La laicità dello Stato italiano: un percorso storico

giovanni landi 17/05/18
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Quello della laicità dello Stato italiano è un tema che a ritmi più o meno stabili ritorna d’attualità nei dibattiti politici e giuridici, ogni volta vibranti di opposti livori.

Se durante il pontificato di papa Ratzinger lo scontro ideologico sembrava aver raggiunto il suo culmine, che poi non era altro che un faticoso punto di staticità, i recenti dialoghi fra papa Francesco e Eugenio Scalfari paiono disegnare i contorni di un nuovo approccio al problema. Magari armistiziale o ruffiano, ma comunque interessante, perché dall’incontro fra le figure apicali della spiritualità e della moderna cultura laica le occasioni di riflessione e consapevolezza possono sgorgare numerose.

Del resto, l’Italia è il paese che ospita il centro mondiale del cattolicesimo, e la sua specificità è tale che in una qualsiasi analisi giuspubblicistica sulla sua effettiva laicità non possano non intervenire i fattori storici e sociali che lo caratterizzano fin dall’inizio.

“I caratteri dello stato laico possono essere riconosciuti nell’autonomia e nell’indipendenza dell’autorità civile (stato-potere) rispetto all’autorità religiosa, nella aconfessionalità e neutralità  dell’ordinamento (stato-istituzione) in materia religiosa e filosofica, nella temporalità, intesa come competenza della comunità statale (stato-comunità) a proporre ai suoi componenti solo i valori sociali attinenti alla condizione terrena dell’uomo”.[1]

Luciano Guerzoni sintetizza così le caratteristiche che si pretende uno stato abbia per essere definito laico.

Nello stesso tempo tuttavia egli stesso sottolinea come il termine laicità faccia riferimento a un insieme di situazioni e valori estremamente articolato, e anche Cardia, curando la voce “Stato laico” in una enciclopedia di diritto, premette che “individuare una nozione univoca di Stato laico, sotto il profilo scientifico e classificatorio, sarebbe difficile, se non impossibile, così come sarebbe arduo elaborare i confini ed i contenuti della categoria della ‘laicità dello stato’ “.[2]

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Le origini, in Europa 

Da un punto di vista storico, il modello di laicità (mentre oltreoceano si è già affermato, in un contesto però già di per sé pluriconfessionale,  con la rivoluzione americana e il formarsi degli Stati Uniti d’America), in Europea sorge contestualmente alla nascita e alla teorizzazione delle nuove categorie etiche e politiche, nonché delle istituzioni, dell’Europa illuminista. La sua genesi si pone in antagonismo con il sistema di Ancien Règime, ove “si era consumato e aveva conosciuto il suo apice l’alleanza tra potere religioso e potere politico dello Stato moderno”.[3]

Dunque è La Rivoluzione francese, esplosione somma e travolgente delle idee illuministe, a far emergere con potenza le idee del “separatismo”, accendendo il contrasto con quella che è sotto tutti i profili la chiesa dominante: la chiesa cattolica.

Dalla Francia parte la progressiva “laicizzazione” degli istituti giuridici (a cominciare dal matrimonio), della scuola pubblica, delle ricorrenze festive, dei processi di assistenza e beneficenza, delle istituzioni militari.

“Lo Stato illuminista sanciva l’irrilevanza civile più completa degli ordinamenti confessionali e degli orientamenti dei cittadini in materia religiosa ed ideologica “[4], riducendo a questione meramente privata la fenomenologia religiosa.

In Italia

Alla sua nascita, l’Italia poteva invece dirsi uno stato confessionale, dal momento che lo Statuto Albertino, divenuto nel 1861 da legge dello stato sabaudo Carta fondamentale dell’Italia unita, aveva dichiarato la religione cattolica “religione di Stato” (art. 1), lasciando alle altre un regime di tolleranza.

Si può osservare tuttavia come, nel risorgimento, l’atteggiamento dello stato italiano nei confronti della chiesa cattolica presenta piuttosto i caratteri tipici di uno stato agnostico, regnando nei rapporti tra le due potenze la più totale indifferenza, sfociante anche talvolta in quell’anticlericalismo proprio della matrice illuminista.

D’Avack afferma che “l’art. 1 dello Statuto Albertino era caduto in desuetudine, più volte contraddetto da una successiva legislazione perfettamente antitetica nello spirito e nel contenuto”. [5]

Comunque sia, pur nelle travagliate vicende post-unitarie [6], il cattolicesimo resta religione statale.

