente espone che con bando di gara del 23/10/2001, la Provincia Regionale di Messina ha indetto un pubblico incanto da esperirsi col criterio del prezzo più basso determinato mediante offerta a prezzi unitari, ai sensi dell’art. 14 c. 1 della l.r. n. 4/96, con l’applicazione del sistema di esclusione previsto dall’art. 1 c. 6 della l.r. n. 21/98 e s.m.i. per l’aggiudicazione dei lavori necessari per il completamento dell‘IPSIA di Barcellona P. G. — Importo complessivo £. 5.760.000.000 (importo a base d’asta £ 4.513.223.924 pari a euro 2.330.885,64); l’appalto veniva aggiudicato, in data 3.12.2001, all’******************* — ****** s.r.l.

La predetta aggiudicazione veniva impugnata da diversi controinteressati, tra cui la Ingg. RICORRENTE s.r.l. COSTRUZIONI GENERALI (r.g. 369/2002 con motivi aggiunti e r.g. n. 4017/2002); in relazione ai motivi aggiunti al ricorso n. RG 369/2002 depositati il 17/12/2002 e 27/10/2003, questo TAR accoglieva la domanda di sospensione cautelare dei provvedimenti impugnati. Con sentenza n. 746 del 24/03/2004 (confermata in sede di appello con sentenza C.G.A. 126/2006, anche se sulla base di motivi non riguardanti i capi favorevoli alla Ricorrente, comunque non appellati) in accoglimento dei predetti motivi aggiunti, il Tribunale annullava l’aggiudicazione provvisoria della gara alla ditta Controinteressata Giuseppe, nonché la determinazione dirigenziale n. 39 del 9.9.2003 nella parte in cui erano stati aggiudicati i lavori alla medesima impresa.

Con nota del 23.04.2004, pervenuta il 26.4.2004, la Ingg. RICORRENTE s.r.l., notificava alla Provincia Regionale di Messina la predetta sentenza, invitando l’Amministrazione a darvi immediata esecuzione, provvedendo all’aggiudicazione della gara.

La Provincia Regionale di Messina riscontrava la richiesta con note prot. n. 21803 dell’11.6.2004 e prot. n. 23319 del 23.6.2004 con le quali comunicava che in data 26.5.2004 aveva disposto la sospensione dei lavori. Con nota del 5.8.2004, la società ricorrente denunciando la circostanza che l’amministrazione – sebbene avesse ricevuto la notifica delle ordinanze cautelari di sospensione dell’aggiudicazione – aveva illegittimamente consentito all’impresa ************************** di continuare a eseguire i lavori oggetto di gara sino al 25.5.2004, chiedeva “di conoscere, con estrema urgenza, se la Direzione Lavori ha già provveduto a ordinare alla ditta Giuseppe Controinteressata la sospensione dei lavori in questione, se e quando tale sospensione è stata eseguita, nonché di conoscere l’importo totale e i tempi dei lavori eseguiti dall’impresa Controinteressata siccome certificati dai relativi S.A.L. e dalla documentazione relativa alla contabilità dell’appalto”.

Con nota del 21.6.2005, l’Amministrazione invitava la società ricorrente a prendere in consegna i lavori alla data del 27.6.2005, ma la Ingg. Ricorrente, rappresentava l’impossibilità di procedere alla consegna dei lavori “non essendo stati ancora formalizzati con la Provincia Regionale di Messina i termini del subentro nell’esecuzione dei lavori” (v. nota del 24.6.2005), censurando anche presunte anomalie della consegna dei lavori e chiedendo la preventiva formalizzazione, mediante stipula del contratto o mediante l’inserimento di apposite clausole nel verbale di consegna dei lavori, di alcune condizioni ritenute indispensabili per assicurare utilità economica all’esecuzione dei lavori residui.

Non avendo ricevuto alcun riscontro da parte della Provincia di Messina, la Ingg. Ricorrente data 17.10.2005, sollecitava la definizione delle condizioni contrattuali ritenute essenziali (nota del 17/10/2005), ma l’amministrazione si limitava a convocare la ricorrente, per la consegna dei lavori e pertanto la ricorrente, pur presenziando alla convocazione del 25.10.2005, non sottoscriveva alcun verbale, avendo peraltro verificato che l’impresa Controinteressata non aveva ancora sgomberato il proprio cantiere.

Con atto di diffida e messa in mora notificato il 6.12.2005, la ricorrente, diffidava l’Amministrazione regionale a conformarsi al giudicato formatosi sulla sentenza n. 746/2004 citata, provvedendo alle attività necessarie per consentire il sub-ingresso della ingg. RICORRENTE s.r.l. nell’esecuzione dell’appalto “in particolare procedendo alla stipula del relativo contratto di appalto e alla conseguente consegna dei lavori, alle condizioni ritenute indispensabili per la proficua ed utile prosecuzione dei lavori rimanenti siccome indicate nella nota della scrivente del 24.6.2005 e riconosciute dall’Ingegnere capo dei Lavori con nota dell’1.8.2005”.

Con nota n. 12768 del 13.3.2006, la Provincia regionale chiedeva all’impresa Ricorrente la produzione della documentazione richiesta per procedere alla stipula del contratto avvertendo che qualora non avesse provveduto agli adempimenti richiesti nell’intimato termine, sarebbe stata disposta in suo danno la decadenza dall’aggiudicazione con contestuale comunicazione dell’inadempimento al Ministero dei Lavori Pubblici (nota n. 12768 del 13.3.2006).

Con nota del 22.3.2006 la ricorrente, insisteva nelle proprie richieste chiedendo la rimodulazione del contratto in considerazione dell’illegittima esecuzione di parte dei lavori ad opera di altra ditta.

Con nota prot. n. 17282 del 12.4.2006 la Provincia provvedeva a trasmettere copia dello schema di contratto, ma, ancora una volta, la Ingg. RICORRENTE s.r.l. rilevava la necessità che lo schema di contratto e l’allegato CSA venissero modificati con alcune clausole che, riferendo delle precorse vicende giudiziarie correlate all’annullamento dell’aggiudicazione in favore della precedente aggiudicataria, riconoscevano tra l’altro all’impresa il risarcimento dei danni subiti per effetto della esecuzione di parte dei lavori oggetto di appalto ad opera della ditta Controinteressata, da liquidarsi, sulla scorta del costante orientamento giurisprudenziale, nella misura del 10% sull’importo dei lavori, depurato del ribasso offerto dalla medesima, nonché il riconoscimento dell’applicazione del prezzo chiuso, Con successiva nota prot. n. 33929 del 29.9.2006, la Provincia Regionale invitava la ricorrente a completare, non oltre dieci giorni dalla data di ricezione della richiesta medesima, la produzione dei documenti richiesti nella precedente nota “avvertendo che decorso infruttuosamente detto termine l’Ente procederà ai sensi della normativa vigente”.

Con nota del 16.10.2006 la Ingg. Ricorrente invitava ancora una volta l’Amministrazione a trasmettere copia dello schema di contratto, secondo le richieste dalla stessa formulate; con nota n. 1756 del 19.1.2007 la Provincia Regionale provvedeva ad inviare copia “definitiva” dello schema di contratto, rappresentando all’impresa che la stipula sarebbe dovuta avvenire entro i successivi quindici giorni, trascorsi i quali “questo Ente procederà all’immediata applicazione delle sanzioni di legge, comprese quelle di natura risarcitoria”.

Non ritenendosi soddisfatta dall’operato dell’amministrazione che non ha inserito le clausole richieste e risultando, quindi, antieconomica l’esecuzione della residua parte dei lavori, la Ingg. Ricorrente s.r.l. ha quindi chiesto il risarcimento del danno conseguente agli illegittimi provvedimenti della Provincia Regionale di Messina, che hanno determinato la mancata aggiudicazione della gara sopra specificata.

