La media-conciliazione obbligatoria per le cause di locazione

In virtù della riforma, attuata con d.l. 69/2013, convertito con modificazioni in l. 98/2013, è stata reintrodotta, per le cause di locazione che proseguono a seguito del mutamento del rito – l’obbligatorietà del procedimento di mediazione, sanzionata con l’improcedibilità del giudizio.

L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, ovvero rilevata d’ufficio non oltre la prima udienza e nel caso in cui il tentativo di mediazione non sia stato esperito prima dell’udienza di cui all’art. 183 c.p.c., il giudice deve assegnare alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della relativa domanda al competente organismo.

Ai sensi dell’art.5, comma 4, lett.b) d.lgs.28/2010 le disposizioni dei commi 1 bis e 2 (obbligatorietà della mediazione e sanzione della improcedibilità del giudizio) non si applicano “b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’art.667 c.p.c”. Questo significa che nell’ordinanza di mutamento del rito il giudice deve invitare le parti alla mediazione.

L’intimante, su cui grava il relativo onere, è tenuto ad avviare il procedimento entro 15 giorni dalla data dell’udienza in cui è stato disposto il mutamento del rito.

Sulla natura del termine la giurisprudenza si è interrogata in merito alla natura perentoria ovvero ordinatoria del termine assegnato dal giudice per ‘sanare’ il mancato esperimento della mediazione propendendo per la natura ‘perentoria’ dello stesso e osservando che, in ogni caso, anche ove il termine fosse qualificato ‘ordinatorio’, sarebbe comunque necessario richiedere una proroga prima della relativa scadenza in linea con la disciplina dell’art. 154 c.p.c. (Trib. Firenze, 09 giugno 2015).

In giurisprudenza di merito, pur registrandosi ancora orientamenti contrastanti sulla natura del termine assegnato per l’avvio della mediazione, tuttavia, secondo un orientamento ormai da considerare predominante il termine avrebbe carattere perentorio e non prorogabile, visto lo scopo che persegue e la funzione che esso adempie, come recentemente confermato da Tribunale di Cagliari, sentenza 08 febbraio 2017: “Il termine di quindi giorni per la presentazione dell’istanza di mediazione ha – in ragione della sua funzione e delle conseguenze decadenziali che il suo mancato rispetto determinato – natura perentoria (in tal senso vedi Tribunale di Napoli  sentenza del 14.3.2016 ed ivi i richiami giurisprudenziali di legittimità e di merito), così che dal suo mancato rispetto consegua la necessità per il giudice di emettere una pronunzia di rito contenente la declaratoria della improcedibilità del processo”.

Per altra parte della giurisprudenza avrebbe natura ordinatoria ed in tal caso, solo allo spirare del termine senza che sia stata presentata una richiesta motivata di proroga ai sensi dell’art. 154 cpc, la parte onerata dell’avvio decade dalla relativa facoltà processuale.

Sul punto è stato coerentemente osservato che

“l’adesione all’uno o all’altro degli orientamenti sopra citati non influisce sulla soluzione della presente controversia. Infatti, anche qualora si aderisse all’orientamento secondo il quale tale termine non avrebbe carattere perentorio, ai sensi dell’art. 154 c.p.c., il decorso del termine ordinatorio non tempestivamente prorogato comporta comunque la decadenza dalla relativa facoltà processuale (cfr., tra le altre, Cass. Civ., n. 4448 del 21 febbraio 2013 e Cass. Civ., n. 589 del 15 gennaio 2015). Nel caso specifico, posto che non è stata richiesta alcuna proroga del predetto termine prima della scadenza, il suo inutile decorso ha determinato la decadenza delle parti, con conseguente improcedibilità della domanda avanzata nel presente giudizio (Tribunale di Savona, sentenza 26 ottobre 2016).

In ogni caso, a prescindere dalla natura ordinatoria o meno del termine,  quando la mediazione non è stata esperita né è stata richiesta alcuna proroga da parte attrice alla quale l’onere sia stato espressamente imposto dal giudice, va dichiarata l’improcedibilità della domanda in quanto “le giustificazioni di parte opponente non possono consentire l’assegnazione di un nuovo ulteriore termine in quanto fondate su circostanze senz’altro già note al momento della concessione del primo; né parte attrice ha fornito indicazioni in senso contrario” (Tribunale di Piacenza, sentenza 18 ottobre 2016).