Dopo la prima guerra mondiale e con l’avvento del regime totalitario fascista si denota invece una tendenziale ”riconfessionalizzazione”,[7] consacrata nel 1929 dai Patti Lateranensi, e in particolare dal Concordato, ritenuto appunto da Cardia strumento “antitetico rispetto ad un regime separatista”. [8]

Col tramonto del fascismo, la chiesa vaglia l’ipotesi di trasformare l’Italia in un vero stato cattolico, e di favorire la salita al potere di una direzione istituzionale che fosse emanazione del Vaticano. [9]  Tuttavia i fatti la costringono ad assecondare la transizione del paese in una democrazia parlamentare, e quindi la nascita di una Costituzione compromissoria che faccia suoi i principi della laicità, lavorando però affinché, come poi sarà per 50 anni, a reggere le sorti del paese e della democrazia sia un partito di ispirazione cattolica che mantenga il paese ancorato in fatti e in parole alla bimillenaria tradizione religiosa.

Nel 1984 gli “accordi di Villa Madama“, [10] firmati a Roma dal presidente socialista del Consiglio Bettino Craxi e dal Segretario di Stato Vaticano Agostino Casaroli, revisionano il concordato del 1929, contenente le regole sui reciproci rapporti fra Italia e santa sede.

Le disposizioni della nuova intesa bilaterale [11] modificano il sistema senza tuttavia sopprimere il sospetto annoso di chi crede che l’Italia sia un paese laico ma ‘sui generis’, e che l’art. 7 della Cost, che recepisce i Patti Lateranensi, debba essere visto in realtà come uno strisciante elemento di confessionismo, nel suo garantire alla religione cattolica una posizione talmente privilegiata da potersi considerare nella sostanza ‘statale’.

La Corte Costituzionale, nella storica sentenza del 1989, [12] supplendo al già citato silenzio della Costituzione sul tema, ha parlato della laicità come di un principio supremo del nostro ordinamento,  ricavabile dagli art. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, e si è guadagnata l’approvazione felice, non senza qualche obiezione, della dottrina più sensibile al principio.[13]

La chiarezza del giudice delle leggi, custode della Carta costituzionale e dei suoi intenti, ha segnato un passaggio fondamentale nel percorso difficile di affermazione della laicità, ma tuttavia non ha scacciato il problema sostanziale, che proprio negli ultimi vent’anni si è manifestato con una urgenza gradualmente crescente: i privilegi morali e giuridici concessi alla chiesa cattolica (certo la principale, ma sempre una delle tante), l’ingerenza costante della chiesa negli affari politici, la centralità del cattolicesimo nel sistema educativo nazionale, e in generale il ruolo della chiesa cattolica nello Stato apparato-comunità italiano, fanno di questo paese uno stato veramente laico?

Insomma, l’enorme spazio concesso ai riti e ai pensieri cattolici nella vita civile, è pienamente giustificabile col fatto che in fondo  è accettato e voluto dalla maggioranza dei cittadini, o al contrario è una situazione intollerabile per una moderna democrazia liberale europea, sustansiandosi in una profonda deviazione dal principio di laicità, in un “confessionismo di fatto”?

Diverse questioni, dalla legge 40 sulla fecondazione assistita all’intenzione (rimasta tale) di introdurre anche in Italia una legislazione sulle coppie di fatto, fino alla regolazione del cosiddetto fine-vita e al caso dei simboli religiosi, hanno generato contrasti e interrogativi insistenti, e hanno reso più ostinate voci di ambienti culturali diversi. [14]

Mario Tedeschi, fra i massimi studiosi del tema, ritiene che se la sentenza del 1989 fosse rettamente applicata “evidenzierebbe la sostanziale incostituzionalità di tutto quanto sottoscritto fino ad ora in materia ecclesiastica, dal concordato alle intese”.

“Lo stato italiano- scrive- non può essere considerato pienamente laico, perché procede nei rapporti con le confessioni religiose attraverso negoziazioni bilaterali, perché tale non è la sua politica ecclesiastica e per le costanti manifestazioni di stringente confessionismo”.[15]

Sulla stessa linea si pone Guerzoni, altra autorevole voce critica, quando afferma che la legislazione ecclesiastica italiana “esigerebbe un’analisi costituzionalmente molto più rigorosa e severa di quanto fin ora dottrina e giurisprudenza non abbiano fatto”, [16]  fondando le sue affermazioni principalmente sull’art. 3 (eguaglianza giuridica “senza distinzione di religione”), 7 (alterità fra ordine statuale e ecclesiale), 97 (imparzialità della pubblica amministrazione) della Costituzione.

