La normativa a tutela dell’ambiente: principi generali e novità giurisprudenziali

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L’ambiente è oggetto di protezione diretta, come bene giuridicamente tutelato in se e non solo oggetto di protezione indiretta

Negli anni Settanta del secolo scorso emerge in dottrina la tutela del bene giuridico ambiente e in giurisprudenza viene tutelato attraverso la responsabilità ex art. 2043 c.c. per poi essere trasposto nella legge 8 luglio 1986 n. 349.

Tuttavia la fonte genetica della sua tutela è stata individuata “direttamente nella Costituzione, considerata dinamicamente, come diritto vigente e vivente, attraverso il combinato disposto di quelle disposizioni che concernono l’individuo e la collettività nel suo habitat economico, sociale, ambientale” (cfr. Cass.civ. III, 19 giugno 1996, n.5650 sul disastro del Vajont).

Il danno all’ambiente risarcibile ai sensi dell’art. 18 della legge n. 349 del 1986 è risarcibile attraverso una somma di denaro.

La politica ambientale con il Trattato di Maastricht diviene obiettivo della Comunità Europea la quale persegue la promozione di uno sviluppo armonioso ed equilibrato delle attività economiche, una crescità sostenibile non inflazionistica e che rispetti l’ambiente.

L’ambiente entra, inoltre, a far parte della Carta di Nizza tra i diritti fondamentali dell’Unione Europea, assumendo rango di diritto primario dell’Unione Europea con il Trattato di Lisbona.

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I principi europei a tutela dell’ambiente

I principi generali in materia di tutela dell’ambiente hanno derivazione europea.

I tradizionali principi di sussidiarietà adeguatezza e differenziazione dell’azione amministrativa assumono particolare rilevanza in materia di tutela dell’ambiente nel riparto della competenze tra Stati Membri e Unione Europea.

I principi di integrazione e sviluppo sostenibile comportano che la tutela dell’ambiente non possa essere qualcosa di marginale ma debba essere integrata in ogni azione amministrativa. La tutela dell’ambiente deve essere presa in carico in ogni contesto e di conseguenza non vi può essere alcuna forma di sviluppo se non sostenibile.

La disciplina nazionale prevede il principio dello sviluppo sostenibile all’art. 3 quater del Codice dell’Ambiente e lo declina prevedendo che “ogni attività umana giuridicamente rilevante ai sensi del Codice deve conformarsi al principio dello sviluppo sostenibile, al fine di garantire che il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali non possa compromettere la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future. Anche l’attività della Pubblica amministrazione deve essere finalizzata a consentire la migliore attuazione possibile del principio dello sviluppo sostenibile, per cui nell’ambito della scelta comparativa di interessi pubblici e privati connotata da discrezionalità gli interessi alla tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale devono essere oggetto di prioritaria considerazione. Data la complessità delle relazioni e delle interferenze tra natura e attività umane, il principio dello sviluppo sostenibile deve consentire di individuare un equilibrato rapporto, nell’ambito delle risorse ereditate, tra quelle da risparmiare e quelle da trasmettere, affinchè nell’ambito delle dinamiche della produzione e del consumo si inserisca altresì il principio di solidarietà per salvaguardare e per migliorare la qualità dell’ambiente anche futuro. La risoluzione delle questioni che involgono aspetti ambientali deve essere cercata e trovata nella prospettiva di garanzia dello sviluppo sostenibile, in modo da salvaguardare il corretto funzionamento e l’evoluzione degli ecosistemi naturali dalle modificazioni negative che possono essere prodotte dalle attività umane.

Il principio di cooperazione impone agli Stati e alle Pubbliche Amministrazioni di scambiarsi reciprocamente le informazioni in materia, questo al fine di rendere maggiormente incidente e condivisa la tutela dell’ambiente.

Il principio di prevenzione comporta che si debba intervenire prima del danno attraverso azioni preventive. Il principio di precauzione, invece porta all’adozione di misure di tutela ancor prima che vi sia la certezza sulla nocività di un fenomeno per l’ambiente.

Il principio del chi inquina paga traduce in costi l’utilizzo delle risorse naturali. Tale principio si pone come scopo quello di disincentivare lo svolgimento di attività ed i comportamenti dannosi per l’ambiente in un’ottica non solo sanzionatoria ma attraverso una incidenza preventiva.

La prevenzione e la riparazione del danno ambientale costituiscono attuazione del principio di matrice europea “chi inquina paga”, secondo il quale il soggetto la cui attività ha causato un danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno è considerato finanziariamente responsabile.

Il principio del chi inquina paga traduce in costi l’utilizzo delle risorse naturali. Tale principio si pone come scopo quello di disincentivare lo svolgimento di attività ed i comportamenti dannosi per l’ambiente in un’ottica non solo ripristinatoria ma attraverso una incidenza preventiva.

Secondo la Corte costituzionale del 31 dicembre 1987, n. 641 l’ambiente “si presta a essere valutato in termini economici e può ad esso attribuirsi un prezzo”.