Secondo la ricostruzione fornita dalla parte ricorrente, l’Amministrazione, non solo ha impedito che la ricorrente quale legittima aggiudicataria potesse ab initio eseguire i medesimi, ma ha frapposto ogni tipo di ostacolo perché, anche a seguito della intervenuta pronuncia giudiziale di sospensione, prima, e di annullamento, poi, della aggiudicazione in favore dell’altra ditta, l’odierna ricorrente potesse almeno subentrare per l’esecuzione dei lavori residui, non consentendo dunque alla stessa nemmeno di agire al fine di ottenere la reintegrazione in forma specifica. Premesso tutto ciò, ha chiesto la liquidazione, anche in via equitativa, di tutti i danni subiti e, in particolare: quanto al danno emergente ha chiesto il risarcimento di tutti i costi inutilmente sostenuti dalla ricorrente per partecipare alla gara, nonché quelli successivi, comprensivi delle spese giudiziali sostenute per ottenere l’annullamento dell’illegittima aggiudicazione, nonché quelli affrontati al fine di obbligare l’Amministrazione a conformarsi alla decisione giudiziale e le spese inutilmente sostenute dall’impresa per l’immobilizzazione di risorse umane, mezzi tecnici e capitali; quanto al danno da lucro cessante ha chiesto la liquidazione dell’utile economico che sarebbe derivato al ricorrente dall’esecuzione totale dell’appalto in misura pari al 10% della base d’asta ridotto in relazione al ribasso offerto dall’impresa Ricorrente in sede di gara pari a £. 4.484.491.907 (10% di £. 4.484.491.907 (€. 2.136.046,78)= € 213.604,68; infine ha anche chiesto il risarcimento del danno da perdita di chance.

L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio per resistere al ricorso; dopo aver esposto la proprio ricostruzione dei fatti (sostenendo, in particolare che nonostante i ripetuti inviti, la società ricorrente si rifiutava di sottoscrivere il contratto chiedendo l’inserimento di diverse clausole contrattuali) ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e ha chiesto il rigetto del ricorso finalizzato ad “invertire le responsabilità esistenti per il mancato completamento dei lavori”. Con successive memorie le parti hanno insistito nelle rispettive difese ed il ricorso è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 3 dicembre 2010, come da verbale.

DIRITTO

1. Con il ricorso in esame la società ricorrente chiede il risarcimento del danno per equivalente in relazione alla mancata aggiudicazione di lavori la cui illegittimità è stata accertata con sentenza n.746/2006 di questo Tribunale confermata in sede di appello con sentenza n. 126/2006 del CGA. La sequenza degli accadimenti fattuali e dei provvedimenti giurisdizionali succedutisi è così sinteticamente ricostruibile:

-con sentenza n. 746/2004 con la quale sono stati decisi più ricorsi connessi, questo Tribunale ha – per quanto rileva ai fini della controversia in esame – annullato i verbali con cui a distanza dall’apertura delle offerte la commissione di gara ha riaperto le operazioni di gara sulla base di un presunto errore aggiudicando provvisoriamente la gara alla ditta Controinteressata. In particolare il Tribunale ha rilevato che la riapertura della gara e la sua aggiudicazione sono avvenute senza alcuna garanzia d’imparzialità, certezza e correttezza dell’agire amministrativo e con verosimili rischi di manomissioni delle offerte, il tutto “quando sulla base del pronunciamento cautelare del CGA, il contenuto dei verbali di gara lasciava presagire un esito favorevole alla soc. Ing.Ricorrente del pendente giudizio avente ad oggetto l’impugnata aggiudicazione con conseguente necessità che la stessa venisse dichiarata aggiudicataria”;

– nella pendenza dei giudizi di primo grado e di appello i lavori venivano consegnati alla ditta Controinteressata e solo con verbale del 14/11/2005 l’amministrazione invitava formalmente la ricorrente alla stipulazione del contratto; quest’ultimo, tuttavia, non è mai stato sottoscritto perché non sono state inserite alcune clausole espressamente richieste dalla Ing. Ricorrente (il riconoscimento del mancato utile per le opere già realizzate a titolo di risarcimento del danno e il riconoscimento del prezzo chiuso nella misura del 20% per le opere ancora da realizzare).

Quindi, in conseguenza della mancata aggiudicazione dell’appalto e della mancata realizzazione dei lavori residui la società ricorrente ha chiesto il risarcimento del danno.

2. Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo: è pacifico, infatti, che il giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva cognitoria (quale quella in materia di procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria, ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale ex art. 7 della legge 205/2000) può pronunziarsi sul risarcimento del danno economico cagionato dall’aggiudicazione dichiarata illegittima, essendo la condanna all’equivalente monetario, nelle forme dell’art. 2056 c.c. per quanto attiene alle conseguenze patrimoniali dell’illecito aquiliano ex art. 2043 cod. civ., oggetto di giurisdizione piena del giudice adito, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 1034 del 1971, come sostituito dall’art. 35, del d.lg. n. 80 del 1998 e dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000. (Consiglio Stato Ad. plen., 21 novembre 2008, n. 12).