Ma opinioni simili hanno espresso anche  studiosi quali Sergio Lariccia, con particolare riguardo ai problemi inerenti l’insegnamento della religione cattolica, e Carlo Augusto Jemolo. [17]

In un articolo pubblicato sulla rivista Diritto e Religioni, Nicola Fiorita fa il punto sulla situazione attuale, dichiarando la sua rigida posizione sull’effettività del principio di laicità in Italia. Egli guarda all’Italia, più che come un paese laico, come un paese incentrato su un moderno “confessionismo democratico”, giacché se è vero che “tutela in maniera efficace ed ampia il diritto alla libertà religiosa, tuttavia non assicura l’eguaglianza tra i gruppi religiosi né tanto mento la neutralità delle istituzioni pubbliche, propense ad assecondare con sempre maggiore intensità gli interessi e i valori della maggioranza”.

“Laddove in un ordinamento- afferma Fiorita- venga attribuita ad una confessione religiosa una posizione di speciale privilegio, quell’ordinamento non dovrà essere considerato laico”.[18]

Di contro a queste argomentazioni, o comunque con posizioni più attenuate, altra dottrina, composta prevalentemente da esponenti del mondo cattolico, ma non soltanto, rifugge l’idea di una laicità solo formale, e salva la costituzionalità del Concordato collocando il cattolicesimo nel contesto ‘laico’ del patrimonio storico, etico e culturale della nazione, talmente identitario da giustificare le norme e la prassi di favore.

Del resto la stessa sentenza della Corte cost. del 1989 aveva sposato questo approccio, rifacendosi al moderno concetto di laicità positiva: una laicità che non consiste nell’indifferenza, estraneità e neutralità dello Stato rispetto alla religione, ma che è “garanzia per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale”.[19]

Dunque lo Stato non è più lontano e strettamente imparziale rispetto alle religioni, ma collabora con esse (con essa!) e ne assicura la libertà con interventi positivi.[20]

Ed è stata questa la base su cui il TAR Lazio, chiamato a pronunciarsi sul rumoroso caso Adel Smith,[21] ha deciso per la permanenza dell’obbligo di esposizione del crocifisso nell’aula scolastica frequentata dai figli del ricorrente, perché “il simbolo, pur certamente religioso, assume nel suo valore polisemico un carattere costitutivo dell’identità nazionale, anche perché la tradizione cattolica- e più variamente quelle cristiane- incorporano un’idea di laicità e contribuiscono a definire il complesso spessore ideale della nazione”.[22]

Su questa problematica, Salvatore Prisco, ad esempio, contrario alla volontà di alcuni di risolvere il dilemma vietando ex abrupto qualsiasi simbolo religioso (ma anche ammettendo solo il crocifisso), propone un opposto modello di “laicità accogliente”, tesa non a rinnegare o ostracizzare, ma a dar spazio vitale ai tanti stimoli del multiculturalismo.

“Ribadita la libertà religiosa-scrive Prisco- una soluzione di compromesso potrebbe essere quella di concedere la possibilità di scelta alle singole scuole, e in concreto alle comunità che attorno ad esse vivono…, massimizzando così il metodo di incontro dialogico tra portatori di identità ideali diverse”.[23]

Fra le diverse tesi e i diversi orientamenti, emerge comunque la singolarità del modo con cui il concetto di laicità è declinato negli atteggiamenti e nelle leggi del nostro paese. Il sentimento religioso è diffuso, pervicace, intaccato solo parzialmente dal disincanto della modernità e dalle più larghe aperture delle nuove generazioni. I sacramenti cattolici scandiscono in maniera automatica, potremmo dire prestabilita, le tappe della vita della quasi totalità delle persone, che se non aderiscono per sincera credenza lo fanno per convenzione sociale o pigrizia intellettuale. Lo spazio riservato dai mezzi di comunicazione alle istanze e alle persone della fede è enorme, e centrale è il ruolo della dottrina cattolica nell’educazione primaria. Gli altri culti religiosi sono tollerati e liberi, ma hanno un ruolo molto marginale, e comunque il più delle volte sono guardati con sospetto.[24]

Questa situazione è vista come un problema cocente per una parte consistente ma ad oggi minoritaria del paese, la quale, vuoi per conclamato ateismo o anticlericalismo, vuoi per una visione di laicità tutta interna alla religione, ritiene l’Italia bloccata dalla chiesa (e da una politica a lei prona) nella necessità di inseguire i tempi, raggiungendo sui diritti civili i paesi europei più progressisti.