L’illecito ambientale ha una funzione riparatoria estesa peraltro a tutti i costi necessari per ripristinare il complessivo pregiudizio inferto all’ecosistema naturale.

Infine, il principio dell’elevato livello di tutela comporta che nel bilanciamento tra gli interessi ambientali e gli altri interessi deve sempre essere riservata una posizione elevata alla tutela dell’ambiente.

Leggi anche:” I provvedimenti ripristinatori della Pubblica Amministrazione tra le esigenze di tutela ambientale e la necessità di accertare la responsabilità del destinatario del provvedimento”

Il nesso di causalità nella responsabilità ambientale

L’orientamento consolidato della giurisprudenza nazionale ed eurounitaria relativo alla responsabilità ambientale prevede che in materia di misure di riparazione ambientale è necessario almeno l’accertamento della esistenza di un nesso di causalità tra l’attività degli operatori cui sono dirette le misure di riparazione e l’inquinamento di cui trattasi.

In particolare la Corte di giustizia dell’Unione Europea Sez. III, 4 marzo 2015, n. 534/13  afferma che “a non tutte le forme di danno ambientale può essere posto rimedio attraverso la responsabilità civile. Affinché quest’ultima sia efficace è necessario che vi siano uno o più inquinatori individuabili, il danno dovrebbe essere concreto e quantificabile e si dovrebbero accertare nessi causali tra il danno e gli inquinatori individuati. La responsabilità civile non è quindi uno strumento adatto per trattare l’inquinamento a carattere diffuso e generale nei casi in cui sia impossibile collegare gli effetti ambientali negativi a atti o omissioni di taluni singoli soggetti.

Al riguardo il Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2017, n. 1261; n. 1260, con riferimento alla responsabilità del proprietario dell’area estraneo all’inquinamento, ha affermato che “al di là dell’evoluzione subita dal sistema di responsabilità civile in direzione del progressivo abbandono dei criteri di imputazione fondati sulla sola colpa, poiché nel sistema di responsabilità civile rimane centrale, pure nei casi che prescindono dall’elemento soggettivo, la necessità di accertare comunque il rapporto di causalità tra la condotta e il danno, non potendo rispondere a titolo di illecito civile colui al quale non sia imputabile l’evento lesivo neppure sotto il profilo oggettivo.

Pertanto, per poter affermare la responsabilità di taluno per danno ambientale occorre provare che sussista il nesso di causalità tra la condotta ed il danno.

L’Adunanza Plenaria n.10 del 22 ottobre 2019 si pronuncia sulla possibilità di ordinare la bonifica del sito inquinato a carico di società non responsabile in relazione a condotte realizzate prima dell’entrata in vigore della disciplina della bonifica

Il Consiglio di Stato affronta la questione riguardante i rapporti tra l’illecito e la bonifica risolvendo il quesito sulla possibilità di ordinare la bonifica per fatti avvenuti prima della sua entrata in vigore.

I due istituti non si pongono in discontinuità. Hanno, in vero una comune funzione ripristinatoria-reintegratoria.

Le misure introdotte nel 1997 ed ora disciplinate nel codice dell’ambiente del 2006 hanno la finalità di salvaguardare il bene giuridico ambiente rispetto a pericoli o danni e non hanno alcuna funzione sanzionatoria-punitiva.

Proprio in forza della comune funzione ripristinatoria-reintegratoria il Consiglio di Stato afferma la possibilità di ordinare la bonifica per fenomeni di inquinamento risalenti alla sua introduzione nell’ordinamento giuridico.

La bonifica può essere ordinata a condizione che vi sia una situazione di inquinamento ambientale e che possa essere rimossa dal soggetto responsabile, il quale, potendovi provvedere, rimane soggetto agli obblighi conseguenti alla sua condotta illecita, per tutto il periodo e secondo la successione di norme di legge intervenute.

Il Consiglio di stato, Adunanza Plenaria n. 10 del 22 ottobre 2019 afferma il seguente principio di diritto “la bonifica del sito inquinato può essere ordinata anche a carico di una società non responsabile dell’inquinamento ma che sia ad essa subentrata per effetto di fusione per incorporazione, in base alla disciplina previgente alla riforma del diritto societario, e per condotte antecedenti a quando la bonifica è stata introdotta nell’ordinamento, i cui effetti dannosi permangano al momento dell’adozione del provvedimento”.

Il Consiglio di Stato si pronuncia sui provvedimenti ripristinatori della Pubblica Amministrazione

In materia di misure di riparazione ambientale è necessario almeno l’accertamento della esistenza di un nesso di causalità tra l’attività degli operatori cui sono dirette le misure di riparazione e l’inquinamento di cui trattasi.

Pertanto l’adozione di provvedimenti sanzionatori e ripristinatori da parte dell’autorità competente, previsti dalle leggi regionali, non può prescindere dall’accertamento di un profilo di responsabilità del destinatario, quanto meno con riguardo alla sussistenza di un nesso causale tra la condotta da questi tenuta e il pregiudizio ambientale (cfr. Cons. St., sez. II, 15 ottobre 2019, n. 7033).

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Dott.ssa Laura Facondini

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