3. Nel merito il ricorso è fondato, secondo quanto di seguito precisato e limitatamente alla liquidazione del danno per equivalente conseguente all’illegittima esecuzione dei lavori da parte della ditta Controinteressata; risulta, invece, infondata ogni ulteriore pretesa ad un integrale risarcimento del danno poiché a far data dal 13/03/2006 la ditta pur invitata più volte a sottoscrivere il contratto e a subentrare nell’esecuzione dei lavori per un importo residuo di € 1.144.849,78 (non contestato cfr. nota del 28/07/2006), ritenendo l’esecuzione parziale dell’appalto orami non più vantaggiosa e non vedendo accolte le richieste di modifica contrattuale, rifiutava la sottoscrizione del contratto. Da parte ogni giudizio sulla fondatezza delle richieste di modifica contrattuale che esulano dell’ambito di cognizione della presente controversia (e senza tenere contro che in ogni caso la ricorrente avrebbe comunque potuto richiedere e ottenere il risarcimento per il mancato utile conseguente alla parte di lavori illegittimamente non eseguiti), è evidente che sotto il profilo della sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito nessuna colpa è ascrivibile all’Amministrazione, che si è adeguata allo schema contrattuale previsto dal CSA e conosciuto dalla ricorrente sin dal momento della partecipazione alla gara, mentre la ricorrente ha scelto di non eseguire la parte residua dei lavori ritenuta antieconomica.

4. Pertanto la pretesa risarcitoria è limitata al danno conseguente all’omessa realizzazione dei lavori eseguiti dalla ditta Controinteressata, illegittima aggiudicataria, trattandosi di danno ingiusto causalmente ricollegabile all’illegittima riapertura delle operazioni di gara e aggiudicazione alla ditta Controinteressata. Quanto all’elemento soggettivo, nel caso di specie, è stato violato un principio fondamentale di garanzia di imparzialità e di trasparenza delle procedure di evidenza pubblica e la riscontrata illegittimità dell’agire amministrativo non é stata determinata da incertezze normative o da oscillanti orientamenti giurisprudenziali, trattandosi di applicazione di principi generali previsti da disposizioni comunitarie e nazionali. In ogni caso, costituisce principio pacifico quello secondo il quale, l’’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione comporta l’inefficacia successiva del contratto d’appalto eventualmente stipulato, da intendersi come inidoneità funzionale del programma negoziale a spiegare ulteriori effetti successivamente alla pronuncia di annullamento (cfr., tra le tante, Cons. Stato , sez. V, 29 novembre 2005, n. 6759;T.A.R. Sicilia Catania, sez. III, 08 luglio 2008 , n. 1267). Pertanto, alla presenza di un giudicato di annullamento di un’aggiudicazione, l’Amministrazione, oltre a procedere alla nuova aggiudicazione e a rimuovere il contratto eventualmente stipulato con l’illegittima aggiudicataria, è in ogni caso tenuta, durante il tempo necessario per procedere alla nuova aggiudicazione, a evitare che continuino a prodursi effetti irreversibili in contrasto con la sentenza e tali da pregiudicare la completa e puntuale esecuzione della medesima. Nel caso in esame, invece, l’amministrazione pur conoscendo l’esito del giudizio cautelare e della sentenza di primo grado (depositata il 24/03/2004), non si è diligentemente attivata per consentire un tempestivo sub ingresso nei lavori della ditta Ricorrente, sicché, conclusivamente, non può dirsi che non sussista nel caso in esame l’elemento della “colpa”, dalla quale non è possibile prescindere ai fini del giudizio di responsabilità della Pubblica Amministrazione.

5. Ritenuta, nei termini sopra descritti, la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi dell’illecito si tratta a questo punto di quantificare il danno. La ricorrente ha formulato la domanda di risarcimento dei danni prodotti dalla mancata esecuzione dei lavori articolando la pretesa: a) nel risarcimento del danno da lucro cessante coincidente con la perdita dell’utile derivante dalla totale esecuzione dell’appalto nella misura del 10 % della base d’asta ridotto in relazione al ribasso offerto dall’impresa in sede di gara (€ 2.136.046,78) quantificato, quindi, in €213.604,68; e con la perdita di migliori chances; e b) nel danno emergente coincidente con le spese sostenute per la partecipazione alla gara e le spese legali sostenute per l’annullamento dell’illegittima aggiudicazione.