Dall’altro lato, la dottrina più morbida si impegna ad affermare come la tutela e il privilegio accordati al cattolicesimo debbano essere letti non come odiosi e insopportabili arcaismi, ma come la naturale e positiva concretazione attuale di una storia ideale e culturale che ha segnato in maniera incontrovertibile il nostro paese, e negarne l’importanza, il ruolo, la centralità, sarebbe questo sì antidemocratico.

L’enorme ufficio sociale di aggregazione, assistenza e comunione della chiesa e delle sue realtà locali non può essere ignorato nonostante le note contraddizioni, e la grande coscienza dell’etica cattolica è stata in più occasioni freno e scudo di una società talvolta senza guida.

Sergio Lariccia cercava di appacificare i due umori quando sosteneva che la “laicità dello stato non vuol dire che lo stato-comunità non possa e non debba essere carico di valori religiosi…e non esclude che lo stato-apparato possa tener conto, a determinati fini, della presenza di quei valori”,[25].

Lo stesso faceva il Presidente Oscar Luigi Scalfaro, che da re dei politici ‘cattolicissimi’ osservava tuttavia come “lo Stato sia la casa di tutti e nessuno ha il diritto di mettervi sopra il proprio marchio o il proprio sigillo. Esso ha il dovere di essere laico e ha il diritto alla laicità”. [26]

Laicità, dunque, come diritto e come dovere, come valore in divenire che si misura non solo con le singole norme che ne ospitano i contenuti, ma anche con le specifiche politiche che interessano i temi storicamente ‘di interesse religioso’, come appunto l’eutanasia, l’aborto, la bioetica, i modelli familiari.

Questo non a voler dire che si è tanto più laici quanto più ci si distanzia dall’etica religiosa, ma che si è laici solo se si è davvero liberi, nelle scelte che interessano la totalità dei cittadini, dalle pretese esclusive di una qualunque confessione.

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Il testo affronta il diritto costituzionale a 360 gradi, con un linguaggio tecnico ma fluido, funzionale alla preparazione di concorsi ed esami.  L’opera è aggiornata al decreto legge 23 febbraio 2020, n. 6 (convertito in legge 5 marzo 2020, n. 13) contenente misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 e ai vari D.P.C.M. che sono stati adottati in seguito, in particolare quello del 9 marzo 2020 che ha esteso tali misure su tutto il territorio nazionale; alla legge costituzionale 19 ottobre 2020, n. 1 contenente modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari.

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Note:

[1] Citazione da Tedeschi M. (a cura di), Il principio di laicità nello stato democratico, Torino 1996, pag. 145.

[2] Cardia, Stato laico, voce in Enciclopedia del diritto, volume XLIII, Giuffrè, 1995, pag. 875.

[3] Cavana, Intepretazione della laicità: esperienza francese ed esperienza italiana a confronto, Roma 1998, pag. 23.

[4] Cardia, Stato laico, cit, pag. 879.

[5] D’Avack, Confessionismo, voce in Enciclopedia del diritto, cit., pag. 931.

[6] La breccia di Porta Pia, con la legge delle Guarantigie e la transitoria perdita di una sovranità territoriale dei papi; il non expedit di Pio IX e il successivo Patto Gentiloni.

[7] Si tornò a difendere con tutele sempre più incisive lo svolgimento dei rituali religiosi, e ad accentuare una differenziazione tra culto cattolico e gli altri culti presenti nel territorio; si reinserirono nello svolgimento della vita pubblica i simboli religiosi; si instituì l’insegnamento obbligatorio della dottrina cristiana; si rivalorizzò l’università cattolica di Milano e gli istituti di istruzione superiore  patrocinati dalla Chiesa.

[8] Cardia, La riforma del Concordato: dal confessionismo alla laicità dello Stato, Torino 1980, pag. 11. Di particolare interesse, in questo testo, la presenza riassuntiva delle varie posizioni politiche e partitiche sul tema.

