La natura del beneficio del rimborso delle spese legali in favore di dipendenti ed amministratori pubblici ed il riparto di giurisdizione.

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Il tema del beneficio del rimborso delle spese legali in favore di dipendenti pubblici sottoposti a giudizi per responsabilità civile, penale ed amministrativa in relazione a fatti o atti connessi al servizio (e definiti in senso favorevole al dipendente) è stato al centro di alcune recenti pronunce della giurisprudenza, ordinaria ed amministrativa, che disegnano un tratto di continuità nei presupposti intorno ai quali l’istituto è stato ricostruito ed ha trovato applicazione nell’esperienza pretoria degli ultimi anni.
Dal punto di vista normativo il nostro ordinamento giuridico riconosce l’immanenza del principio, ancorando tuttavia il rimborso dell’amministrazione in favore di chi abbia operato per suo conto alla ricorrenza di determinate condizioni: assenza di dolo e colpa grave del soggetto, connessione tra il procedimento giurisdizionale e l’espletamento del servizio, assenza di conflitti d’interesse con l’ente di appartenenza, sentenza di assoluzione pienamente favorevole al dipendente (1).
Tralasciando ai fini delle considerazioni che intendono proporsi l’analisi di dettaglio dei requisiti suindicati, come enucleati nella elaborazione giurisprudenziale attraverso la ricca casistica esaminata, ciò che piuttosto mette conto evidenziare in questa sede è come le descritte condizioni ripetano la loro ragion d’essere e, in sostanza, riflettano e riproducano l’intento del legislatore di obiettivare i presupposti fissati a presidio dell’interesse pubblico nei procedimenti di rimborso; e tali presupposti appaiono frutto del tentativo di individuare un equilibrio nell’ordinamento positivo all’interno della duplice contrapposta considerazione della rilevanza che, da un lato, tali rimborsi finiscono per avere sui bilanci della p.a., e dell’esigenza, dall’altro, di garantire adeguata tutela alla immagine della amministrazione attraverso l’assunzione degli oneri derivanti dalla difesa in tutti i procedimenti nei quali l’oggetto dell’accertamento giurisdizionale possa risultare lesivo della onorabilità della funzione pubblica.
Analizzando il complesso di fonti normative rinveniamo la disciplina positiva dell’istituto, per quanto riguarda le amministrazioni statali, nell’articolo 18 del D.L. 25.3.1997, n. 67, convertito in legge 23.5.1997, n. 135, che dispone il rimborso delle spese legali per i giudizi promossi nei confronti di dipendenti e definiti con provvedimento che affermi la insussistenza di responsabilità a carico di questi, nei limiti di congruità valutata dall’Avvocatura dello Stato.
Relativamente agli enti locali, invece, il rimborso delle spese legali già trovava espresso riconoscimento nella formulazione della norma di cui all’articolo 67 del D.P.R. n. 268/1987, di poi trasposta nella fonte negoziale di comparto, art. 28 del CCNL del 14 settembre 2000 per il personale non dirigente – Regioni ed Autonomie Locali : "L’ente, anche a tutela dei propri diritti ed interessi, ove si verifichi l’apertura di un procedimento di responsabilità civile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio, assumerà a proprio carico, a condizione che non sussista conflitto di interessi, ogni onere di difesa sin dall’apertura del procedimento facendo assistere il dipendente da un legale di comune gradimento"(2).
L’interpretazione estensiva affermatasi in giurisprudenza in ordine all’ambito oggettivo di applicazione della disciplina del rimborso, ritenuta riferibile anche alle ipotesi di giudizi di responsabilità innanzi al giudice contabile, ispirò la previsione dell’art. 3 D.L. n. 543/1996, convertito in L. 20.12.1996, n. 639, co. 2-bis,  relativa al rimborso delle spese legali in favore di coloro i quali, sottoposti al giudizio della Corte dei Conti, fossero stati prosciolti; la codificazione del principio diede poi la stura al progressivo processo di riconoscimento pretorio del diritto a veder rimborsate le spese di giudizio sostenute per i giudizi di responsabilità civile, penale ed amministrativa, venutosi affermando anche in favore degli amministratori locali, in ragione dell’espletamento del mandato e tenuto conto della funzione pubblica loro riconosciuta (3)