6. Quanto al lucro cessante non può tenersi conto dell’utile che sarebbe derivato alla ricorrente dalla esecuzione totale dell’appalto, tenuto conto che secondo quanto già affermato in motivazione sub 3) il risarcimento è limitato alla parte dei lavori illegittimamente realizzati dalla ditta Controinteressata e che la Ing. Ricorrente ha sostanzialmente rinunziato ad eseguire la parte residua dei lavori per un importo di € 1.144.897,78 (come determinato a seguito della definizione del quadro economico non contestato dalla società ricorrente, cfr. nota prot. n. 17282 del 12/04/2006 della Provincia Regionale di Messina e nota del 28/07/2008 dello studio legale *********); pertanto il parametro da utilizzare per la individuazione del mancato guadagno sarà pari alla differenza tra l’offerta presentata dalla Ing. Ricorrente (€ 2.136.046,78) e l’importo dei lavori residui non eseguiti (€ 1.144.897,78) per una somma di € 991.149.

Quanto alla percentuale forfettaria del mancato guadagno il Collegio osserva che – alla stregua del prevalente e tralaticio orientamento giurisprudenziale – la liquidazione dovrebbe effettuarsi facendo riferimento alle disposizioni contenute nell’art. 345, l. 20 marzo 1865 n. 2248 allegato F, che quantifica nel 10% del valore dell’appalto, in via forfettaria e automatica, il margine di guadagno presunto dell’appaltatore nell’esecuzione di appalti di lavori pubblici, tenuto altresì conto che il medesimo criterio è stato di recente ripreso dall’art. 37 septies, comma 1 lett. c), l. 11 febbraio 1994 n. 109, aggiunto dall’art. 11, l. 18 novembre 1998 n. 415 (Consiglio Stato, sez. IV, 22 marzo 2007, n. 1377; T.A.R. Piemonte, sez. II, 22 maggio 2006 , n. 2164). Con l’ulteriore precisazione che il danno derivante ad un’impresa dal mancato affidamento di un appalto è quantificabile nella misura del 10 %, solo se e in quanto l’impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi, mentre, quando tale dimostrazione non sia stata offerta (come nel caso di specie) è da ritenere che l’impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e mano d’opera per lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione in via equitativa del danno risarcibile (Cons. Stato, V, 24 ottobre 2002 n. 5860; VI, 9 novembre 2006 n. 6607).

Tuttavia, come recentemente affermato in recenti sentenze (cfr Cons.Stato, sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3144;sez. V, 13 giugno 2008 n. 2967; TAR Sicilia –Catania, I, 9 ottobre 2009, n.1681), il criterio del 10%, pur evocato come criterio residuale in una logica equitativa, conduce di regola al risultato che il risarcimento dei danni è per l’imprenditore ben più favorevole dell’impiego del capitale. In tal modo, il ricorrente non ha più interesse a provare in modo puntuale il danno subito quanto al lucro cessante, perché presumibilmente otterrebbe di meno. Nel senso che la percentuale del 10% non rappresenti un criterio automatico di quantificazione del danno sembra deporre, del resto, anche l’art. 20, comma 4, d.l. n. 185/2008, convertito dalla l. n 2/2009. Tale norma, con riferimento agli appalti relativi ad investimenti pubblici strategici da individuarsi con successivo D.P.C.M., stabilisce che il risarcimento del danno, possibile solo per equivalente, non possa comunque eccedere la misura del decimo dell’importo delle opere, che sarebbero state seguite se il ricorrente fosse risultato aggiudicatario in base all’offerta economica presentata in gara. Pur essendo dettata con riferimento ad una particolare tipologia di appalti, tale norma conferma che il 10% non possa essere riconosciuto automaticamente, e che sia possibile quantificare il danno in misura minore. Se ciò vale, per espressa previsione legislativa, nei casi in cui (come accade per gli appalti cui si riferisce la l. n. 2/2009) il risarcimento per equivalente rappresenta l’unico strumento di tutela (essendo espressamente escluso il subentro), si deve ritenere che, a maggior ragione, ciò valga anche quando (come accade negli altri casi) la tutela per equivalente è alternativa (almeno in origine) con la tutela in forma specifica e a maggior ragione nel caso in esame dove la società ricorrente avrebbe potuto realizzare lavori per un importo pari a circa la metà dell’offerta presentata in sede di gara.