[9] Sull’ipotesi storica di una successione cattolica al fascismo, si veda il capitolo di Varnier B. G. in Il principio di laicità nello stato democratico (a cura di Mario Tedeschi), op.cit., pag. 207.

[10] Accordi del 18 febbraio 1984, legge di ratifica n. 121 del 1985.

[11] Punti salienti: la ribadita reciproca indipendenza, l’eliminazione formale del concetto di religione di stato e del sistema di retribuzione statale del clero, l’introduzione del matrimonio ‘concordatario’, la nuova regolazione dell’insegnamento di religione nelle scuole. Non trascurabili le critiche rivolte alla legge n. 222 del 1985 (8 per mille), che ha introdotto il meccanismo con cui lo Stato italiano ripartisce, in base alle scelte dei contribuenti, l’8‰ dell’intero gettito fiscale ricavato dall’IRPEF fra lo Stato e diverse confessioni religiose. La ripartizione delle scelte inespresse infatti è effettuata secondo un criterio proporzionale rispetto alle scelte espresse, determinandosi un vantaggio economico enorme della Chiesa Cattolica.

[12] Corte cost., sent. n. 203 del 1989.

[13] La sentenza giunse dopo due decenni caratterizzati da una crescente sensibilità secolarista e da incisivi interventi legislativi: si pensi, su tutti, alla riforma del diritto di famiglia del 1975, e alle leggi sul divorzio e sull’aborto.

[14] Ma il problema appariva chiaro agli occhi della dottrina ben prima delle recenti faccende moderne, e non è stato risolto dalla citata sentenza della Corte Costituzionale, che semmai ha solo spostato l’ottica del problema: non si è discusso più, da quel momento, sulla presenza o meno del principio nel nostro ordinamento, ma bensì, proclamata solennemente la sua esistenza, sui suoi confini, sul suo reale significato e soprattutto sul suo effettivo rispetto.

[15] Tedeschi (a cura di), op.cit., pag. 7.

[16] Ibidem, pag. 71.

[17] Per tacere sui numerosi altri studiosi, scienziati o intellettuali che si impegnano o si sono impegnati a sensibilizzare l’opinione pubblica verso un ruolo ritenuto inopportuno della Chiesa nella vita politica e decisionale italiana, come Corrado Augias, Margherita Hack, Piergiorgio Odifreddi, Eugenio Scalfari, Sergio Romano.

[18] Fiorita N., “L’Insostenibile leggerezza della laicità italiana”, in Diritto e Religioni, 2011, n. 2, pag. 380.

[19] Luciano Guerzoni, come altri, ha avuto modo di evidenziare i pericoli di questo approccio. Scrive in Problemi di Laicità nell’esperienza giuridica positiva, 1993, pag. 120: “La neutralità positiva rischia di convertire lo stato a strumento delle opzioni religiose o ideologiche socialmente più forti, cioè delle istanze maggioritarie della coscienza religiosa e civile.” Similmente Vitale fa notare che tale teorizzazione “consente al potere politico di sottrarsi al dovere di neutralità, continuando a far opera di fiancheggiamento, o di ‘braccio secolare’” (in Tedeschi, Il principio di laicità dello stato democratico, cit., pag. 242).

[20] L’art. 1 del Concordato del 1984 parla infatti di “reciproca collaborazione fra Stato e Chiesa cattolica per la promozione dell’uomo e il bene del paese”.

[21] Dopo che la Cort cost. (sent. 389/2004) aveva dichiarato inammissibile il ricorso che le era stato rivolto, perché le norme in oggetto, seppur regolamentari, mancavano della necessaria “forza di legge”.

[22] TAR del Lazio, decisione 1110/2005.

[23] Prisco, Laicità, un percorso di riflessione, Torino 2009, pagg. 49, 62. Lo Stesso Prisco riporta, cercando di confutarle, le critiche alla sua proposta, che parlano di ‘supermarket dei simboli’ o del pericolo di un ‘rivendicazionismo spicciolo di marca quasi sindacale’.

[24] Riguardo all’effettiva libertà di religione, alcune confessioni, come i Testimoni di Geova, lamentano di essere oggetto di una strutturale discriminazione sociale, culturale, fiscale.

[25] Lariccia, “Laicità dello Stato e democrazia pluralista in Italia”, in Tedeschi M. (a cura di), op. cit., pag. 147.

[26] Scalfaro, “Non arrendetevi mai”, Milano 2007, pag. 62.

 

giovanni landi

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