In tale scenario la natura del diritto al rimborso è stata colta e sviluppata nella maggiore ampiezza possibile della sua portata, individuata quale espressione di un principio generale di difesa volto, da un lato, a proteggere l’interesse personale del soggetto coinvolto nel giudizio in uno all’immagine della p.a. per la quale quel soggetto agisce (4), dall’altro a confermare il principio cardine dell’ordinamento che vuole riferire alla sfera giuridica del titolare dell’interesse sostanziale le conseguenze derivanti dall’operato di chi agisce per suo conto; non a caso la legittimazione dogmatica del principio attinge alla teoria del mandato (cui commoda et eius incommoda) (5), e trova ancoraggio positivo nella norma dell’art. 1720, 2° co., c.c. che stabilisce con chiarezza la misura dei diritti patrimoniali vantati dal mandatario nei riguardi del mandante, individuando, nei rapporti interni – e quindi al di fuori del rapporto di immedesimazione organica avente rilevanza esclusivamente verso l’esterno – il punto d’equilibrio tra le contrapposte pretese e la ripartizione dei rischi economici derivanti dall’attuazione del rapporto (6).
Orbene è proprio il fondamento dogmatico dell’istituto, concordemente indicato dalla dottrina e dalla giurisprudenza nella evocata disposizione codicistica ex art. 1720 c.c. in tema di rapporti tra mandatario e mandante, che ha ispirato – pervero in linea con l’orientamento già venutosi a consolidare – una recente pronuncia del Consiglio di Stato, sez. IV, 11 aprile 2007, n. 1681, interessante per la lucida analisi condotta sulla qualificazione e la consistenza della posizione giuridica soggettiva vantata da dipendenti e amministratori della p.a. in materia di rimborso delle spese legali, sintonica alla teoria della immanenza del principio nell’ordinamento che sopra si è tentato di illustrare all’interno delle coordinate disegnate dai riferimenti normativi positivi da un lato e dall’evoluzione pretoria dell’istituto dall’altro.
La fattispecie trae origine dalla impugnativa di un provvedimento con il quale la p.a. (Dipartimento amministrazione penitenziaria) aveva negato il rimborso delle spese legali sostenute in sede giurisdizionale ad un dipendente assolto in seguito ad un procedimento penale; accolto in primo grado il ricorso, le censure proposte dal Ministero al Consiglio di Stato in sede di gravame inerivano l’inammissibilità per tardività del ricorso di primo grado, “siccome afferente a una posizione di interesse legittimo e non di diritto soggettivo”, e, nel merito, l’irretroattività dell’art. 18 d.l. n. 67/1997 che, secondo le argomentazioni dell’Avvocatura, per la prima volta avrebbe introdotto nell’ordinamento, in via generale, il diritto al rimborso delle spese legali, e che quindi non si sarebbe reso applicabile alle vicende pregresse e, segnatamente, al rapporto controverso dedotto in lite.
L’atteggiamento del Consiglio di Stato è chiarissimo: “La posizione giuridica del dipendente che chiede il rimborso, ai sensi dell’art. 18 del d.l. 25 marzo 1997, n. 67, delle spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale ed amministrativa va qualificata come diritto soggettivo, e non come interesse legittimo, in quanto condizionata dalla ricorrenza delle puntuali condizioni normativamente previste…; anche prima dell’entrata in vigore della suddetta disposizione esisteva, un principio generale di rimborsabilità delle spese legali sopportate dal dipendente assolto da un qualsivoglia giudizio di responsabilità occorsogli per ragioni di servizio, anche in ossequio alla regola civilistica generale di cui all’art. 1720, comma 2, c.c., secondo la quale il mandatario ha diritto ad esigere dal mandante il risarcimento dei danni subiti a causa dell’incarico…; quest’ultima disposizione declina e traduce, a sua volta, un principio generale dell’ordinamento quale il divieto di locupletatio cum aliena iactura (7) espresso da diverse disposizioni, in particolari settori del pubblico impiego; …l’art. 18 del d.l. n. 67/1997 deve ritenersi, pertanto, applicabile in via retroattiva (8)  quale disposizione meramente confermativa dell’orientamento interpretativo già emerso e consolidato sulla questione dei rimborsi delle spese di patrocinio legale dei pubblici dipendenti e ricognitiva del relativo principio generale”.
La tesi, come detto riprende e consolida una posizione già espressa dal Consiglio di Stato circa la natura di diritto soggettivo perfetto connotante la posizione giuridica del dipendente che invochi rimborso delle spese processuali (9).
Ciò che tuttavia nella recente pronuncia conferisce spessore a tale ricostruzione dogmatica (e metodologica) circa la qualificazione della pretesa è l’iter argomentativo che sorregge l’impianto motivazionale; la ratio più profonda dell’istituto viene individuata nei principi generali che attraversano l’ordinamento, sino a giungere ad attribuire valore meramente ricognitivo alla disposizione normativa espressa dall’art.18 L. n. 135/97, che, nella fattispecie, non creerebbe il diritto ma ne esprimerebbe piuttosto la portata precettiva, necessaria a garantire la tenuta del sistema ed intervenuta in soccorso dell’interpretazione analogica a colmare il vuoto legislativo in materia.