Sulla natura ordinatoria del termine disposto dal giudice per l’avvio della procedura di mediazione che non comporta, pertanto, l’improcedibilità del giudizio stante la sua natura non perentoria, si registra l’intervento di Corte d’Appello di Milano, ordinanza 28 giugno 2016, che ha riformato la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Monza che aveva dichiarato l’improcedibilità del giudizio per una mediazione conclusasi regolarmente ma avviata tardivamente, oltre il termine di quindici giorni disposto dal giudice.

Di diverso avviso, invece, Corte di Appello di Bologna, sentenza 26 gennaio 2016, per la quale la mediazione disposta dal giudice deve essere introdotta dalla parte interessata entro 15 giorni dalla comunicazione dell’ordinanza del Tribunale. Pur riconoscendo al termine processuale una natura ordinatoria, che può essere prorogato solo in caso di tempestivo rinnovo, conferma che “Il mancato esperimento della mediazione ha come conseguenza per tutte le parti la improcedibilità del giudizio, come disposto dal citato art.5, Il c., 1. n.28/2010, atteso che è ivi testualmente previsto che “l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello”.

Il procedimento di mediazione deve concludersi entro il termine di 3 mesi dal deposito della relativa domanda, senza che nel computo di detto termine possa rilevare la sospensione feriale dei termini.

Inoltre, il tempo necessario al procedimento di mediazione non si computa nel termine di ragionevole durata del processo.

Il procedimento di mediazione è disciplinato dall’art.8 d.lgs.28/2010, nel testo risultante dalle modificazioni apportate dalla riforma del 2013: nuovo e rivoluzionario rispetto alla prima fase di vigenza della mediazione obbligatoria è il comma 4-bis dell’art. 8 del D. lgs. 4 marzo 2010, n. 28 (Mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali) che prevede una vera e propria sanzione per la parte che non partecipa alla mediazione: dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. Quindi, indifferentemente dalle ragioni o torti che ciascuno pensa di avere, la mancata partecipazione si traduce automaticamente in una sanzione che verrà applicata dal giudice nel successivo giudizio di merito.

La giurisprudenza pone l’accento sulla necessità che al procedimento di mediazione partecipino personalmente le parti assistite dai loro avvocati e che vadano oltre il primo incontro informativo.
L’istante che intende svolgere effettivamente la mediazione demandata, non fermandosi all’incontro informativo, e ciò a differenza della parte antagonista che non intenda procedere, deve dichiararlo e farlo verbalizzare dal mediatore, distinguendo in tale modo la sua posizione da quella della parte renitente. In tale caso, il mancato svolgimento della mediazione demandata non comporterà l’improcedibilità della domanda, bensì, ove il diniego della controparte non è giustificabile, l’applicazione a carico di quest’ultima dell’art. 8 del decr.legs.28/2010 oltre, ricorrendone i presupposti, dell’art.96, comma 3 c.p.c.

Il principio è stato confermato dal Tribunale di Roma (giudice il dott. Massimo Moriconi, sentenza del 23 febbraio 2017), che ha dichiarato l’improcedibilità della domanda giudiziale per mancato svolgimento della mediazione demandata. Nel caso esaminato il procedimento di mediazione vedeva, per entrambe le parti, la sola partecipazione dei rispettivi avvocati dichiarare congiuntamente di aver tentato di raggiungere un accordo senza alcun esito positivo in ragione del quale dichiarare, ancora una volta congiuntamente, che non sussistono i presupposti per proseguire la mediazione. La procedura di mediazione si concludeva con esito negativo. Dal verbale di mediazione, cui erano state cancellate le parti relative all’informativa, non veniva dato atto della richiesta del mediatore rivolta alle parti e ai loro avvocati di procedere nella mediazione. Per il Tribunale di Roma, oltre a non aver dato rituale e piena esecuzione all’ordine del giudice, le parti non hanno esperito alcuna mediazione e nemmeno la fase introduttiva che la legge definisce fase preliminare e propedeutica alla stessa. Le parti si sono recate presso l’organismo di mediazione semplicemente per “congiuntamente” informare il mediatore che non avevano raggiunto l’accordo. Inoltre l’attore, la cui giustificazione dell’assenza “motivi familiari” è ritenuta dal giudice priva di specificità e non accettabile, non distinguendo e separando con apposita dichiarazione a verbale la sua posizione da quella della parte convenuta ha impedito, in limine mediationis, che il mediatore potesse svolgere il suo lavoro, addirittura, in questo caso, neppure procedere alla fase informativa.
Questo per il Tribunale di Roma, non è mediazione, come ampiamente motivato in sentenza:

E’ di tutta evidenza che non è stata data rituale e piena esecuzione all’ordinanza che precede e che le parti NON hanno esperito alcuna mediazione, in questo specifico caso, addirittura neppure la fase introduttiva della stessa, con quanto ne consegue. … Identificare la “mediazione” con l’incontro informativo è un errore grossolano. E’ la stessa legge infatti che definisce la mediazione come altro rispetto all’incontro informativo, che è una fase preliminare e propedeutica alla mediazione. Predicare che assolto all’incontro informativo, non volenti le parti entrare in mediazione, si debba considerare questa – contro la realtà – egualmente svolta, è un’assurdità logica e giuridica. … Il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione. A fronte di tale impegno del magistrato, che presuppone lo studio degli atti, la valutazione di opportunità, e l’individuazione del momento migliore per la mediazione, e che si sostanzia infine nella redazione di un provvedimento che può anche contenere – come l’esperienza sempre più spesso attesta- utili spunti ed indicazioni per la discussione ed il confronto fra le parti con il mediatore, il non pòssumus delle parti (o di una di esse) si qualifica come ingiustificata e pregiudiziale renitenza ad un ordine legittimamente dato dal giudice ed espressione di un volontario quanto ingiustificabile rifiuto a priori di sperimentare realmente con lealtà e senza riserve mentali un percorso conciliativo. Occorre intendersi sul significato della parola “mediazione”. Dal punto di vista sostanziale, va da sé che le parti che partecipano all’incontro di mediazione sono del tutto libere di accordarsi o meno. E pertanto nell’accezione di accordo, conciliazione et similia, la mediazione non è mai obbligata. Né dal mancato raggiungimento dell’accordo in mediazione può derivare alle parti o a taluna di esse pregiudizio di sorta, di alcun genere. Dal punto di vista procedurale, alla domanda se vi sia un obbligo a carico delle parti di partecipazione alla mediazione (intesa questa volta non come accordo, ma come procedura) la risposta è invece senz’altro affermativa; come rivela in modo icastico tutto il sistema sanzionatorio previsto dalla legge (improcedibilità per la mancata proposizione della domanda, conseguenze negative previste dall’art. 8 della legge; possibile applicazione dell’art.96 co. III come riconosciuto dalla giurisprudenza). … Invero la regola di base espressa dal decreto legislativo 28/2010 è l’obbligatorio svolgimento del procedimento di mediazione di cui agli artt. 5 commi 1 bis e 2 (come attesta inequivocabilmente il sistema sanzionatorio previsto dalla legge stessa per la mancata partecipazione, oltre che, a fortiori, per la mancata introduzione della domanda di mediazione). Ne consegue che il rifiuto di procedere e partecipare alla mediazione costituisce la violazione della regola. E, come per ogni violazione, in qualsiasi sistema (penale e non), è la parte che invoca una giustificazione a doverla quanto meno allegare. Le conseguenze di tale rifiuto – ingiustificato- di procedere e di partecipare alla mediazione sono, se espresso dall’istante/attore, sovrapponibili alla mancanza tout court della (introduzione della domanda di) mediazione. Sarebbe infatti un’aporia ritenere soddisfatto il precetto della legge in materia di mediazione obbligatoria e demandata, ritenendo che sia sufficiente al fine di integrare la condizione di procedibilità la semplice formale introduzione della domanda. …Non può infatti essere oggetto di dubbio – giova ribadire quanto supra ampiamente dimostrato – che il mero incontro informativo (che, per come configurato dalla legge, nulla ha a che vedere con lo specifico merito della controversia insorta fra le parti), non può, specialmente nella mediazione demandata, neppure con i più acrobatici sforzi dialettici, essere parificato allo svolgimento dell’esperimento della mediazione La quale, come ricordato, consiste nell’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa (art. 1 del decr.lgs.28/10)”.

 

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