La forma dell’appello nel nuovo processo tributario

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L’art. 53 del d.lgs. n. 546/1992 prevede:

“1. Il ricorso in appello contiene l’indicazione della commissione tributaria a cui è diretto, dell’appellante e delle altre parti nei cui confronti è proposto, gli estremi della sentenza impugnata, l’esposizione sommaria dei fatti, l’oggetto della domanda ed i motivi specifici dell’impugnazione. Il ricorso in appello è inammissibile se manca o è assolutamente incerto uno degli elementi sopra indicati o se non è sottoscritto a norma dell’ art. 18, comma 3. 2. Il ricorso in appello è proposto nelle forme di cui all’ art. 20, commi 1 e 2, nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado e deve essere depositato a norma dell’ art. 22, commi 1, 2 e 3. 3. Subito dopo il deposito del ricorso in appello, la segreteria della commissione tributaria regionale chiede alla segreteria della commissione provinciale la trasmissione del fascicolo del processo, che deve contenere copia autentica della sentenza”.

 

L’appello, dunque, deve contenere:

− l’indicazione della Commissione tributaria regionale cui è diretto;

− l’indicazione dell’appellante e delle altre parti nei cui confronti è proposto;

− gli estremi della sentenza impugnata;

− l’esposizione sommaria dei fatti;

− l’oggetto della domanda;

− i motivi specifici dell’impugnazione;

− la sottoscrizione del difensore dell’appellante o dell’appellante.

 

L’appello è inammissibile se:

• manca o è assolutamente incerto uno degli elementi essenziali;

• non contiene la sottoscrizione del difensore ex art. 18 del d.lgs. n. 546/1992.

Si fa presente che in tale ipotesi, l’appellante può riproporre l’appello prima che l’inammissibilità sia dichiarata e nel rispetto del termine breve decorrente dalla data della notifica della prima impugnazione.

 

Dopo la dichiarazione di inammissibilità, l’appello non può più essere riproposto.

Si precisa che l’omessa indicazione del codice fiscale del difensore non rende l’appello inammissibile, ma comporta l’aumento del contributo unificato nella misura del 50%, così come l’eventuale assenza di dichiarazione del valore della causa necessaria per calcolare l’ammontare del contributo unificato, non comporta l’inammissibilità ma fa ritenere che essa corrisponda alla misura massima.  Sul punto si veda CTR Friuli Venezia Giulia 18 giugno 2012, n. 53.

Si precisa, altresì, che se nell’atto di impugnazione manca una parte espressamente dedicata alla narrativa dei fatti di causa, ma questi ultimi si desumono comunque dall’enunciazione dei motivi d’impugnazione, l’appello non è inammissibile. Sul punto si veda Cass. 18 novembre 1995, n. 11971; Cass. 21 ottobre 2013, n. 23719.

Quanto all’indicazione dei “motivi specifici di impugnazione”, l’appellante individua le questioni che formano l’oggetto e l’ambito del riesame chiesto al giudice di seconde cure, denunciando gli errori in procedendo e in iudicando commessi dal primo giudice e precisando le ragioni concrete per cui invoca la riforma della sentenza impugnata.

 È utile sottolineare che i motivi di appello non devono essere confusi con i motivi di ricorso.

 

Non a caso, occorre tenere presente che:

 

• in sede di ricorso introduttivo, i motivi riguardano l’atto impositivo;

• nell’atto di appello, i motivi concernono la sentenza. Si incorre nella omessa specificazione dei motivi quando vi è incertezza sui limiti e sulla portata del riesame richiesto al giudice.

 

A tal proposito la Corte di Cassazione ha sostenuto che “il carattere non formalistico della disposizione di cui al d.lgs. n. 546 del 1992, art. 53, è stato ampiamente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte che ha affermato come la esposizione degli specifici motivi di gravame non sia condizionata ad un contenuto topografico vincolato nel ricorso di appello, né a rigidi canoni formali, con la conseguenza che gli elementi idonei a rendere ‘specifici’ i motivi d’appello possono essere ricavati, anche per implicito, purché in maniera univoca, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusione (cfr. Corte Cass. sez. V, 19 gennaio 2007, n. 1224; id. sez. V, 12 gennaio 2009, n. 346; id. sez. 5, 31 marzo 2011, n. 7393).

La esposizione sommaria dei fatti’, quale elemento costitutivo dell’atto processuale, assolve, pertanto, ad una funzione esplicativa ed integrativa del “requisito di specificità” dei motivi di gravame, essendo diretta a portare a conoscenza del giudice della impugnazione, in modo chiaro e preciso, i fatti che assumono rilevanza in relazione all’oggetto del giudizio (nei limiti dell’effetto devolutivo) in quanto indispensabili a comprendere nei suoi esatti termini la critica che viene mossa ai capi o punti della sentenza investiti dal gravame (cfr. Corte Cass. sez. I, 22 giugno 1999, n. 6312; vedi: Corte Cass. sez. V, 17 luglio 2008, n. 19639 secondo cui l’errore nella esposizione del fatto è irrilevante qualora ‘la sentenza impugnata sia correttamente individuata e i motivi di gravame siano congruenti’; da ultimo Corte Cass. S.U. 11 aprile 2012, n. 5698, con riferimento all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), secondo cui la esposizione dei fatti processuali non deve riguardare la intera vicenda processuale, palesandosi in tal guisa superflua, ma solo quegli elementi che risultino necessari alla comprensione dei motivi)” (Cass., 21 ottobre 2013, n. 23719).

La Corte di Cassazione ha altresì affermato in altra pronuncia che “la riproposizione in appello delle stesse argomentazioni poste a sostegno della domanda disattesa dal giudice di primo grado – in quanto ritenute giuste e idonee al conseguimento della pretesa fatta valere – assolve l’onere di specificità dei motivi di impugnazione imposto dall’art. 53 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ben potendo il dissenso della parte soccombente investire la decisione impugnata nella sua interezza” (Cass., 1° luglio 2014, n. 14908).

In senso conforme, si sono espressi i giudici della Corte di Cassazione con altra sentenza con la quale hanno ribadito che “nel processo tributario, è legittima, e assolve l’onere di specificità imposto dal d.lgs. n. 546 del 1992, art. 53, la riproposizione, in appello, delle stesse argomentazioni dalle quali sia stata sostenuta la tesi sottoposta al giudice di primo grado” (Cass., 22 aprile 2015, n. 8185).

Da ultimo si segnala la recentissima ordinanza della Corte di Cassazione dell’11 gennaio 2016, n. 227 con la quale viene data continuità a tale consolidata giurisprudenza ribadendo il principio secondo cui “nel processo tributario, l’indicazione dei motivi specifici dell’impugnazione, richiesta dal d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53 non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi, invece, soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame, sia delle ragioni della doglianza.

È, pertanto, irrilevante che i motivi siano enunciati nella parte espositiva dell’atto ovvero separatamente, atteso che, non essendo imposti dalla norma rigidi formalismi, gli elementi idonei a rendere specifici i motivi d’appello possono essere ricavati, anche per implicito, purché in maniera univoca, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni”.

L’atto di appello non deve essere corredato dalla sentenza impugnata, posto che, in base all’art. 53, comma 3 del d.lgs. n. 546/1992, dopo la costituzione in giudizio, la segreteria del giudice di secondo grado chiede a quella della Commissione tributaria provinciale la trasmissione del fascicolo, che deve contenere copia autentica della sentenza appellata.

Avv. Villani Maurizio

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