Appare allora preferibile l’indirizzo che esige la prova rigorosa, a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto (cfr. Cons. Stato, sez. V, 17 ottobre 2008, n. 5098; Cons. Stato, sez. V, 5 aprile 2005, n. 1563; sez. VI, 4 aprile 2003, n. 478). Poiché nel caso in esame, tale dimostrazione non vi è stata discende che in applicazione di detto principio, il danno risarcibile deve essere ridotto al 5 % di € 991.197,00 e corrisponde a € 49.557.45. Il Collegio ritiene equo considerare tale somma comprensiva anche dei costi sostenuti per la partecipazione alla gara mentre esulano dal risarcimento del danno le spese di giustizia che trovano la loro naturale sede di liquidazione all’interno del procedimento giurisdizionale.

7. Quanto, invece, alle voci di danno da perdita di ciance e di mancate referenze, manca al riguardo alcun principio di prova in ordine a tali richieste. Peraltro, nel caso in esame, la società ricorrente disponeva certamente di una classe elevata della SOA, per un importo pari a € 10.329.137,98, sicché l’importo dei lavori non aggiudicati (nella parte parzialmente eseguita dall’illegittima aggiudicataria) in tanto potrebbe averla danneggiata, nel senso della non riconferma della classe di appartenenza, in quanto si dovesse rivelare determinante, cosa che nella fattispecie in esame appare del tutto ipotetica, e che non è stata minimamente provata dalla ricorrente.

8. Alla luce delle considerazioni che precedono risulta equo liquidare a titolo di lucro cessante l’importo di € 49.557.45 corrispondente al 5% della minor somma tra l’offerta presentata dalla Ing. Ricorrente (€ 2.136.046,78) e l’importo dei lavori residui non eseguiti (€ 1.144.897,78). Sulla somma corrisposta a titolo di risarcimento del danno ingiusto causato dalla stazione appaltante in conseguenza dell’irregolare svolgimento della gara dovrà, infine, essere computata la rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat, dalla data della stipula del contratto da parte dell’impresa che è risultata illegittimamente aggiudicataria fino a quella di deposito della decisione del giudice del risarcimento, data quest’ultima che costituisce il momento in cui, per effetto della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta; sulle somme rivalutate non si devono invece aggiungere gli interessi nella misura legale, atteso che altrimenti si produrrebbe l’effetto di far conseguire al creditore più di quanto lo stesso avrebbe ottenuto nel caso di assegnazione dell’appalto (Consiglio Stato, sez. V, 30 luglio 2008, n. 3806). Spettano, invece, gli interessi nella misura legale dalla data della pubblicazione della presente decisione, fino all’effettivo soddisfo. In conclusione, nei limiti sopra precisati, la domanda di risarcimento del danno va accolta con conseguente condanna della Provincia Regionale di Messina alla liquidazione in favore della società ricorrente della somma di € 49.557,45 oltre alla rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat, e gli interessi legali per come precisato in motivazione.

9. Possono compensarsi le spese processuali in ragione della parziale reciproca soccombenza e della particolarità degli aspetti fattuali sottesi alla controversia.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia – seziona staccata di Catania – sezione Prima, accoglie la domanda risarcitoria nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, condanna la Provincia Regionale di Messina al pagamento, a titolo di risarcimento del danno in favore della ricorrente, della somma pari ad € 49.557,45 (euro quarantanovemilacinquecentocinquantasette/45) con gli accessori di legge, così come determinati in parte motiva;

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nelle camere di consiglio del giorno 3 dicembre 2009 e del 11 marzo 2010 con l’intervento dei Magistrati:

*****************, Presidente

*******************, Consigliere

Agnese ***********, Primo Referendario, Estensore

 

 

 

L’ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 27/09/2010

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

IL SEGRETARIO

Lazzini Sonia

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