Le ricadute della ermeneutica affermatasi in ordine alla natura della posizione soggettiva di vantaggio correlata al rimborso vanno peraltro considerate su di un livello di analisi parallelo a quello testè sviluppato, avuto riguardo al problema del riparto di giurisdizione che ha registrato in subiecta materia alcune pronunce interessanti relative alla posizione degli amministratori degli enti locali.
Illuminante in proposito la sentenza della Cassazione Civile, Sez. Unite, n. 478 del 13.01.2006: “In tema di rimborso di spese legali sostenute a causa di fatti connessi al lo svolgimento di pubbliche funzioni, ove la pretesa patrimoniale sia fondata sulla funzione onoraria, la giurisdizione deve essere ripartita in base alle norme del diritto comune, attribuendo al g.o. le liti sui diritti soggettivi e al g.a. quelle su interessi legittimi. Ne consegue che con riferimento a funzionari onorari del comune, ossia persone fisiche che prestano la propria opera per conto dell’ente pubblico non a titolo di lavoro subordinato (nella fattispecie assessore e vicesindaco), in mancanza di specifica disposizione che regoli i rapporti patrimoniali con l’ente rappresentato, la pretesa di rimborso delle spese processuali, ammesso che esista una lacuna normativa, non può che assumere la consistenza del diritto soggettivo perfetto, da esercitare davanti al g.o., in base ad una disposizione di legge, l’art. 1720 c.c., da applicare in via analogica ai sensi dell ‘art. 12, comma 2, disposizioni preliminari al codice civile” (10).
Appare al riguardo doveroso sottolineare che le considerazioni in tema di riparto devono necessariamente muovere da una distinzione di fondo.
E’ evidente, difatti, che la riforma delineata dal D.Lgs. n. 80/1998, e segnatamente il disposto di cui all’art. 45, comma 17, del D.Lgs. citato, di poi versato nel T.U. D. Lgs. n. 165/01, disegnava con sufficiente chiarezza la linea di demarcazione tra le giurisdizioni in materia di pubblico impiego (anche attraverso la disposizione transitoria prevista dalla norma richiamata), determinando così per il personale dipendente l’attrazione nell’orbita delle dinamiche interne al rapporto di lavoro subordinato – ed attribuendo quindi alla giurisdizione ordinaria quale continuum rispetto alla giurisdizione esclusiva del g.a. – le vicende inerenti i rimborsi delle spese legali; tanto peraltro determinò per il comparto enti locali l’esigenza di razionalizzazione delle fonti del rapporto di lavoro ed impose di individuare nel livello negoziale (art. 28 CCNL 14.09.2000) la corretta collocazione sistematica della preesistente fonte positiva della disciplina (art. 67, DPR. n. 268/87).
Ontologicamente distinta da questa, invece, deve considerarsi la categoria dei funzionari onorari non professionali (nella quale rientra nell’attuale esperienza storica il cosiddetto personale politico, legato da un rapporto di rappresentanza più o meno immediata con la stessa collettività popolare); in tali ipotesi difettando il rapporto di servizio, si poneva il problema di individuare il livello giurisdizionale di tutela di quelle fattispecie comportanti pretese di ordine patrimoniale, quali appunto il beneficio del rimborso delle spese legali, che residuvano in capo alla categoria dei “mandatari” onorari e politici (11).
In sostanza l’assenza di normativa espressa, l’evoluzione puramente pretoria del riconoscimento del diritto al rimborso e la differente considerazione sull’assetto di interessi pubblici contrapposti alle posizioni giuridiche dei privati titolari dei munera incise dall’esercizio del mandato politico-amministrativo (munus publicum) rispetto a quella che per il personale dipendente si qualificava come dialettica tipica datore/lavoratore, potevano generare ambiguità interpretatative nelle posizioni della giurisprudenza, che è stato possibile scongiurare proprio grazie alla solidità del fondamento teorico-dogmatico costruito da una decennale giurisprudenza in tema di rimborso delle spese legali per fatti connessi a pubbliche funzioni, come testimoniano le pronunce sia dei giudici di merito, sia della magistratura amministrativa sia di quella contabile (12).
La richiamata pronuncia della Suprema Corte n. 478/06 opportunamente quindi interviene sul tema con una netta presa di posizione in favore della tesi della consistenza di diritto perfetto del beneficio al rimborso – confermata come abbiamo visto dalla successiva pronuncia dei giudici di Palazzo Spada sopra ricordata – coerente e fedele alla teorica che, con estremo rigore, ricostruisce ancora una volta nei principi generali del mandato le fondamenta dell’istituto; tanto conforta e ribadisce il granitico orientamento espresso dai vari livelli di giurisdizione, conferendo alla posizione espressa tutta l’autorevolezza che tipicamente connota la composizione della Corte a Sezioni Unite nella prospettiva nomofilattica, in funzione di garanzia della stabilità e della uniforme certezza nell’interpretazione del diritto. 
 
 
 
 
 
NOTE
 
1.                      Cfr T.A.R. Puglia Bari, sez. II, 18 marzo 2004 n. 1390.
2.                      Analogamente l’art. 41, D.P.R. 20 maggio 1987, n. 270 integra la fonte del diritto al rimborso per il personale ex UU.SS.LL; in dottrina vedi L. D’******, “Il rimborso delle spese legali sostenute dai dipendenti statali per giudizi di responsabilità definiti con provvedimenti giurisdizionali assolutori”, in Rivista “Giustizia Amministrativa”, anno II, n. 4/2005 del 12.4.05, sub note 5-6, in www.giustamm.it : “per i dipendenti Regionali si vedano L.R. Sicilia 29 dicembre 1980 n. 145 (art. 39); L.R. Abruzzo 12 dicembre 1997, n. 197 (art. 57); L.R. Piemonte 18 marzo 1989, n. 21 (art. 1); L.R. Veneto 10 giugno 1991, n. 12 (art. 89); L.R. Sardegna 8 marzo 1997, n. 8 (art. 51)”; per gli Ufficiali/Agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria nonché per i militari in servizio di pubblica sicurezza si veda L. 22 maggio 1975, n. 172 (art. 32). 
3.                      Cfr. “Il rimborso delle spese legali” a cura di ********* in Uncem Servizi 2006, www.uncem.it; ancora in dottrina per un’analisi ragionata del tema vedi ***********, *********** Il rimborso delle spese legali agli amministratori e ai dipendenti degli enti locali”, 2005.
4.                      Cfr. T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 30 settembre 2004 n. 2141.
5.                      Cfr. Consiglio di Stato n. 2242/2000; così ancora L. D’******, op. cit., Riv. Giustizia Amministrativa n. 4/05, in www.giustamm.it.
6.                      Si veda Tribunale Torre Annunziata, sez. Gragnano, 20.5.03.
7.                      Così Cons. St., Comm. Spec., 6 maggio 1996, n. 4.
8.                      Cfr.. Cons. St., sez. III, 28 luglio 1998, n. 903.
9.                      Cons. St., sez. VI, 23 marzo 2004, n. 5367, da www.giustizia-amministrativa.it, in L. D’******, op.cit.
10.                  Cfr. recente Tar Piemonte, II sez., n. 480 del 30.01.2007.
11.                  Vedasi interessante Trib. ************, cit. infra.
12.                  Cfr. rispettivamente cit. Tribunale Torre Annunziata, sez. dist. Gragnano, 20 maggio 2003; ******, V, 17 luglio 2001 n. 3946, nonché recente Tar Piemonte, II sez. n. 480 del 30 gennaio 2007; C. Conti reg. Abruzzo, sez. giurisd., 29 novembre 1999 n. 1122.
 
 
 
 
 
N. 1681/2007
Reg. Dec.
N. 11480 Reg. Ric.
Anno 2000
 
 
                       R E P U B B L I C A     I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
Sul ricorso in appello n. 11480 del 2000 proposto dal Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato ex lege presso i suoi uffici in Roma, Via dei Portoghesi n.12;
C O N T R O
XXXXXXXX, rappresentato e difeso dall’Avv. **************** ed elettivamente domiciliato presso la stessa in Roma, Piazza Verbano n.8;
P E R L’ANNULLAMENTO
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sez.I, del Lazio, sez.I, n.3861/2000 in data 1 giugno 2000;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti l’atto di costituzione in giudizio e la memoria difensiva dell’appellato;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 12 dicembre 2006, relatore il Consigliere *************;
Uditi l’avv. ******** e l’avvocato dello Stato Varrone;
Ritenuto che il presente giudizio può essere definito con sentenza succintamente motivata, ai sensi dell’art.26 della legge 6 dicembre 1971 n.1034, così come novellato dall’art.9, comma 1, primo periodo della legge 10 agosto 2000 n.205;
Rilevato, infatti, che, nel caso di manifesta infondatezza del ricorso, la decisione può essere assunta con le modalità semplificate sopra indicate, anche quando la causa è stata trattata in pubblica udienza (Cons. St., sez. V, 26 gennaio 2001, n.268);
Considerato che il ricorso in esame risulta manifestamente infondato, alla stregua delle considerazioni che seguono;
Rilevato che con la decisione appellata il T.A.R. ha annullato i provvedimenti con i quali il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria aveva negato al ricorrente, ispettore generale dei ruoli di quest’ultima, il rimborso delle spese legali sostenute in sede penale, sulla base del rilievo della sussistenza, anche prima dell’entrata in vigore dell’art.18 d.l. 25 marzo 1997, n.67, di un principio generale dell’ordinamento che ammette l’accollo o il rimborso, da parte dell’Amministrazione, delle spese legali sopportate dal dipendente per procedimenti giudiziari relativi a fatti inerenti all’esercizio delle funzioni attribuitegli;
Ritenuto che il Ministero appellante critica la correttezza del giudizio impugnato, insistendo nel sostenere, in via pregiudiziale, l’inammissibilità, per tardività, del ricorso di primo grado, in quanto afferente a una posizione di interesse legittimo e non di diritto soggettivo, e, nel merito, l’irretroattività dell’art.18 d.l. n.67/97, che ha introdotto, in via generale, il diritto al rimborso delle spese legali, e, quindi, la sua inapplicabilità al rapporto controverso;
Considerato che le medesime questioni di diritto qui dibattute sono state già esaminate e risolte, mediante l’affermazione dei principi della natura di diritto soggettivo della posizione dell’impiegato che rivendica il rimborso delle spese legali e della sussistenza, anche prima dell’art.18 d.l. cit. (qualificato come disposizione meramente confermativa e ricognitiva), di un principio generale dell’ordinamento che intesta al dipendente pubblico il predetto titolo di credito, e che non si ravvisano, nella fattispecie in esame, ragioni di diritto od elementi di fatto per discostarsi da tale indirizzo (Cons. St., sez. VI, 2 agosto 2004, n.5367);
Rilevato che le predette conclusioni sono state raggiunte sulla base del percorso argomentativo di seguito sintetizzato (e condiviso dal Collegio): a) la posizione giuridica del dipendente che chiede il rimborso, ai sensi dell’art. 18 d.l. cit., delle spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale ed amministrativa va qualificata come diritto soggettivo, e non come interesse legittimo, in quanto condizionata dalla ricorrenza delle seguenti, puntuali condizioni normativamente previste: 1) l’esistenza di una connessione dei fatti e degli atti oggetto del giudizio con l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali; 2) l’esistenza di una sentenza definitiva che abbia escluso la responsabilità del dipendente; 3) una valutazione di congruità da effettuarsi da parte dell’Avvocatura dello Stato; b) anche prima dell’entrata in vigore della suddetta disposizione esisteva, tuttavia, un principio generale di rimborsabilità delle spese legali sopportate dal dipendente assolto da un qualsivoglia giudizio di responsabilità occorsogli per ragioni di servizio, anche in ossequio alla regola civilistica generale di cui all’art. 1720 comma 2 del cod. civ., dettata in tema di rapporti fra mandante e mandatario, secondo la quale il mandatario ha diritto ad esigere dal mandante il risarcimento dei danni subiti a causa dell’incarico; c) quest’ultima disposizione declina e traduce, a sua volta, un principio generale dell’ordinamento quale il divieto di locupletatio cum aliena iactura (così Cons. St., Comm. Spec., 6 maggio 1996, n. 4); d) quest’ultimo principio era, peraltro, espresso da diverse disposizioni, in particolari settori del pubblico impiego (ad es. l’art. 41 del d.p.r. 20 maggio 1987 n. 270 riguardante il personale del servizio sanitario nazionale; l’art. 19 del d.p.r. 16 ottobre 1979 n. 509 relativo al personale degli enti pubblici di cui alla legge 20 marzo 1975 n. 70; l’art. 20 del d.p.r. 4 agosto 1990 n. 335 concernente il personale del comparto delle aziende e delle amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo), che prevedevano, in vario modo, l’assunzione da parte dell’Amministrazione delle spese per il patrocinio legale del dipendente ovvero il loro rimborso, per cause connesse all’espletamento dei doveri d’ufficio; e) l’art. 18 del d.l. n. 67/97 deve ritenersi, pertanto, applicabile in via retroattiva (cfr. Cons. St., sez. III, 28 luglio 1998, n. 903), quale disposizione meramente confermativa dell’orientamento interpretativo già emerso e consolidato sulla questione dei rimborsi delle spese di patrocinio legale dei pubblici dipendenti e ricognitiva del relativo principio generale; f) la suddetta disposizione non può essere, quindi, validamente invocata a giustificazione della mancata applicazione dei principi anzidetti a vicende pregresse;  
Considerato che dev’essere, in conclusione, respinto l’appello del Ministero e che sussistono, nondimeno, giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese processuali (in ragione delle difficoltà ermeneutiche sottese alla questione principalmente dibattuta);
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, respinge l’appello indicato in epigrafe e compensa le spese processuali;
ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 12 dicembre 2006, con l’intervento dei signori:
**************                        – Presidente f.f.
*************                       – Consigliere Estensore
****************                           – Consigliere
****************                     – Consigliere
************                         – Consigliere
 
 
L’ESTENSORE                                 IL PRESIDENTE F.F.
*************                                           **************
 
IL SEGRETARIO
 *************
 
 
 
Depositata in Segreteria il 11/04/2007….
(Art. 55, L. 27.4.1982, n. 186) Il Dirigente *************

Siracusa Sergio

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