La morosità nelle locazioni durante il lockdown: si può parlare sempre di grave inadempimento?

Il fenomeno della morosità nell’ambito delle locazioni ad uso non abitativo è cresciuto in modo esponenziale nel periodo di lockdown. Inevitabile, quindi, le reazioni dei titolari degli immobili locati che con atto di intimazione hanno chiesto che venisse convalidato lo sfratto per morosità dei conduttori, resisi inadempienti per alcuni mesi nel pagamento dei canoni di locazione. Molto spesso però, a seguito della notifica dell’intimazione di sfratto il conduttore ha “saldato” le somme dovute, offrendosi altresì di pagare le spese di lite. Del resto il ritardo nel pagamento dei canoni nella maggioranza dei casi è stato causato da un fermo dell’attività che il debitore in giudizio non ha mancato di sottolineare. In questi casi però il locatore potrebbe ignorare le “giustificazioni del debitore” e pretendere di risolvere il contratto per inadempimento.

La mancanza del termine di grazia

Nel contratto di locazione ad uso abitativo, l’ordinamento offre un’ulteriore scelta al conduttore moroso (oltre quella di pagare tutti i canoni, interessi e competenze legali banco iudicis), cioè la possibilità di sanare la morosità nel corso del giudizio sommario di intimazione di sfratto per morosità, chiedendo al giudice adito la concessione del termine di grazia, ex artt.5 e 55, l. n. 392/1978, senza, di contro, alcuna forma di opposizione (App.Napoli,6 maggio 2015, n.1727). Al contrario nelle locazioni di immobili per uso non abitativo non trova applicazione la disciplina di cui all’art 55, L. n. 392/1978 con la conseguenza che il conduttore non può sanare la sua morosità in sede giudiziale, né l’offerta o il pagamento del canone successiva all’intimazione di sfratto rendono inoperativa un’eventuale clausola risolutiva espressa convenuta dalle parti.

La valutazione dell’inadempimento nel periodo di lockdown

Nell’ambito delle locazioni non abitative la questione dell’inadempimento dell’obbligo di pagamento del canone deve essere valutata facendo ricorso alla regola fissata dall’art. 1455 c.c. non potendosi utilizzare la previsione dell’art. 5 della l. n. 392/1978 che riguarda solo le locazioni abitative. In particolare, ai fini dell’emissione della pronuncia costitutiva di risoluzione del contratto per morosità, occorre coordinare il giudizio sull’elemento oggettivo della mancata prestazione con gli elementi soggettivi e con le modalità e le circostanze di quello specifico rapporto, al fine di valutare se l’inadempimento in concreto accertato abbia comportato una notevole alterazione dell’equilibrio e della complessiva economia del contratto. L’inadempimento deve essere considerato in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all’altro contraente, tenendo conto di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti (come un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione, ad opera dell’una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell’altra), che possano, in relazione alla particolarità del caso, attenuarne l’intensità. In altre parole il fatto che il locatore abbia agito per chiedere la risoluzione del contratto per l’altrui inadempimento o l’aver diffidato l’inadempiente non è sufficiente per ottenere la risoluzione del contratto atteso che così si otterrebbe il risultato di rimettere la risoluzione alla scelta dell’adempiente.

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Gli elementi da valutare in epoca covid

Il temporaneo mancato pagamento del canone da parte del conduttore per sole poche mensilità non può costituire un grave inadempimento se gli importi dovuti non sono elevati. Tuttavia la prestazione inadempiuta e la sua entità diventano soltanto uno degli elementi che possono essere valutati dal Giudice al fine di accertare la gravità o meno dell’inadempimento. In altre parole è inevitabile considerare che l’inadempimento si è verificato durante il periodo di emergenza sanitaria causata dal covid19 che ha sicuramente inciso, seppur in via riflessa, su tutte le attività (Trib. Milano 18 maggio 2021, n. 4355). Del resto si dovrebbe tenere conto dell’art. 3, comma 6-bis, del d.l. n. 6 del 23 febbraio 2020 (convertito in l. n. 13 del 5 marzo 2020) per il quale il rispetto delle misure di contenimento è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti. Non può altresì non essere considerato, alla luce dei principi di correttezza e buona fede che sono alla base di tutti i rapporti contrattuali, il comportamento tenuto dal convenuto che, a seguito della notifica dell’intimazione di sfratto, ha provveduto al pagamento delle somme dovute, mediante due vaglia postali immediatamente dopo la ripresa dell’attività. (Trib. Latina, 1 giugno 2021 n. 1140).

Pertanto, se la condotta del conduttore è risultata improntata a correttezza e buona fede e l’importo della morosità non è stata rilevante e comunque circoscritta ai mesi dell’emergenza sanitaria, (con pagamento integrale del debito dopo l’intimazione di sfratto), non si può ammettere una domanda volta ad ottenere la risoluzione del contratto. Al contrario la risoluzione è inevitabile se il conduttore ha interrotto il pagamento molto prima dei provvedimenti di chiusura governativi, non ha corrisposto nulla neppure alla ripresa dell’attività per un presunto calo di fatturato mai dimostrato, facendo così crescere il debito a dismisura (Trib. Roma 19 febbrai 2021 n. 3114).

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