La perdita del rapporto parentale rappresenta una figura giuridica di rilevanza soprattutto nell’ambito del danno non patrimoniale. Si tratta del pregiudizio subito da un soggetto a seguito della morte di un congiunto (genitore, figlio, fratello, coniuge, convivente stabile) causata dal fatto illecito di un terzo.
Indice
1. Definizione e inquadramento generale
Non si configura un danno patrimoniale, salvo nei casi in cui la persona deceduta contribuiva concretamente al mantenimento del congiunto superstite. Al contrario, si tratta di un danno morale ed esistenziale che incide sul diritto alla famiglia, affetti e relazioni, tutelato dagli articoli 2, 29 e 30 della Costituzione, nonché dagli articoli 8 della CEDU e 24 della Carta di Nizza.
2. Natura del danno da perdita del rapporto parentale
La Corte di Cassazione ha qualificato la perdita del rapporto parentale come danno autonomo, non riconducibile unicamente al dolore psichico, bensì anche alla privazione duratura di una relazione affettiva rilevante.
Si tratta quindi di un danno non patrimoniale che può avere varie componenti:
- Danno morale soggettivo: il dolore, la sofferenza e il trauma psichico subito.
- Danno esistenziale: l’alterazione peggiorativa delle abitudini di vita e delle relazioni.
- Danno da perdita del progetto di vita: in caso di morte di figli, coniugi o conviventi, la perdita di un futuro condiviso.
3. Soggetti legittimati al risarcimento
Tradizionalmente, i soggetti legittimati a richiedere il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale sono i prossimi congiunti:
- coniuge;
- figli;
- genitori;
- fratelli e sorelle;
- convivente stabile, anche non coniugato, purché dimostrabile.
La giurisprudenza recente, soprattutto della Cassazione, ha adottato un criterio sostanziale che prescinde dal vincolo formale di parentela e valorizza il rapporto affettivo concreto e stabile. È dunque possibile il riconoscimento del danno anche ad altri soggetti, come zii, nonni, nipoti o partner di fatto, se è provata la relazione intensa e duratura con il defunto.
4. Criteri di liquidazione
Il danno da perdita del rapporto parentale è di norma liquidato dal giudice in via equitativa, con l’ausilio delle tabelle orientative (principalmente quelle del Tribunale di Milano), che offrono parametri risarcitori in base a:
- grado di parentela;
- età della vittima e del danneggiato;
- convivenza o meno;
- intensità del legame affettivo;
- eventuale presenza di ulteriori figli o parenti stretti.
Le tabelle prevedono forchette risarcitorie (es. per la perdita del figlio: da 165.000 a 330.000 euro) che il giudice può adattare in base alle peculiarità del caso.
5. Prova del danno
Il danno parentale non si presume, ma deve essere provato dalla parte che lo allega. Tuttavia, nei rapporti familiari più stretti (come genitore-figlio), la giurisprudenza riconosce una presunzione relativa di esistenza del danno, superabile solo con prova contraria.
Nei casi di parentela meno stretta o di legami di fatto (conviventi, amici, ecc.), è invece richiesta una prova rigorosa, che può avvenire tramite:
- documenti (certificati di residenza, fotografie, lettere);
- testimonianze;
- elementi presuntivi concordanti e gravi.
6. Rapporto con altri danni e cumulo
Il danno da perdita del rapporto parentale può cumularsi con:
- il danno patrimoniale per la perdita del sostegno economico fornito dal defunto;
- il danno catastrofale spettante direttamente alla vittima deceduta se non sopraggiunta la morte immediata;
- il danno terminale (per le sofferenze patite dalla vittima nell’intervallo tra lesione e morte).
Il cumulo va valutato attentamente per evitare duplicazioni risarcitorie.
Ti interessano questi contenuti?
Salva questa pagina nella tua Area riservata di Diritto.it e riceverai le notifiche per tutte le pubblicazioni in materia. Inoltre, con le nostre Newsletter riceverai settimanalmente tutte le novità normative e giurisprudenziali!
Iscriviti!
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento